Corriere del Sud n. 10 – 30 dicembre 2020
Considerato un “docente di serie B”, è stato a lungo precarizzato in applicazione dei dogmi laicisti
Matteo Orlando
Nel dicembre 2020 il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha sottoscritto con il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina (Movimento Cinque Stelle), l’Intesa in vista del concorso per la copertura dei posti per l’Insegnamento della Religione Cattolica (in sigla IRC), prevista dall’articolo 1-bis della legge 159/2019.
Da tempo migliaia di insegnanti precari aspettano la pubblicazione del bando per conoscere le modalità di svolgimento del concorso che, probabilmente, non si concluderà prima della fine del 2021. In molti rilevano che un eventuale “concorso ordinario” sarà vinto da pochi fortunati, mentre gli altri che riusciranno, forse, a conservare una cattedra, rischieranno di perdere i pochi diritti maturati in anni di precariato.
Inoltre, la maggior parte dei docenti di religione ritiene questo concorso discriminatorio per la diversità di trattamento che emerge tra Insegnanti di Religione e docenti precari di altre materie. Perché, si chiedono, per gli Insegnanti di Religione si prevede un “concorso ordinario” e per gli altri precari della scuola un “concorso straordinario” e dunque semplificato?
Per questo la richiesta che arriva, anche da parte di alcuni vescovi, come il vescovo di Pavia, o da diversi Uffici IRC, è quella del bando per un concorso riservato non selettivo come previsto per gli altri insegnanti abilitati. Sarà il primo concorso dopo 17 anni dall’unica procedura bandita nel febbraio 2004, in attuazione della legge 186/2003, che istituiva i ruoli per l’insegnamento della religione cattolica.
Il concorso doveva uscire ogni 3 anni ma la legge non è stata rispettata. Così in 17 anni si è formato un precariato di più di 20 anni. Il cardinal Bassetti l’ha definito come «un passaggio importante» sia per la «stabilizzazione professionale di tanti docenti» sia per la “dignità” di un insegnamento che ancora oggi – dopo circa trentacinque anni dall’avvio del nuovo sistema di scelta – è voluto e frequentato da una «larghissima maggioranza di studenti».
L’insegnamento della religione cattolica, a differenza di quanto continuano a pensare ancora i laicisti italiani e gli ignoranti in materia non è una forma di “catechesi scolastica”, bensì un insegnamento vero e proprio che comporta la trasmissione di conoscenze documentate sulle fonti della religione cattolica, soprattutto la Bibbia, e sui documenti della Tradizione storica, culturale, artistica italiana ed europea.
Non è attività catechistica, ma non è neppure nuda trasmissione di informazioni, perché la religione a scuola è una materia che deve porre al centro la persona umana dell’alunno e il suo diritto-dovere di coltivare saperi e abilità e acquisire delle competenze. Ecco perché l’IRC deve corrispondere alle esigenze pedagogiche, didattiche e di organizzazione delle diverse discipline nel quadro del Piano dell’offerta formativa unitario e organico. L’IRC è destinata a qualsiasi alunno che ne abbia espresso la scelta, indipendentemente dal credo religioso di appartenenza.
Infatti, l’orizzonte di riferimento della materia è il conoscere, non il divenire credente. In una società pluri-culturale, pluri-etnica e pluri-religiosa, l’orizzonte per ogni alunno, invece, è quello di sviluppare nel dialogo la propria identità personale ed etica, non l’adeguamento al “fan tutti così” o peggio alla “logica del branco”.
Ovviamente l’insegnante di Religione non può esimersi da testimoniare la propria fede all’interno della struttura scolastica, per la liberazione di tutto ciò che umilia l’uomo e per valorizzare tutto ciò che favorisce la promozione e il rispetto e la dignità della persona umana. La configurazione dell’IRC come materia da scegliere o meno, rappresenta una sfida per i docenti.
Dal nuovo accordo questi ultimi non solo sono tenuti al pari degli altri insegnanti ad esibire adeguati titoli di studio e qualificazioni, ma sono consapevoli che, in un certo qual modo, da loro dipende il “favore” dei giovani o dei genitori riguardo alla “scelta” cui avvalersi. L’IRC, pur avendo un riferimento confessionale, nulla ha a che fare con un’imposizione educativa o con tentativi più o meno velati di fare conversioni o proselitismi.
Decidere di avvalersi dell’IRC per un ragazzo non significa dichiararsi cattolico, ma piuttosto scegliere una disciplina scolastica che si ritiene abbia un valore per la crescita della persona e la comprensione della realtà sociale e storica nella quale si è inseriti. Sono stati molti i progressi che la disciplina ha vissuto nel corso degli anni. Poco prima dell’unità d’Italia, nel Regno di Sardegna la legge n. 3725 del 13 novembre 1859, promulgata dal ministro della Pubblica Istruzione Casati (1798-1873), aveva introdotto, tra le discipline oggetto di istruzione pubblica, anche la religione cattolica.
L’insegnamento era obbligatorio per i soli primi due anni delle elementari ed era impartito dal maestro unico. Nelle scuole secondarie l’insegnamento era garantito da un direttore spirituale. Tuttavia, l’insegnamento non era impartito in una specifica ora di religione, ma nell’ambito del complessivo programma educativo. Infatti, l’ora di religione fu introdotta durante il fascismo, a seguito del Concordato del 1929 (Patti Lateranensi).
Il regio decreto n. 4151 del 24 giugno 1860 introduceva l’obbligatorietà dell’insegnamento anche per le scuole magistrali, destinate a formare i futuri maestri. Nelle università furono vietati gli insegnamenti contrari ai principi religiosi. Con le Istruzioni relative ai Programmi del 15 settembre 1860 l’insegnamento della religione cattolica era concepito, da parte dello Stato, come rafforzamento dell’autorità politica.
Il regio decreto 9 novembre 1861, n. 315 indicava come materia di insegnamento «religione e morale» mentre «catechismo e storia sacra» era la prima materia obbligatoria per gli esami, sia scritti che orali. Nei programmi del regio decreto del 10 ottobre 1867 del ministro Coppino, autore della legge sull’istruzione obbligatoria, l’insegnamento della religione cattolica passava in secondo piano rispetto all’italiano e all’aritmetica, materie considerate essenziali per cementare la recente e precaria unità nazionale, in un paese largamente analfabetizzato e che da poco aveva introdotto in tutto lo Stato il sistema metrico decimale.
All’indomani della Breccia di Porta Pia e della fine del potere temporale del Papa, la circolare del 29 settembre 1870, del ministro della Pubblica Istruzione Correnti, stabiliva che l’istruzione religiosa scolastica venisse impartita solo su richiesta dei genitori. Il 26 gennaio 1873 venivano soppresse le Facoltà teologiche di Stato e non furono mai più ripristinate. Rimasero in vita solo quelle ecclesiastiche, i cui titoli di studio non venivano però riconosciuti dallo Stato.
La legge 23 giugno 1877, n. 3918, che regolava il nuovo ordinamento dei licei, dei ginnasi e delle scuole tecniche, abolì la figura del “direttore spirituale” nei licei-ginnasi e nelle scuole tecniche. Nei programmi del 1888 l’insegnamento della religione cattolica fu di fatto soppresso. Infatti, il regio decreto 16 febbraio 1888, n. 5292 estendeva la facoltatività dell’insegnamento delle «prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino» a tutto il corso d’istruzione elementare a discapito dell’insegnamento della Religione cattolica.
Questa impostazione fu confermata nel 1894 dal ministro Baccelli. I programmi del 1905, scritti dal filosofo Francesco Orestano (1873-1945), segnavano la definitiva espulsione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali. Tuttavia, il regio decreto 6 febbraio 1908, n. 150 confermava la facoltatività dell’insegnamento religioso che doveva essere tuttavia impartito «a cura dei padri di famiglia che lo hanno richiesto», quando la maggioranza dei consiglieri comunali non decidesse di ordinarlo a carico del Comune.
Nel 1923, durante il regime fascista, la riforma della scuola rese obbligatorio l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari, con decreto reale del 1º ottobre del 1923, n. 2185, del ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile (1875-1944). La circolare n. 2 del 5 gennaio 1924 garantiva comunque agli alunni che professavano altre fedi di astenersi dall’insegnamento della Religione cattolica.
Con il concordato del 1929 si introduceva e rendeva obbligatoria l’ora di religione anche nelle scuole medie e superiori, quale «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica». La legge del 5 giugno 1930, n. 824 esecutiva dell’art. 36 del Concordato stabiliva che l’incarico dell’insegnamento della religione «è affidato a sacerdoti e religiosi approvati dall’autorità ecclesiastica e, in via sussidiaria, a laici riconosciuti idonei dall’ordinario diocesano».
Nel contesto storico inaugurato dalla Costituzione della Repubblica (1° gennaio 1948), in seguito all’archiviazione dello Statuto Albertino del 1848 che riconosceva la religione cattolica come religione dello stato, l’Accordo concordatario del 1984 prevede per tutti l’obbligo di scelta, sia per chi si avvale della religione cattolica sia per chi non se ne avvale.
Precedentemente solo coloro che facevano domanda di esonero, erano dispensati dall’obbligo di frequentare l’IRC (v. legge n. 824/1930). Infatti, nelle modifiche concordatarie del 1984 (l. 121/1985 di applicazione del concordato) la formula venne trasformata così: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado». E siamo quindi all’attualità…