Le conseguenze della denatalità colpiranno sia i paesi ricchi sia quelli poveri
di Ornello Vitali
ordinario di statistica economica alla Sapienza di Roma
In effetti, certamente, in un mondo finito non possiamo supporre una crescita infinita della sua popolazione. Tuttavia non può sostenersi semplicisticamente che i problemi ambientali del pianeta dipendano soltanto dalla sua sovrappopolazione, quanto anche dalla quantità delle cose che si producono e da come esse vengono prodotte.
In questi più ragionevoli termini l’accento si sposta dal numero degli uomini alla sostenibilità dello sviluppo e, di conseguenza, all’impatto che gioca la tecnologia. Nel senso che nuove tecnologie consentono di produrre di più causando meno danni all’ambiente.
Qui però i calcoli divengono complicati poiché la crescita sostenibile dipende dalle ipotesi che vengono assunte nello sviluppo tecnologico, ipotesi in gran parte soggettive, come dimostra la serie di previsioni catastrofiche avanzate nel tempo dai futurologi, che non hanno trovato realizzazione (tipico è il caso delle molto propagandate tesi avanzate nel rapporto Meadows del 1972 e fatte proprie dal Club di Roma).
Il problema è comunque presente e all’attenzione delle classi dirigenti dei vari stati, anche se non può non convenirsi sul fatto che si procede con troppa lentezza nella sua soluzione; ciò accade, ovviamente, a motivo dei diversi interessi strategici ed economici portati avanti da date nazioni nei confronti di altre (tra l’altro, proprio in questi giorni si tiene a Trieste una riunione del G8 ambientale che esamina i temi in questione).
Conviene allora ritornare al (relativamente) più semplice problema dello sviluppo demografico che, come ormai sostengono molti dei più importanti esperti del ramo, non va più visto in termini di esplosione della bomba demografica , quanto di uno sviluppo logistico dell’aggregato mondiale della popolazione, che pertanto, non prevede una crescita infinita, ma una sua tendenza a un limite che non verrà superato.
Posta in questi termini la questione muta d’accento e di significato, in particolare dal punto di vista geopolitico anche se essa, non scema di importanza, assumendo rilevanti conseguenze nei rapporti fra nazioni con speciale riferimento a quelle economicamente sviluppate e quelle in via di sviluppo. Per ancorare il ragionamento a un caso concreto citiamo il caso dell’Italia.
Sarà forse sfuggita a molti lettori la notizia che è aumentata recentemente di un anno l’età media della popolazione italiana. Per valutare meglio tale circostanza, può precisarsi che essa è passata dai 39,4 anni del 1992 ai 41,4 del 1999. Ciò sta a significare che, malgrado il verificarsi di notevoli flussi di migranti nel nostro paese, in particolare di extracomunitari, esso è soggetto a un rapido invecchiamento, a cui si accompagna una sempre più marcata diminuzione della corrispondente popolazione.
Quello dell’invecchiamento è una caratteristica comune a tutti i paesi economicamente sviluppati, come hanno messo in evidenza le recenti previsioni demografiche dell’Onu, che, a fronte di un incremento dai 5,9 miliardi attuali ai circa 9 della popolazione mondiale nei prossimi 50 anni, valuta che quella dei paesi all’avanguardia dello sviluppo economico rimarrà pressappoco costante (da 1,18 a 1,16 miliardi), mentre le regioni meno sviluppate faranno registrare un incremento di oltre 3 miliardi (da 4,72 a 7,75).
Un vero e proprio terremoto che condizionerà in profondità i rapporti internazionali. In particolare, sempre con riferimento all’Italia, perdurando l’accentuato ritmo di incremento del flusso di immigrati extracomunitari, muteranno sensibilmente le interazioni fra gruppi che lo costituiscono, a detrimento della popolazione autoctona.
In proposito, non appaiono affatto rassicuranti i confronti che vengono proposti fra le quote di stranieri e la relativa popolazione complessiva riguardante i paesi europei. E vero che l’Italia evidenzia una proporzione relativamente bassa (2,9% residenti), ma queste misure, pure importanti, nascondono quale sia il ritmo di incremento realizzatosi negli ultimi anni: ed esso è piuttosto elevato (era pari all’1,9 nel 1996). Il che accentuerà i problemi già sorti, onde assicurare agli immigrati condizioni di vita non degradanti.
Queste sommariamente descritte per l’Italia, quali che siano le forze politiche che, molto opportunamente, hanno affrontato il problema o, quanto meno, lo hanno proposto all’attenzione dell’opinione pubblica, è una questione che ha interessato o dovrebbe interessare tutti i paesi economicamente sviluppati.
Non vi è dubbio che, con l’affermarsi della globalizzazione, le conseguenze a cui daranno luogo ritmi così diversificati dello sviluppo demografico fra le varie aree risulteranno assai più gravi che nel passato. Conseguenze che riguardano non soltanto i paesi ricchi, ma anche quelli poveri, sui quali non è opportuno in questa sede indugiare, ma che appaiono non meno rilevanti.
Con riferimento al dato mondiale, dunque, non è lecito fare confusione, ma occorre rendersi conto che si è di fronte a una netta differenziazione di situazioni fra paesi ricchi e mondo povero, ciascuno con i suoi problemi: depauperamento demografico, da un lato, crescita ancora troppo rapida, dall’altro.
Al limite, appare fuorviante porre l’attenzione soltanto sull’esplosione demografica mondiale, ma occorre riflettere a fondo sui problemi strutturali che si produrranno nelle varie zone e, in particolare, su quelli causati dall’invecchiamento, sia nei confronti dei paesi ricchi sia riguardo al mondo povero. Trovare soluzioni non è facile, ma occorre cominciare ad approfondire le conseguenze di tali andamenti inerziali dello sviluppo demografico mondiale, onde evitare di trovarsi improvvisamente di fronte a situazioni catastrofiche e non più controllabili.