Un fattore di tribalizzazione dell’Europa
Nove anni fa, il Centro Culturale Lepanto fu tra i primi a denunciare il pericolo che il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria favorisse la tribalizzazione dell’Europa, in base a un progetto elaborato dalla nuova Sinistra post-comunista (1)
di Guido Vinelli
Allora venimmo duramente attaccati con svariate accuse, tra le quali la più benevola era quella di allarmismo, e quella più perfida era quella di razzismo. Oggi, invece, (quasi) tutti ammettono che i nostri timori erano pienamente fondati e che la nostra denuncia era ben motivata. I numerosi consensi suscitati dall’ammonimento lanciato il 12 settembre scorso dal cardinale Giacomo Biffi (2) dimostrano che qualcosa è cambiato nel clima degli ultimi anni. L’utopistica illusione di realizzare pacificamente una Europa “multietnica, multuculturale e multireligiosa“, sulla quale si era basata la propaganda buonista degli anni ’80 e ’90, sta ormai svanendo lasciando una eredità di delusioni e preoccupazioni.
Noti esperti e associazioni, che fino a ieri erano propagandisti dell’immigrazione, oggi invece avanzano tardive riserve, perplessità e timori (3). Ad esempio, oggi si ammette che gli ingressi di extracomunitari vanno ridotti e scaglionati in base all’accoglienza concretamente possibile in Italia; essi vanno anche selezionati in base alla possibilità d’inserimento organico nel Paese, valutando non solo l’aspetto economico (i posti di lavoro disponibili) o quello di pubblica sicurezza (la fedina penale pulita), ma anche le compatibilità culturali e religiose.
Inoltre, oggi si ammette che il fenomeno dell’immigrazione non è spontaneo, bensì è governato da una regia occulta. Tale regia invia sulle coste o alle frontiere ondate migratorie selezionate (cioè composte soprattutto da musulmani) con cadenze regolari e tempestive, ossia in coincidenza con i periodi di distrazione dell’opinione pubblica, e in corrispondenza degli svuotamenti dei centri di accoglienza riempiti dall’ondata precedente.
Più a fondo, oggi molti ammettono che il fenomeno migratorio viene favorito e strumentalizzato dalla Sinistra per realizzare un ben preciso progetto che sembra quasi una colonizzazione alla rovescia (4). Si tratta di trasformare l’Europa, da continente culturalmente e religiosamente omogeneo, in quanto erede (ingrato) della tradizione classico-cristiana, a caotico calderone di etnie, culture e religioni non solo diverse ma anche inconciliabili, e quindi a campo di battaglia fra tendenze conflittuali.
L’invasione extracomunitaria era stata preannunciata fin dal 1973 dal capo algerino Boumedien; poi è stata auspicata dall’ONU (5); oggi viene favorita dall’Unione Europea: la recente Carta dei Diritti europea infatti definisce il nostro continente come uno “spazio aperto” al mondo, e il presidente della Commissione, Romano Prodi, ha dichiarato che “La politica dell’Europa in tema d’immigrazione mira a creare strutture perché gli immigrati vengano” (6)
La politica immigrazionista del Governo italiano
Nella situazione odierna, la cosa più grave è la scandalosa politica migratoria del Governo italiano. Tutti gli studiosi seri del problema hanno condannato il suo comportamento irresponsabile (7). Da una parte, il Governo mantiene le frontiere aperte per fare entrare chiunque, senza alcuna selezione, nemmeno in base alla condizione penale o sanitaria, e tranquillizza l’opinione pubblica come se la situazione fosse sotto controllo; dall’altra, quando il problema esplode ciclicamente provocando emergenze acute, esso proclama di non poter fare altro che “regolarizzare” i clandestini che ha lasciato entrare, scaricandone il peso sui centri di prima accoglienza, sulle forze dell’ordine e sulla magistratura, ovviamente incapaci di risolvere il problema. Inoltre, sono state notate alcune incomprensibili omissioni.
E’ davvero strano che i consolati italiani, operanti nei Paesi di provenienza di immigrati, non facciano nulla per arginare alla fonte il fenomeno migratorio. E’ pure strano che il Governo non protesti presso i rappresentanti di questi Paesi, chiedendo loro di assumersi le proprie responsabilità, a livello di diritto internazionale, per il fatto di tollerare (o addirittura favorire) il fenomeno.
Ancor più strano è che il Governo non indaghi seriamente sulle organizzazioni criminali, operanti sia all’esteri che in Italia, che organizzano le raccolte e poi gli sbarchi clandestini, probabilmente con la complicità sia degli Stati di provenienza che della criminalità italiana. Il Governo non si limita a non far rispettare le frontiere, ma favorisce anche in tutti i modi l’ingresso illegale degli extracomunitari, smentendo ogni anno i propositi di rigore annunciati l’anno prima.
Trasformare i clandestini in “regolari” sembra l’unica preoccupazione governativa, con la scusa che l’unico problema sarebbe la clandestinità di per sé, non l’invasione degli immigrati. “E’ la clandestinità che uccide“, afferma perentorio il ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco (8). Pertanto, ad ogni serie di ondate d’ingressi, il Ministro degli Interni risponde con le solite “sanatorie“: con un tratto di penna l’irregolarità viene “regolarizzata“.
Tra una fase di paralisi e una di emergenza, da una “sanatoria” all’altra (ben 4 in 9 anni!), il Governo lancia agli extracomunitari un chiaro invito ad invadere e agli italiani un altrettanto chiaro ammonimento a rassegnarsi. Ma in questo modo, adeguando il diritto al fatto, si abbassa il primo al livello del secondo: l’immigrazione “pulita“, ossia onesta e laboriosa (e quindi integrabile) viene penalizzata in favore di quella “sporca“, ossia disonesta e criminogena (e quindi non integrabile) che viene a godere non solo dei vantaggi dell’illegalità ma anche del crisma della legalità.
E’ chiaro che tale favoreggiamento della clandestinità costituisce anche un grave incentivo in favore della illegalità e quindi del crimine. Se il potenziale immigrato sa già in partenza che può entrare violando le norme d’ingresso e di permanenza del Paese ospitante, egli si convincerà di poter violare anche le leggi che riguardano il lavoro e l’ordine pubblico di quel Paese. E così, la tanto sbandierata politica della legalità si rovescia nell’incentivo all’illegalità.
Questo comportamento irresponsabile del Governo è stato denunciato perfino dal Forum delle Comunità Straniere in Italia, per bocca della sua presidente Loretta Capponi. “La politica dei flussi fatta dal governo di centro-sinistra fino ad ora non ha funzionato. (…) Se il Governo annuncia nuovi permessi o sanatorie, l’afflusso dei clandestini immediatamente aumenta. Noi siamo impegnati da anni in una politica di dissuasione dalla clandestinità, ma adesso è il Governo ad alimentare false speranze. (…) Nella sanatoria, si mettono insieme gli immigrati che devono soltanto rinnovare il permesso di soggiorno – che quindi hanno già un lavoro e una casa – con gli stranieri clandestini. Per sanare la situazione di questi ultimi, si è finito per penalizzare i primi. (…) Il risultato finale è inevitabilmente una sanatoria generalizzata, che penalizza i regolari” (9)
Nella sua ossessione di favorire il fenomeno migratorio, il Governo giunge talvolta a permettere che le stesse norme di legge vengano eluse o perfino trasgredite, se ostacolano gli ingressi. L’imputabilità del reato e la certezza della pena vengono sospese, pur di facilitare l’ingresso e l’insediamento degli immigrati, anche clandestini.
Lo dimostra il caso della nota circolare che il 22 marzo 2000 il Ministero degli Interni ha indirizzato alle Questure italiane. Essa invitava le Questure a rilasciare un’autorizzazione provvisoria agli immigrati dalla problematica identificazione, al fine di evitarne l’espulsione (10). Ciò costituisce una impunità per quei clandestini che intendono evitare l’espulsione, girare per l’Italia con una parvenza di legalità e dedicarsi ad attività equivoche.
Il tutto viene aggravato dalla “santificazione” dell’illegalità tentata dal Coordinamento delle Comunità di Accoglienza, il cui presidente don Albanesi, ritenendo che “l’accoglienza dell’immigrato illegale è comunque doverosa“, esorta alla disobbedienza civile contro le leggi che ostacolano gli ingressi (11).
Dalla illegalità alla criminalità
Favorendo l’illegalità il Governo finisce col favorire anche quella criminalità che vive proprio grazie al brodo di coltura dell’illegalità ed alla irresponsabile tolleranza dei poteri statali e mass-mediatici. La condizione di immigrato diventa così una sorta di “zona franca” che permette di commettere crimini senza esserne responsabile né punibile, anzi godendo di giustificazioni ufficiali, come un tempo accadeva alla condizione di “contestatore“. Un noto studioso ammonisce che “l’immigrazione irregolare tende a selezionare persone con una propensione al rischio e una disponibilità a violare le leggi maggiore di quella regolare” (12).
Infatti non tutti gli immigrati vengono da noi per motivi economici: “se ne sono aggiunti altri in cerca di avventure, di occasioni di rapido arricchimento e dunque con una propensione per il rischio e una disponibilità a violare la legge molto maggiore. Alcuni di questi appartengono a potenti organizzazioni criminali internazionali; altri fanno invece parte di gruppi piccoli e coesi che vengono in Italia con l’unico fine di svolgere remunerative attività illecite. (…)
La crescita della criminalità e degli irregolari è stata tuttavia favorita anche dall’inefficienza del sistema dei controlli interni del nostro Paese. La legge Martelli e la mancanza di collaborazione da parte dei Paesi di origine hanno di fatto reso impossibile, negli ultimi 8 anni, l’espulsione dall’Italia degli stranieri privi di permessi di soggiorno. Questa situazione ha avuto due diverse conseguenze. La prima è che, paradossalmente, gli irregolari hanno goduto di una impunità maggiore dei regolari. (…)
La seconda conseguenza è che si è formato un esercito numerosi di persone che, non riuscendo a rientrare nel mercato del lavoro lecito, si dedicano a tempo pieno alle attività illecite” (13).
Da queste premesse, non meraviglia la grave incidenza del fattore immigrazione sulla criminalità in Italia: circa l’80 per cento dei crimini commessi in Italia è infatti imputabile a immigrati extracomunitari, che riempiono le nostre carceri. Emblematico il caso di Roma: qui l’85 per cento dei crimini viene commesso da extracomunitari; il 12 per cento di loro è pluri-recidivo (14).
Il tasso di delinquenza tra gli immigrati è molto più altro che tra gli italiani: 1,5 per cento contro lo 0,1 per cento, ossia 15 volte maggiore. Lo stesso Ministero degli Interni, nella sua relazione del 1999 sull’ordine pubblico, ammette che “nuove realtà criminali sono germinate dagli ampli flussi migratori” (15).
Eppure la Sinistra, che cerca sempre di trasformare gli aggressori in vittime, pretende che gli immigrati detenuti vengano liberati, perché verrebbero rinchiusi non in quanto delinquenti ma solo in quanto immigrati, e ritiene che in ogni caso essi avrebbero tutti i diritti di delinquere per rimediare alla loro “emarginazione“. Ad esempio, la sociologa comunista Chiara Saraceno, una delle promotrici della politica governativa sul tema, chiede l’impunità per certi immigrati criminali, sostenendo che “molti crimini derivano dalle condizioni in cui sono costretti a vivere gli immigrati; molta illegalità è una conseguenza vuoi delle norme, vuoi dei pregiudizi, oltre che delle convenienze degli italiani, del modo in cui trattiamo gli immigrati” (16).
Immigrazione e mercato del lavoro
Si tenta di dare alla politica immigrazionista del Governo una giustificazione economica, ripetendo spesso che l’immigrazione in massa sarebbe richiesta dal mercato del lavoro italiano: questo esigerebbe nuova manodopera per impieghi che non vengono svolti – o vengono svolti in maniera insufficiente – dai lavoratori italiani. In realtà la situazione è ben diversa.
Un esperto come il già citato Marcello Pacini obietta che questo non è un giudizio economico bensì politico. Egli fa notare che non sono mai stati forniti dati convincenti sulla presunta necessità economica di un mercato di lavoratori immigrati, anche se talvolta viene quantificato con cifre del tutto ipotetiche. “Dedurre da questo che un terzo del fabbisogno di manodopera nell’industria e nei servizi potrà essere coperto solo ricorrendo al lavoro immigrato, è operazione arbitraria e priva di valore scientifico” (17).
Del resto, come notano i sociologi, quella che preme alle porte non è una immigrazione “di domanda“, ossia richiesta da un mercato del lavoro, ma al contrario è una immigrazione “di offerta“, che vorrebbe inserirsi in un mercato che non la richiede”. (18). Va poi notata una cosa strana. Fra gli extracomunitari già provvisti di permesso di lavoro e iscritti nelle agenzie di collocamento, solo un quarto ha ottenuto un posto; gli altri tre quarti sono ancora disoccupati o sottoccupati (19).
Ma allora, come mai la Confindustria e i Sindacati non si preoccupano di far assumere i lavoratori già disponibili, prima di reclamarne di nuovi? E come mai, prima di ricorrere ad immigrati presenti o futuri, non si assumono disoccupati italiani, più abili ai lavori in questione?
Viene il dubbio che, in realtà, sia Confindustria che i Sindacati desiderino favorire un incremento di manovalanza immigrata: l’una, per ottenere operai disponibili, a basso costo, senza pretese né garanzie; gli altri, per raccogliere seguaci da impegnare in una nuova lotta di classe. Ciò viene suggerito da un’altra cosa ben strana.
Il Governo, da una parte, in nome dei diritti sindacali, nega quella relativa liberalizzazione del mercato del lavoro che favorirebbe le assunzioni dei lavoratori italiani; dall’altra però favorisce una sorta di deregulation per favorire le assunzioni di immigrati irregolari o clandestini. Questi infatti possono trovare lavoro senza passare per il pubblico collocamento, al di fuori delle procedure burocratiche, possono essere assunti senza regolare permesso, senza fornire assicurazioni e garanzie, nemmeno sanitarie o penali.
Mentre l’italiano può essere assunto solo con posizione regolare, al contrario all’immigrato basta il solo fatto di essere assunto (anche se fittiziamente e precariamente) per riceve automaticamente la “regolarizzazione” agli occhi della legge. Si tratta quindi di una vera e propria forma di favoreggiamento del lavoro extracomunitario, che evidentemente si traduce in una discriminazione alla rovescia, ai danni cioè del lavoratore italiano e regolare.
Anche qui, tutto congiura perché il lavoro “sporco” tenda a soppiantare quello “pulito“, creando zone franche di economia criminale e parassitaria che prosperano anche perché esenti da quei pesi, legacci, responsabilità e controllo che gravano sull’economia legale.
Già oggi, difatti, gli studiosi fanno notare che, se certi posti di lavoro vengono occupati da stranieri, ciò non accade tanto perché vengano rifiutati dagli italiani, quanto perché gli immigrati accettano condizioni di lavoro evitate dai locali, “perché collocate al di sotto del livello di garanzia, di sicurezza, di reddito e di protezione considerato accettabile nell’attuale fase di sviluppo sociale” (20).
Proprio questa forzata disponibilità degli immigrati ad accettare posti a condizioni basse e incerte tende a falsificare e degradare il mercato del lavoro, consentendogli di abbassare il livello di onestà e qualità favorendo l’oifferta irregolare e mettendo in crisi quella regolare e qualificata. Ma così viene colpita non solo la certezza del diritto e l’eguaglianza di trattamento ma anche la sicurezza del lavoro: infatti, con queste premesse, l’economia si orienterà sempre più verso la ricerca del lavoro “elastico“, senza legacci e semiclandestino fornito dagli immigrati.
Parità di diritti o privilegi di parvenu?
In realtà, la politica di “libero ingresso” degli immigrati non ha motivi economici bensì politici. La Sinistra al governo mira ad organizzare le masse immigrate trasformandole in un “nuovo proletariato“, una classe rivoluzionaria rimediata dopo l’esaurimento di quella operaia. Questa nuova avanguardia, stavolta voluta non più come fattore di progresso bensì di regresso, potrebbe essere usata come truppa d’assalto da lanciare contro le ultime resistenze alla tribalizzazione e alla caotizzazione dell’Italia.
Una condizione perché questo progetto riesca è evidentemente che gli immigrati godano non solo dei normali diritti che spettano ad ogni ospite, ma anche di diritti speciali che spettano solo ai cittadini italiani. Ecco quindi che la Sinistra punta a concedere agli extracomunitari il pieno riconoscimento di cittadinanza, almeno una “cittadinanza di servizio“.
Già il decreto legge n.286 e la legge n.40 del 1998 hanno stabilito che “lo straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano” (art 2). Si noti che il “soggiornante” è chi ha ottenuto quel permesso di soggiorno che ormai non viene negato a nessuno.
In questo modo, la qualifica di cittadinanza – con tutto il suo peso di radicamento, di doveri e responsabilità – viene assurdamente estesa al mero soggiorno, senza assunzione di doveri e responsabilità verso la comunità ospitante. Ecco un esempio di come l’astratta “parità dei diritti“, non tenendo conto delle differenze di condizione, si traduce in concreto nel privilegio del “parvenu“. Non essendoci più nessuna distinzione sostanziale tra residenza e cittadinanza, è chiaro che risulta impossibile negare a un qualsiasi extracomunitario un qualche diritto civile, compreso quindi quello di eleggere e di essere eletto.
A livello europeo, la manovra per concedere il voto agli immigrati è già partita. Nel marzo scorso, una risoluzione dell’Euro-Parlamento ha chiesto “che vengano approvate, nei singoli Stati membri, nuove leggi elettorali che permettano, in occasione delle elezioni europee e municipali, di estendere il diritto di voto e l’eleggibilità ai cittadini extracomunitari residenti nel loro territorio da più di 5 anni” (21).
Questa richiesta è stata immediatamente rilanciata in Italia dal Ministro per gli Affari Sociali, Livia Turco, e dal segretario dei Democratici di Sinistra, Walter Veltroni (22). Posizione analoga ha preso il presidente del Senato, Nicola Mancino (PPI), secondo il quale “convivere con gli immigrati significa convivere con i cittadini di domani” (23).
La Sinistra non si limita a pretendere una parificazione dei diritti individuali, ma propone anche di varare una forma di “cittadinanza differenziata” che favorisce le minoranze immigrate nella loro qualità di gruppi etnico-religiosi. Questa manovra mira a inserire forme politico-giuridiche “pluraliste” che prevedano la tutela ed anzi la promozione di alcuni che – essendo, come nel celebre racconto di Orwell, “più uguali” degli altri – potranno godere di diritti speciali.
La condizione di immigrato costituirà una sorta di “zona franca” esente dall’imputabilità di norme etico-giuridiche: ad esempio, certi gruppi non saranno responsabili di fronte alla legge per le conseguenze di certe loro usanze o comportamenti tribali. Questa rivoluzione giuridica mina l’unità nazionale, la sovranità statale e la stessa certezza del diritto; e difatti la Sinistra ammette esplicitamente di voler promuovere una nuova forma politica basata sulla “incertezza del diritto“, sul conflitto sociale fra “appartenenze” contraddittorie, e sulla frammentazione civile (24).
Una “integrazione” disintegrante
Per giustificare i vari privilegi riservati agli immigrati si tenta di motivarli col fatto c’essi andrebbero “integrati” nella società italiana: una volta inseriti nella vita civile, partecipandovi a pieno titolo e godendo di tutti i diritti, essi cesserebbero di essere pericolosi ed anzi diventerebbero una componente positiva che arricchirà l’Italia. Tutto starebbe nell’evitare una pericolosa emarginazione.
Ma già l’uso che qui si fa del termine integrazione è alquanto strano. Nel suo senso rigoroso, infatti, integrare significa qui inserire nel tessuto sociale un corpo estraneo che, adattandosi alle esigenze e condizioni di vita dell’ospitante, ne diventa organicamente membro, sottomettendosi non solo alle leggi ma anche ai valori fondanti.
Invece, i fautori dell’immigrazione sostengono che gli stranieri avrebbero diritto ad un altro privilegio: quello di essere esenti non solo dal dovere di gratitudine verso la nazione ospitante, ma anche dal dovere di rispettarne i valori fondanti e perfino l’ordinamento giuridico.
Gli immigrati avrebbero anche un cosiddetto “diritto di differenza” che comporterebbe il diritto di mantenere non solo la propria cultura ma anche le proprie usanze e il proprio sistema giuridico, anche se in contrasto con quello italiano. Ciò significa in concreto che i gruppi immigrati si inseriranno nella nazione ospitante come corpi estranei, assumendo alla lunga una posizione conflittuale che finirà col minacciare l’integrità dell’Italia.
Questa “integrazione” diventerebbe un fattore dissolvente ai danni delle nazioni europee, scardinandone l’omogeneità culturale e la coerenza giuridica, che andrebbero sostituiti da una artificiosa e contraddittoria “solidarietà fra estranei“, secondo la formula lanciata da un altro guru della Sinistra, Jurgen Habemas (25).
Davvero strana questa “integrazione” che, col pretesto di preservare l’”integrità” del corpo estraneo, esige la disintegrazione di quello autoctono! Davvero strana questa esaltazione dell’”identità” degli ospiti che presuppone però la perdita di identità dell’ospitante! Tutto questo deriva dal grave pregiudizio di base, secondo cui la nazione ospitante avrebbe solo doveri (nessun diritto) verso gli ospiti, mentre costoro avrebbero solo diritti (e nessun dovere). Paradossalmente, quella stessa integrità culturale che, quando è in favore delle comunità immigrate, viene esaltata come un valore assoluto, quando invece costituisce una difesa degli italiani e degli europei viene denigrata e rifiutata come un disvalore assoluto.
Altro esempio di come una astratta “par condicio” si traduce in un privilegio affermato per gli uni e negato agli altri. La giustificazione ideologica di questo progetto di caotizzazione sociale viene chiamata multiculturalimo. Esso pretende che uno Stato debba non solo assimilare ma anche tutelare le culture e le usanze presenti nelle comunità ospitate, senza alcuna distinzione basata su giudizi di valore, e senza gerarchie, in modo paritario.
Si dimentica però che, se uno Stato può integrare una pluralità di razze, dev’essere ben più cauto nell’accettare una pluralità di culture, le quali vanno gerarchicamente subordinate alla cultura della nazione ospitante, allo scopo di preservare l’identità civile e l’unità statuale. Se poi alcune di queste culture si basano su codici etici contrastanti e quindi propagano comportamenti inconciliabili con il bene comune e l’ordine sociale, la cautela dovrà essere anche maggiore.
Un popolo, infatti, non può accettare un pluralismo etico-giuridico, che non solo getta la società nella “incertezza del diritto“, ma anche la immerge in quello che gli stessi immigrazionisti chiamano “il conflitto di civiltà” (26). Domandiamoci allora: quale sarà la cultura della società “multiculturale” generata dalle migrazioni in Europa?
Sarà un sincretismo omologato e pacifico, nello stile della pubblicità United colors of Benetton? O non sarà piuttosto un calderone conflittuale e caotico, una guerra civile etnica, una balcanizzazione dell’Europa? Dato che molte comunità immigrate si qualificano per la loro appartenenza religiosa, non si arriverà ad impiantare nel cuore dell’Europa un “politeismo” (27) passibile di degenerare in un pandaemonium?
Sull’onda del citato ammonimento del cardinale Biffi, anche un cattolico di sinistra come l’economista Stefano Zamagni ha criticato il progetto “multiculturale” . Infatti “il rischio è che, mescolando ingredienti fra loro non combinabili si ottengono risultati perversi“, come nel caso di culture che abbiano concezioni fra loro inconciliabili su argomenti quali la scuola, la famiglia o la stessa persona umana.
“Se si conviene che non tutti gli aspetti delle diverse culture sono degni di uguale considerazione, il problema che sta di fronte a noi è allora quello di discernere ciò che, di una data cultura, è condivisibile, rispettabile, tollerabile, e ovviamente ciò che non può essere tollerato. (…) Ciò è ancor più necessario per scongiurare il rischio di confondere la tolleranza o il rispetto per le diversità culturali con forme di complicità con le violazioni dei diritti fondamentali che, in nome dell’interculturalismo, potrebbero essere compiute e razionalizzate” (28).
Posizione analoga ha presi il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio: “La prefigurazione di società multietniche può diventare un’astrattezza, se dovessero smarrirsi la questione identitaria e la necessità di un baricentro nei valori di una comunità (…). Dalle tradizioni dei nuovi venuti può scaturire una contaminazione fruttuosa, nella misura però in cui esse siano compatibili col nostro ordinamento. Coloro che arrivano devono accettare ordinamenti, lingua e cultura del Paese, e un nucleo condiviso di valori, diritti e doveri; ad essi si deve chiedere un’adesione piena, senza riserve” (29).
La falsa alternativa: Globalizzazione o Babele?
Se il primo rischio da evitare consiste nel chiudere gli occhi di fronte al pericolo migratorio, illudendosi di poterlo eludere o ammansire, il secondo rischio consiste nel cadere in una falsa alternativa. Il progetto immigrazionista infatti potrebbe diventare una falsa alternativa al progetto di globalizzazione livellatrice (già in crisi) imposto dall’utopia della Repubblica universale, di cui l’Unione Europea costituisce la preparazione prossima.
La propaganda della Sinistra, infatti, rivolge all’europeo medio una proposta che potremmo così riassumere: “Sei contrario alla grigia burocratizzazione dell’Europa unita? Vuoi evitare l’omologazione delle culture, delle usanze, perfino della gastronomia, imposte dal Mercato Unico? Desideri difendere la tua identità (etnica, culturale, religiosa) dalla Globalizzazione? Allora ribellati, risali alle tue origini (magari tribali e pagane), rivendica il tuo diritto alla diversità, cospira con tutte le altre etnie, culture, religioni per realizzare la nuova Babele in cui tutte le diversità conviveranno conflittualmente, trasformando l’Europa in un micro.mondo!“.
Questa falsa alternativa potremmo simboleggiarla rievocando due noti film di fantascienza: da una parte Metropolis (di Fritz Lang), che descrive una società omologata, grigia e oppressiva, in cui tutti fanno lo stesso lavoro e non c’è spazio per nessuna libertà; dall’altra Blade runner (di Ridley Scott), che descrive una società disgregata e caotica, dominata dal conflitto fra tribù metropolitane abbrutite dalla droga e in cui l’ordine è impossibile.
La prima società è immagine della globalizzazione, la seconda della caotizzazione. Entrambe sono disumane, oppressive e totalitarie; l’una è il riflesso e il completamento dell’altra, si giustificano e si sostengono a vicenda, e oggi si presentano come se l’una fosse il rimedio dell’altra (come ieri accadeva per la falsa alternativa liberalismo/comunismo).
La società babelica, tipo Blade runner, costituisce quel progetto neo-socialista, avanzato dalla “teoria del caos“, che il Centro Culturale Lepanto giò dieci anni fa si era premurato di denunciare (30). Sfruttando l’invasione migratoria e le tendenze conflittuali esterne e interne alle nazioni, questo neo-socialismo mira ad imporre una rivoluzione culturale, ulteriore a quella comunista, che distruggerà ogni residuo di civiltà cristiana, di memoria storica autenticamente europea, per far posto ad un caotico calderone di etnie, culture e religioni in cui vivere secondo il Vangelo sarà umanamente impossibile, per mancanza di ogni sostegno e difesa non solo economici o politici, ma perfino culturali e religiosi.
Nella Babele “multietnica, multiculturale e multireligiosa”, tutti gli errori, i vizi e le ingiustizie non solo avranno diritto di cittadinanza, ma verranno anche promossi ufficialmente dai poteri pubblici; ogni forma di convivenza verrà parificata alla vera famiglia; ogni tribù verrà parificata alle autentiche e sane comunità sociali; ogni setta (comprese quelle sataniche) verrà parificata alla vera Chiesa.
Siccome però questa babele non potrebbe imporsi se non venisse prima liquidata ogni forma di resistenza, la tanto propagandata parità di tutte le culture, morali e religioni si rovescerà necessariamente nella persecuzione della sola società che tutt’ora si oppone al pandaemonium postmoderno: la Chiesa cattolica.
E così, ancora una volta, la falsa libertà, ossia la licenza, si rovescerà nell’autentico sopruso, nella violenza totalitaria. A questa eventualità, che già si delinea all’orizzonte, bisogna che i cristiani si trovino preparati. Comunque sia, il mondo cristiano è moralmente obbligato a non cadere nella insidia che gli viene tesa e a rifiutare la falsa alternativa che gli viene proposta. Non si rimedia ad un errore abbracciano quello “opposto“, così come non si guarisce da un veleno ingurgitandone un altro, ma piuttosto prendendo l’antidoto.
La vera alternativa, il vero antidoto, resta quello di recuperare i principi fondanti della civiltà cristiana, di riviverne le virtù, di ricostruire o restaurarne gli ambienti e le istituzioni, a cominciare dalla famiglia. Se l’Europa vuole evitare il caos della Babele multiculturale, essa dovrà rifiutare sia il solidarismo immigrazionista che le tentazioni xenofobe. Se poi essa è destinata ad accogliere nuovi popoli nel suo seno, essa dovrà integrarli nella propria civiltà cristiana restaurata. Non esiste infatti altro “modello integratore” che quello della Cristianità, in forza dell’universalismo che le viene dall’unica vera Fede nell’unico vero Dio.
Se verrà seguita questa strada, drammatica e dolorosa ma feconda, che sembra indicata dalla Divina Provvidenza, l’Europa non solo si salverà, ma adempierà nuovamente la propria missione storica di civilizzatrice e cristianizzatrice del mondo. Ma la condizione preliminare alla salvezza è che, nel crogiolo dei disordini che la minacciano, l’Europa stessa si purifichi ritrovando la propria antica Fede e ritornando a professarla pubblicamente; in questo modo, ridiventata autorevole anche agli occhi dei popoli immigrati, sarà in grado di portarli alla Verità e quindi alla Civiltà.
Note
(1) Cfr “Lepanto”, n.116-117, pp 6-14, e n. 118-119, pp 6-13
(2) G.Biffi, Immigrazione, L.D.C. Torino 2000
(3) Cfr ad es le interviste di G.De Rita, G.Bolaffi e U.Melotti su Avvenire del 26-2-2000 e dell’8-9-1999, nonché il libro di G:Sartori Pluralismo, multiculturalismo ed estranei, Rizzoli, Milano 2000
(4) Cfr la denuncia documentata di Guillaume Faye, La colonisation de l’Europe, L’Aencre, Paris 2000
(5) Cfr M.Berger in Immigration: approche crétienne, Action Familiare et Sociale, Paris 1998. Secondo l’ONU, l’Europa dovrebbe accogliere almeno 20 milioni di immigrati per evitare la crisi demografica e rilanciare la propria economia!
(6) Corriere della Sera , 1-4-2000
(7) Cfr ad es i duri giudizi del prof. Melotti (in Aa. Vv. L’abbaglio multiculturale, SEAM, Roma 2000, pp 11-44) e dello stesso Guido Bolaffi, capo di Gabinetto del Dipartimento Affari Sociali.
(8) Intervista su l’Unità, 19-3-2000. Si noti che si tratta dello stesso sofisma sinistrorso avanzato ieri per legalizzare l’aborto ed oggi la droga.
(9) Intervista su Il Giornale, 14-7-2000
(10) la Repubblica, 28-3-2000
(11) Cfr Avvenire, 21-6-1996 e 11-1-1996
(12) M.Barbagli Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna 1998, p 10
(13) Ivi, pp120-122
(14) Cfr la Repubblica, 8-2-2000
(15) Corriere della Sera, 15-11-2000
(16) l’Unità, 30-3-2000. Quest’assurda pretesa è stata contestata dallo stesso direttore nazionale degli Istituti di Pena, Gianfranco Caselli, nella sua relazione Legalità, sicurezza e giustizia, (cfr “Il Regno – attualità”, 14/2000, pp 433-437)
(17) Avvenire, 31-3-2000
(18) Cfr U.Melotti, L’immigrazione, una sfida per l’Europa Ed Associate, Roma 1992. Lo ammette implicitamente il Rapporto OCSE 2000 (cfr Avvenire, 20-1-2000)
(19) Cfr Panorama, 27-7-2000
(20) E. Pugliese, Quale lavoro per gli stranieri in Italia, in “Politica ed Economia”, Roma 1985, n.9 pp 69-70; U.Melotti, L’immigrazione, una sfida per l’Europa, cit.
(22) l’Unità, 17-3-2000
(23) Avvenire, 21-2-2000
(24) Sulla “cittadinanza differenziata”, cfr. W.Klymca, Cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna 1999; sulla “incertezza del diritto”, cfr. K.H. Ladeur, Prospektive einer postmodern Rechtstheorie, in “Rechtstheorie” (Berlino), n.16 pp 384-427.
(25) J.Habermas, Solidarietà fra estranei, Guerini – Milano 1997
(26) Cfr. card. R Etchegaray, Solidarietà pour les novelles migrations, Relazione al Terzo Convegno del Pontificio Consiglio per i Migranti, Roma 1991, p. 7
(27) Di questo pericolo parla U.Melotti, L’abbaglio multiculturale, SEAM, Roma 2000, p. 62
(28) Avvenire, 4-10-2000
(29) Corriere della Sera, 17-10-2000
(30) Cfr R. de Mattei 1990-2000. Due sogni si succedono. La costruzione e la distruzione Edizioni Fiducia, Roma 1990