C’è un unica industria che gli ecologisti iettatori e catastrofisti non vogliono chiudere e che anzi incentivano continuamente ed è quella delle paure. E’ bastato avere un inverno con temperatura superiori alla media stagionale per scatenare gli scenari più apocalittici. Eppure se si ha il coraggio e la serenità di guardare la realtà senza essere influenzati dalla propaganda ecologista, è facile constatare che l’inverno mite apporta notevoli benefici sia alla qualità della vita che al benessere ambientale.
di Antonio Gaspari
Eppure se si ha il coraggio e la serenità di guardare la realtà senza essere influenzati dalla propaganda ecologista, è facile constatare che l’inverno mite apporta notevoli benefici sia alla qualità della vita che al benessere ambientale. Un inverno meno freddo riduce enormemente le spese ed i consumi di combustibili utilizzato per il riscaldamento delle abitazioni e degli edifici pubblici e privati. In termini economici la riduzione dei consumi sta favorendo il calo del prezzo del greggio sui mercati internazionali.
Dal punto di vista ambientale il minor consumo di combustibili, riduce le emissioni gassose e la produzione di polveri. In merito alla sanità i medici sostengono che a causa della clima mite, l’influenza di stagione per questo inverno, è stata messa fuori gioco. Ci potrebbe essere un picco influenzale a metà febbraio, ma con effetti molto attenuati. Così come non è vero che flora e fauna soffriranno per l’inverno più mite, al contrario ne beneficeranno.
Luce e calore favoriscono la vita mentre freddo e buio la limitano. Con inverni più miti, volatili appartenenti a specie rare vengono a svernare in Italia. Agli animali come all’uomo piace il tepore, e per gli uccelli che vengono dal Nord fermarsi nel Mediterraneo è un vero godimento. Anche i trasporti beneficiano dell’inverno mite. Meno neve, ghiaccio e nebbie rendono più sicura la guida degli automezzi e riducono i rischi ed il numero di incidenti. In termini globali poi, se il fenomeno non si limiterà solo a questo inverno, si può pensare alla possibilità di aprire la rotta che collega l’Atlantico al Pacifico passando attraverso l’arcipelago artico, il mitico passaggio a Nord Est.
Se una tale opportunità diverrà praticale, i commerci tra New York e Tokio si ridurranno di 7000 chilometri, con enormi vantaggi per la riduzione dei consumi di combustibile e per le opportunità economiche che si apriranno su coste e territori attualmente impraticabili per le bassissime temperature. Se la temperatura media salirà le coste di Alaska, Canada, Russia, Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, Islanda e Groenlandia, potrebbero liberarsi in parte dai ghiacci, favorendo la vita e lo sviluppo non solo di attività lavorative ma anche di una rinnovata e arricchita biodiversità.
L’ideologia ecologista guarda all’aumento della temperatura della Terra come alla più catastrofica degli eventi. In realtà, come dimostra la storia del Pianeta, la vita precedente di flora e fauna e quella successiva dell’umanità, si è sempre sviluppata in periodi pari se non più caldi di quello odierno. Durante il Mesozoico, (da 245 a 65 milioni di anni fa) quando la Terra era popolata dai dinosauri ed erano sorti enormi boschi di conifere, la temperatura era di circa dieci gradi superiore a quella odierna.
L’uomo di Similaun, (datato 5.500 a.C.) faceva parte di una popolazione di cacciatori e pastori che viveva sulle Alpi a quote comprese tra i 2-3000 metri di altitudine , vestendo abiti leggeri. Secondo i paleontologi che hanno studiato la civiltà Camusa, giunta al suo massimo sviluppo nel 3000 a.C., in quel tempo il clima in Val Canonica era subtropicale umido. Nella primavera del 218 a.C. Annibale attraversò le Alpi con 40.000 uomini e numerosi elefanti. Non esistevano gallerie, e di certo non c’era neve sui passi alpini.
In tempi più recenti tra l’XI e il XIV secolo si verificò un marcato ritiro dei ghiaccia alpini e della Groenlandia. Le temperatura si era così alzata che era possibile coltivare la vite persino in Inghilterra e in Norvegia. Insomma, la storia del pianeta e dell’umanità è stata caratterizzata da periodi molto più caldi di quello attuale, ma non si sono verificate le catastrofi di cui si oggi si paventa l’arrivo. Una grande parte della comunità scientifica internazionale sostiene inoltre che non è affatto dimostrato che sia l’umanità con le sue attività lavorative e le emissioni di anidride carbonica a determinare il riscaldamento del pianeta.
In un convegno che si è svolto in settembre, al Royal Insititute of Technology (KTH) di Stoccolma, un gruppo di autorevoli climatologi di fama internazionale ha stilato un documento in cui indica le certezze e solleva i dubbi circa la teoria del riscaldamento globale, indicando le linee di ricerca da seguire per comprendere e valutare l’attuale fase climatica. Al convegno hanno partecipato circa 120 esperti provenienti da 11 Paesi, i relatori erano tutti docenti di istituzioni tra le più prestigiose tra cui il Max Planck Institute for Meteorology, di Amburgo, l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (USA), il The Swedish Meteorological and Hydrological Institute (SMHI) (Svezia) il Centre of Sun Climate Research e il Danish National Space Research (Danimarca), il Natural History Museum, Department of Geology University of Oslo (Noirvegia), Il Laboratoire de Climatologie, Risques, Enviroment Francese, il Marine Geophysical Laboratory Australiano.
Gli scienziati registrano che il pianeta sta vivendo dal 1860 in un periodo relativamente mite, ma che non esistono prove sufficienti per dimostrare che ciò sia a causa delle attività umane. Ricordano che tra il 1940 ed il 1970 c’è stato un raffreddamento, il chè contraddice la teoria secondo cui la temperatura cresca parallelamente all’aumento dell’anidride carbonica.
I dati disponibili mostrano che dal 1970 la temperatura media del Pianeta sarebbe cresciuta di circa 0,3 gradi centigradi, ma secondo i climatologi riuniti a Stoccolma, questo sarebbe da imputare a fenomeni naturali ed in particolare alle variazioni dei cicli solari, ed ad altri fenomeni complessi come il calore terrestre e l’influenza degli oceani sul clima, la cui conoscenza è parziale, e che non sono stati presi in considerazione nei modelli di calcolo utilizzati.
I sostenitori della teoria del riscaldamento globale sostengono che la Terra abbia la febbre perché le attività umane producono troppi gas serra, soprattutto anidride carbonica (CO2). Gli scienziati replicano sostenendo che di tutti i gas serra la CO2 rappresenta solo il 2 per cento. E casomai bisognerebbe studiare l’andamento del vapore acqueo che costituisce circa il 90 per cento dei gas serra. In ogni caso le attività umane (tutte, anche quelle di normale respirazione) rappresentano il 4 per cento del totale dell’anidride carbonica emessa in atmosfera.
Il 96% della CO2 è infatti di origine naturale. Basta pensare ai vulcani. In una sola eruzione il Monte Merapi in Indonesia ha emesso una colonna di anidride carbonica alta più di tremila metri. Ed i vulcani in attività nel pianeta sono almeno 1500. Quindi se il problema è la CO2, non è certo il contributo antropico a determinare il clima. Per aver un’idea delle dimensioni delle forze in campo, gli scienziati ricordano che la Terra ottiene luce e calore dal Sole, la stella in continua esplosione termonucleare, il cui raggio all’equatore è pari a più di 100 volte quello della Terra e la cui massa è 743 volte quella totale di tutti i pianeti che gli girano attorno.
Ogni pur piccola variazione della temperatura e delle radiazioni del Sole hanno un effetto immediato e significativo sull’intero sistema solare, sul sistema climatico e di regolazione della temperatura terrestre. Per questo motivo, i climatologi riuniti a Stoccolma hanno affermato che le politiche che prevedono la “Carbon Tax” e il commercio sulle quote per la riduzione delle emissioni, sono costose, inefficienti e ininfluenti sul sistema globale. Inoltre, sottolineano gli scienziati, tali politiche “possono favorire l’abuso da parte delle parti coinvolte” per fini ideologici e commerciali