Sintesi della conferenza tenuta a S. Martino in Rio (RE) il 23 ottobre 2008
presso il circolo “Jacques Maritain”
don Pietro Cantoni
Oggi credere che l’inferno esiste ed è eterno non più cosa ovvia anche fra cattolici (eppure si tratta di un dogma). C’è bisogno di fondare questa verità nella fede in modo pacato ma con argomenti solidi. Circola poi una opinione che deve pure essere presa in considerazione: «L’Inferno esiste, certamente, ed è anche eterno, ma dentro non c’è nessuno: è vuoto»! Si tratta – come minimo – di una opinione molto azzardata e pericolosa. Enunciata come una certezza è una eresia bella e buona.
1. Innanzitutto è bene far notare come, soprattutto da Cartesio in poi, la mentalità moderna, di cui tutti siamo imbevuti, spinge ad accettare solo ciò che si capisce. Negativamente questa mentalità si esprime così: «Non capisco, quindi non esiste»! Ora, certamente la verità dell’Inferno eterno è un punto della nostra fede che evidenzia questo atteggiamento. Come è possibile che Dio sia infinitamente buono e che qualcuno possa rimanere nell’Inferno per l’eternità? Non capisco, quindi non può essere così… In realtà che Dio – e il suo agire – siano un mistero per l’uomo è la cosa più ragionevole di questo mondo! «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9).
Dire che Dio e l’agire di Dio sono un mistero non significa affatto che siano assurdi. Mistero vuol dire che supera non che contraddice la ragione. Non c’è niente di contraddittorio nel fatto che l’uomo possa meritare una pena infinita. Così come non è contraddittorio che possa meritare un bene infinito. In fondo l’Inferno non è altro che il rovescio della medaglia della grandiosa dignità dell’uomo. Anzi è assai ragionevole che l’uomo, capace di rapportarsi a Dio che è infinito, sia anche capace di quell’atto di gravità infinita che è il rifiuto di Dio. Rifiuto che è implicito in ogni peccato mortale. La gravità di una offesa non si prende infatti dalla dignità dell’offensore, ma dalla dignità dell’offeso. Non è la stessa cosa dare una sberla ad un ragazzino e darla ad un carabiniere in servizio. «Ma non ho colpito più forte»! Sì, ma hai colpito più in alto.
Se io capissi Dio, cioè comprendessi l’Infinito con la mia mente finita, allora sì che sarebbe assurdo. «Si comprehendis non est Deus»: se capisci completamente, allora sta pur tranquillo, vuol dire che quello che hai capito non è Dio. La mia comprensione di Dio non può essere che estremamente limitata perché o la ricavo dalle cose sensibili che lui ha creato – che sono infinitamente diverse da lui, puro spirito – oppure dipende da quello che ha rivelato con la sua parola affidata alla Chiesa. Ora, Dio ci rivela inequivocabilmente che c’è un Inferno e un Inferno eterno e che ad esso sono già stati condannati gli angeli ribelli e in esso cadono coloro che disobbediscono gravemente alla sua legge e non si pentono prima di morire. In Dio giustizia e misericordia coincidono. Noi sappiamo che è così ma ci sfugge il come e quindi non capiamo – o meglio – capiamo solo confusamente: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor 13,12).
2. Non si può non parlare dell’Inferno, per la semplice ragione che ne ha parlato Gesù. Il sacro Cuore, che in tutti i suoi gesti e in tutte le sue parole era mosso esclusivamente da un infinito amore, ha parlato di questa realtà terribile e ne ha parlato spesso. Sulla bocca di Gesù – considerando solo i passi espliciti – ricorre ben venti volte! Se ne avesse parlato anche una volta sola dovrebbe bastarci: quante volte invece ci ha avvertito. Ecco un passo fra tanti: «Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9, 43-48).
Negli altri scritti del NT – sempre rimanendo ai passi espliciti – le ricorrenze sono 18! Di una verità di fede così importante come l’eucaristia (e per tanti versi certamente più importante dell’Inferno) si parla molto molto meno. Non ci sono acrobazie esegetiche o macchiavelli pastoralistici che possano cancellare queste parole.
La Chiesa ha sempre interpretato le già chiare affermazioni della Scrittura nel senso di una pena eterna e di una possibilità assolutamente reale e concreta per ciascuno di noi. Si tratta di un dogma di fede definita: «Noi definiamo che, secondo la generale disposizione di Dio, le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale, subito dopo la loro morte, discendono all’inferno, dove sono tormentate con supplizi infernali» (Benedetto XII, Costituzione Benedictus Deus, 29 genn. 1336: DS 1002). «La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, “il fuoco eterno”» (CCC n. 1035).
3. D’accordo, l’inferno esiste ed è eterno, ma non sarà per caso vuoto? È questa una idea che serpeggia da tempo in ambiente cattolico. Ultimamente ha ricevuto nuovo slancio dopo un articolo di Hans Urs von Balthasar sull’Osservatore Romano nel 1984. In realtà von Balthasar non sostiene che l’inferno è vuoto, ma solo che è legittimo sperare che nessuno vada all’inferno. Cioè noi non sappiamo con certezza che qualcuno è all’inferno. Questa opinione sostenuta come certezza è una eresia, perché ridurrebbe i testi della Scrittura ad una minaccia da non prendere sul serio. Sostenuta come speranza è una opinione comunque molto azzardata.
Al concilio Vaticano II un padre voleva la condanna esplicita di questa opinione e la commissione teologica rispose: «Nel n. 48 dello schema sono citate le parole evangeliche con cui il Signore parla dei reprobi usando la forma grammaticale del futuro» (Cfr. C.Pozo, Teologia dell’aldilà, Paoline, Roma 1983, p. 518).
In effetti Mt 25,46: «se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» parla nello stesso identico modo dei giusti e dei reprobi, usando lo stesso verbo all’indicativo futuro: apeléusontai andranno. È una opinione azzardata e pericolosa perché di fatto, quando si esce dalle speculazioni teologiche e si entra nella vita concreta, si scivola sempre, quasi inesorabilmente, dalla speranza – che è sempre accompagnata da «timore e tremore» Fil 2,12 – alla certezza che distrugge ogni timore.
4. La Chiesa e i santi hanno sempre considerato il pensiero dell’Inferno come molto utile e salutare. «Poiché non sempre i motivi dell’ amore fanno presa sull’ anima agitata dalle passioni, è molto opportuno che ci impressioni anche la salutare considerazione della divina giustizia per ridurci alla cristiana umiltà, alla penitenza e alla emendazione» (Pio XII, enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947: Insegnamenti Pontifici 8. La liturgia, n. 529).
«Ricordiamo che in tempi ancora non troppo lontani, nelle prediche durante i ritiri o le missioni, i Novissimi – morte, giudizio, paradiso, inferno e purgatorio – sempre costituivano un punto fisso del programma di meditazione. Si può dire che tali prediche, perfettamente corrispondenti al contenuto della Rivelazione nell’Antico e nel Nuovo Testamento, penetravano profondamente nel mondo intimo dell’uomo. scuotevano la sua coscienza, lo gettavano in ginocchio, lo conducevano alla grata del confessionale, avevano una loro profonda azione salvifica. Ci si può effettivamente domandare se, senza questo messaggio, la Chiesa sarebbe ancora capace di destare eroismo, di generare santi» (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano 1994, pp. 197-198).
Santa Teresa d’Avila, che pur sperimentò grazie mistiche elevatissime di unione con Dio, considerò la visione dell’Inferno come «una delle più grandi grazie che Dio mi abbia fatto» (Vita, cap. 32, 4).
5. Il senso della pena dell’Inferno. In Dio amore e giustizia non si distinguono. Il fuoco dell’amore è lo stesso fuoco della giustizia. L’amore veemente di Dio è percepito come doloroso nella misura in cui si è orientati in senso contrario o difforme. Come una imbarcazione rispetto ad una fortissima corrente d’acqua o di vento. Se si naviga nel senso della corrente, ciò è molto profittevole e piacevole. Ma è altrettanto terribile se l’imbarcazione è mal disposta rispetto alla corrente.
Così l’amore di Dio trasporta nel suo vortice beatificante chi è disposto a lasciarsi trasportare. Su chi è mal disposto ha, si sarebbe tentati di dire – ma si cozza contro il mistero – suo malgrado, degli effetti devastanti. Sullo spirito innanzitutto, ma su tutto l’uomo – carne e spirito -, posto che è una unità sostanziale. La devastazione della carne è la più sensibile e comprensibile. E’ anche manifestativa della devastazione dello spirito (per sensibilia ad intelligibilia). E’ il rapporto che c’è fra la pena del danno e quella del senso (pene sensibili e pene morali). Così si comprende anche in che senso si deve intendere la fisicità del fuoco dell’inferno.
In fondo, due fenomeni in apparenza diversissimi, sono in realtà, dal punto di vista di Dio, la stessa cosa: l’inferno e quella dolorosa tappa della crescita mistica che san Giovanni della Croce ha chiamato «notte oscura». In entrambi i casi Dio si avvicina a chi è impreparato. Chi è radicalmente impreparato, in modo tale che la sua volontà è fissata «contro», chi è impreparato perché al suo fondamentale atto di fede non corrisponde una conversione di tutto il suo essere, di tutta la sua «carne». L’avvicinarsi di Dio allora rappresenta dolore, nella carne (notte dei sensi) e nello spirito (notte dello spirito). Con un significato ed un esito ben diverso però!
* * *
Sintesi (a cura degli organizzatori) delle domande e delle risposte dopo la conferenza
Una premessa sul buon uso della teologia: ad alcune domande la teologia dà risposte certe; ad altre domande la teologia dà risposte lecite, ossia non eretiche, anche se non definitive. Ad alcune questioni la teologia non dà risposte: vede due verità, come anelli agganciati a colonne distanti; non è in grado di unirle, ma è in grado di afferrarle entrambe, senza scegliere una a scapito dell’altra. Seconda premessa: perché dobbiamo parlare dell’Inferno? Per la semplice ragione che Gesù ne ha parlato, e in moltissime occasioni. Il non parlarne è omissione colpevole.
Alla domanda: L’Inferno è vuoto? don Cantoni ha dato una risposta articolata che si può così riassumere: sperare che l’Inferno sia vuoto è lecito, anche se è molto azzardato; affermare che l’Inferno sia vuoto è eresia; fermo restando che si sta parlando della speranza che sia “vuoto di uomini”, essendo certo che lì “abitano” Lucifero e gli angeli ribelli.
Se Dio è infinitamente buono, perché ha creato l’Inferno? Come può Dio, nella sua bontà, mandare qualcuno all’Inferno? Le domande sono mal poste, perché Dio non ha “creato” l’Inferno: Dio ha creato l’uomo nel Paradiso Terrestre. Non si può nemmeno dire che l’Inferno sia una “emanazione” di Dio. E anche il concetto di Dio che “manda” all’Inferno va visto sotto altra luce. “L’Inferno non è altro che una logica conseguenza della Sua bontà. […] Vi ha creati liberi. Questa è la meraviglia e nel contempo la vostra condanna. […] La libertà implica possibilità di scelta, ovvio. Ma chi rifiuta fino all’ultimo Dio, dove potrà andare visto che Lui è dovunque? Ecco perché è stato costretto a ritirarsi da un luogo. Qui può venire chi vuol stare lontano da Lui. Ma poiché Egli è il Bene assoluto, in quel luogo il Bene assoluto non c’è. C’è la sua assenza, il Male assoluto.” (R. Cammilleri “Come sono finito all’Inferno”). Oppure, con altre parole: “Alla fine, il Volto che è la delizia e il terrore dell’Universo dovrà rivolgersi a ciascuno di noi con un’espressione o con l’altra, sia per conferirci una gloria indescrivibile o per infliggerci una vergogna che non si può né curare né nascondere.” (Clive S. Lewis). Si può costringere un uomo a fare di tutto, ma non lo si può costringere ad amare. Nemmeno ad amare Dio.
Ma se anche l’Inferno fosse vuoto, la presenza eterna dei demoni non è comunque una sconfitta dell’onnipotenza di Dio? Non è una sconfitta di Dio: è la sconfitta della libera volontà degli angeli ribelli.
E se mai un’anima fosse all’Inferno, perché il Dio onnisciente l’ha creata? L’ha creata per conoscerLo, amarLo, servirLo e goderLo per sempre in Paradiso. Non aggiungiamo altro e liberiamoci da un concetto erroneo: dicendo che Dio è onnisciente, pensiamo a Dio che conosce le cose “prima” che accadono; ma Dio non è soggetto a una scansione temporale, il prima e il dopo in Lui non esistono.
Se un uomo è all’Inferno, come può sua madre essere eternamente beata in Paradiso? E’ un quesito molto antico. Non sappiamo come ciò potrà avvenire, ma abbiamo una certezza: la madre beata vivrà la stessa vita di Dio e non ci sarà dissociazione tra la sua volontà e la volontà di Dio.
Anche un solo uomo all’Inferno non equivale a dire che la Croce di Cristo ha perso la battaglia col demonio? La vittoria della Croce di Cristo è stata quella di riaprire a tutti le porte del Paradiso, che erano chiuse anche per i giusti. Ha donato agli uomini con il Suo sangue la possibilità e gli strumenti per la salvezza, ferma restando la libertà dell’uomo di rifiutarLo.
L’inferno è un luogo o uno stato? Quando pensiamo a un “luogo” noi pensiamo a un “luogo tridimensionale”. Ci è già difficilissimo intuire qualcosa su un luogo a 4 dimensioni. Impossibile immaginare un luogo a infinite dimensioni. E’ possibile quindi che il concetto di “luogo” e il concetto di “stato” in Dio coincidano.
Come interpretare la preghiera del Rosario in cui si chiede a Gesù di portare in Cielo tutte le anime? Ogni tanto la Chiesa accoglie questa speranza dell’Inferno vuoto. C’era anche una preghiera sullo stesso tono che veniva pronunciata nella Messa dei defunti in rito antico. La frase fu poi tolta nel rito nuovo per timore che, equivocando, si diffondesse l’affermazione dell’Inferno vuoto.
E’ eresia affermare che l’Inferno è vuoto. E’ lecito invece affermare che NON è vuoto? Ci sono tante affermazioni di Gesù in questo senso, c’è anche la vicenda dei pastorelli di Fatima che vedono l’Inferno abitato. Le profezie divine sul destino dell’uomo sono sempre “sotto condizione” della libertà umana, che è vera e completa. Giona annunciò “Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta”, ma non accadde nulla, a motivo della conversione dei Niniviti. Giovanni Paolo II applicò a se stesso la visione di Fatima dell’uomo vestito di bianco che cade colpito a morte: ma lui in realtà non morì. Se tutti gli uomini si convertiranno, tutti gli uomini si salveranno.
La Chiesa afferma che l’Inferno c’è, spiega come si va all’Inferno, non fa affermazioni su quanti abitano l’Inferno. Come fa la Chiesa, così dobbiamo fare anche noi: la prospettiva corretta è ritenere le anime in Purgatorio, tranne quelle che la Chiesa ha dichiarato in Paradiso.
C’è un frate che celebra quotidianamente una Messa per Hitler: questa è la prospettiva corretta. In ogni caso è bene ricordare la 24a “litania dell’umiltà” del card. Merry del Val: “Che gli altri possano essere più santi di me, purché io divenga santo quanto posso”. Il cattolico desidera essere l’ultimo dei santi: non posso desiderare che qualcuno sia meno santo di me. Non posso quindi nemmeno pensare che qualcuno sia all’Inferno mentre io ancora aspiro al Paradiso: sarebbe un atto d’orgoglio. Un orgoglio, forse, imperdonabile.