Rassegna di Teologia n.5 settembre – ottobre2006
di Francesco Villano
(NOTE)
1) Per un sintetico e chiaro inquadramento generale dell’Islam e della Civiltà arabo-islamica cf F. Villano, «Isiam tra origine e modernità», in Asprenas 48 (2001) 5-32.
2) Cf A. Ventura, «L’isiam della transizione (XVII-XVIII secolo)», in G. Filoramo (a cura di), Storia delle religioni-Isiam, Latenza (biblioteca universale), Bari-Roma 2003, 203-218
3) La sintesi bizantino-arabo-iranica creò la grande tradizione culturale musulmana, la cui vera forza e originalità è da ricercarsi nella flessibile e spregiudicata capacità che ha avuto nell’assimilare, ridefinire, riproporre e ricreare le varie culture e civiltà che ha incontrato nella sua espansione. Il pensiero filosofico antico venne ripensato e rivalutato, talvolta erroneamente inteso ma rivelando, in ogni caso, la sua persistente vitalità ed efficacia. Fu grande merito della cultura arabo-islamica l’aver riscoperto e custodito la scienza, e in particolare la tarda scienza antica, che in alcuni campi fu da essi anche superata. Numerosi furono gli scienziati tra cui: al-Battami, al-Farghani, al-Khuwariz-mi (astronomi e matematici); Avicenna, Abulcasis e Rhazes (medici fisiologi ed anatomici); Ibn al-Haitham (fisico) ed al-Biruni (genio scientifico che si può considerare il precursore orientale di Leonardo). Questo sapere antico (filosofico e scientifico), riscoperto e valorizzato, fu assimilato, nel basso medioevo, dalla cultura occidentale latina che trovò in esso quella provvidenziale quanto indispensabile linfa vitale di cui, da troppo tempo ormai, necessitava. Su questo punto si veda: F. Cardini, Noi e l’Islam. Un incontro possibile?, Laterza, Bari 2001, 122; F. Gabrieli, Lineamenti della dui Ita Arabo-Islamica, Marietti, Genova 1996, 103; N. Daniel, Gli Arabi e l’Europa nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1981, 488; A. Djeubar, Storia della Scienza Araba. Il patrimonio intellettuale dell’Islam, Ed, Raffaello Cortina, Milano 2002, 363.
4) Teologo siriano della scuola hanbalita (presente in Arabia Saudita, nei paesi del golfo persico e in alcune zone della Siria e della Giordania, è la più rigida delle scuole giuridiche sannite) resse le sorti del pensiero islamico dopo la caduta di Baghdad nel 1258 ad opera dei mongoli. Cfr A. Ventura, L’Islam sunnita nel pensiero classico (VII-XVI sec.) e S.Noja, Il risveglio del pensiero islamico in G. Filoramo (a cura di), Storia delle religioni. 3 Religioni dualiste e Islam, Laterza, Bari-Roma 1995, 182-189, 259; A.Ventura, L’Islam della transizione (XVII-XVIII secolo) cit.2007.
5) Cf S. Noja, «Il risveglio del pensiero islamico», cit., 259-271; P. Minoret, Sull’orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita, Feltrinelli, Milano 2004, 245.
6) II significato letterale del termine Corano (Al qur’an) è recitazione o recitato. È il libro sacro dei musulmani e si compone della collezione ufficiale di tutte le rivelazioni, raccolte in 114 capitoli (sure in arabo), ricevute da Muhammad. Quindi per i musulmani il Corano non è opera di Muhammad, ma diretta parola di Dio. Il profeta non fu che l’intermediario fisico della rivelazione. Secondo lo stesso Corano, l’archetipo celeste del libro è disceso in chiara lingua araba sul Profeta in un lasso di tempo determinato (610-632 d.C). L’Islam ortodosso sostiene che il Corano è il massimo miracolo che prova fa veridicità del Profeta. Dice anche che il Corano, in quanto Verbo eterno di Dio, è coeterno a Dio e increato. Per gli appartenenti all’Islam rappresenta non solo il codice religioso, ma anche quello etico-morale e in parte anche giuridico. La scienza orientalista è unanime (salvo rarissime eccezioni) nel l’accettare il Corano come autentica opera di Muhammad, il quale lo “trasmise” a brani dal 610 al 632. Il testo attuale è comunque, sia per i musulmani che per gli orientalisti, posteriore alla morte del profeta. E stato così ordinato (i versi più lunghi al principio e i più corti alla fine) da Zaid ibn Thabit (segrerario di Muhammad), su ordine dei primi califfi (da Khalifa – vicario), che succedettero al Profeta alla guida della comunità islamica. Cf Il Corano, introduzione, trad. e commento di A. Bausani, Rizzoli-Bibl. Universale, Milano 1998, XVII-LXXIX.
7) L’esigenza e l’urgenza di riformare l’Islam nacquero anche a causa della situazione politica mondiale del XVIII secolo. Allora il mondo musulmano era egemonizzato da tre imperi rivali: l’ottomano, il safavide e il moghul, con i rispettivi baricentri nella penisola anatolica, nell’altopiano iranico e nel subcontinente indiano. Questa costante rivalità non faceva altro che indebolire il mondo musulmano che già subiva la costante penetrazione europea (ritirata degli ottomani nei Balcani; avanzata degli inglesi in India; etc.). Contro questa situazione si rivolse, tra l’altro, la predicazione dei wahhabitì, che, in effetti, si indirizzò non tanto verso le potenze straniere quanto verso quelli che secondo loro tradivano e avvilivano l’islam dall’interno. Cf B. Lewis, La Crisi dell’Islam. Le radici dell’odio verso l’Occidente, Mondadori, Milano 2004, 109-110.
8) Tra l’altro giurarono di far regnare la parola di Dio con tutti i mezzi. Il soggetto fondamentale della bandiera saudita (due sciabole incrociate sotto una palma di datteri) commemora questa santa alleanza stretta per dare inizio a una rinascita del mondo musulmano nel segno della più rigida ortodossia della quale lo Stato è il garante. Cf S. «II risveglio del pensiero islamico», cit., 261.
9) Coloro che si dedicarono alla via mistica furono chiamati sufi dall’abito che indossavano fatto di suf (lana grezza); assai frequente è stata anche la proposta di far derivare la parola sufi dall’idea dì purezza (safa) o dal sostantivo suffa, che ricorda una categoria di poveri e pii personaggi che il profeta aveva ospitato sotto un portico (suffa) adiacente alla sua casa di Medina. In seguito si diffuse il termine tasawwuf (professare di essere un sufi) per indicare tutto l’ambito abbracciato da questa corrente spirituale. Per un approfondimento cf A. Ventura, L’islam sunnita nel periodo classico (VII-XVIsec,), cit., 240-255; L.V. Arena, // Sufismo, Mondadori, Milano 1996, 163; J. Masson, Mistiche dell’Asia, Città Nuova, Roma 1995, 209-244; P. Magnanini, Islamismo. Primo quaderno, ESD, Bologna 1995, 105-121.
10) In questo periodo il sufismo, in tutto l’ecumene islamico, vive una vera e propria rigenerazione. Purificato dalle deviazioni e da tutti quegli elementi che ne offuscavano i valori più autentici riuscì a darsi anche nuove strutture organizzative. Il movimento di rinascita, sorto nel secolo precedente in India ad opera di Shaykh Ahmad Sirhindi, viene definito come neo-sufismo. Tra gli altri esponenti di spicco, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, ricordiamo-, al ‘Arabi al-Darqawi in Marocco; Ahmad al-Tigani in Algeria; Khwaga Mir Dard in India e Muhammad ‘Uthman al-Mirghani in Eritrea. Cf A. Ventura, «L’islam della transizione (XVII-XV11I secolo)», cit., 211-215.
11) Hurdu è la lingua parlata dai musulmani dell’India; quasi identica all’hindnstani, una delle lingue della comunità hindu parlata prevalentemente al Nord, si avvale dell’alfabeto arabo.
12) Con chiarezza affermò la sua contrarietà a una fedeltà rigida e acritica verso gli insegnamenti delle autorità del passato; allo stesso tempo auspicò un ricorso diretto ai testi. In effetti egli fu un deciso assertore del libero arbitrio e della conseguente assunzione della responsabilità personale. Cf S. Noja «II risveglio del pensiero islamico», cit., 262-269.
13) Per Walì Allah non vi era opposizione tra mistica e Legge perché vedeva nella prima il compimento della seconda; il vero mistico non era più sottomesso alla Legge non perché la potesse rifiutare a un certo punto del suo percorso spirituale, ma perché la Legge era a tal punto interiorizzata sì da caratterizzarne il suo spontaneo e naturale agire. Cf S. Noja. «II risveglio del pensiero islamico», cif., 269; K. Fuad Allam, «L’islam contemporaneo», in G. Filo Ramo (a cura di), Storia delle religioni. 3. Religioni dualiste e Islam, Laterza, Bari-Roma, 1995, 294-296.
14) Cf K. Fouad Allam, «L’islam contemporaneo», cit., 273-300; E. Branca, Introduzione all’islam, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, 265-284.15.
15) Fino al 1700 si può dire, grosso modo, che anche sotto l’aspetto militare e statale si erano fronteggiati, alla ricerca del primato, due universi culturali diversi ma sostanzialmente omogenei. A partire dalla Rivoluzione francese, con il laicismo prima e il marxismo dopo, sarebbe stata portata una sfida al cuore dell’islam mettendone in predicato la stessa sopravvivenza. Cf S. Noja, «II risveglio del pensiero islamico», cit., 271.
16) Paradigmatica è la vicenda dell’emiro algerino ‘Abdal-Qadir (1807-1883). Considerato un eroe nazionale per essersi opposto con tutte le sue forze all’invasore francese, sembra operare, da un punto di vista occidentale, quasi una scissione tra un pragmatico e flessibile approccio alla realtà politica che tiene conto dei mutamenti della storia, e un’elaborazione intellettuale che non ha in alcuna considerazione il divenire delle cose. Cf A. Ventura, «L’islam della transizione (XVII-XVIII secolo)», cit., 215-218
17) Ricordiamo in particolare quella diretta da Rifa’ ai-Tahtawì (1801-1873), che risiedette in Francia dal 1826 al 1831. Cf K. Fouad Allam, «L’islam contemporaneo», cit., 275-281
18) Gli afghani sono prevalentemente sunniti (nel mondo, circa il 90% dei musulmani è sunnita).
19) Sosteneva che l’islam aveva bisogno di qualcosa di simile alla Riforma protestante; in tal modo introduceva il principio della distinzione tra l’autorità perenne dei testi fondatori della religione e quella transitoria delle scuole che avevano preteso di darne un’interpreta-zione definitiva senza averne alcun diritto. Cf P. Branca, Introduzione all’islam, cif., 274.
20) Celebre la sua polemica con l’orientalista Ernest Renan che sosteneva il carattere antiscientifico dell’isiam. Cf K. Fouad Allam «L’islam contemporaneo», cit., 288.
21) La sua opera principale è: “Risalat al-Tawhid” (Epistola sull’unicità) pubblicata al Cairo nel 1939.
22) L’elaborazione teologica sunnìta (kalam in arabo) ebbe tra le sue correnti più incisive quella dei Mu’taziliti (scuola nata tra l’VIII e il IX sec.) che proclamava il libero arbitrio umano e la legittimità della ragione per spiegare o formulare la verità della fede. A loro spettò il confronto con la filosofia classica. Il limite di questa scuola è da ricercarsi nella pretesa di voler rinchiudere l’agire divino nei confini di una normativa razionale e prevedibile. Considerati eterodossi, scomparvero nel XIII secolo, anche se le loro teorie hanno esercitato un notevole influsso in vari ambienti musulmani. Cf A. Ventura, L’islam sunnita nel periodo classico (W/-XV7), cit., 224-229.
23) Quello di cui si aveva bisogno era una decisa rivalutazione del ruolo della ragione in un rinnovato equilibrio era le proprie esigenze e i contenuti della rivelazione. Concedere all’intelletto umano una sfera di autonomia portava a gettare le basi per il riconoscimento di una serie dì verità fondamentali oltre che al recupero dell’assunzione di responsabilità da parte dei credenti che erano da troppo tempo abbandonati a un opprimente fatalismo. Cf R. Caspar, «Le renouveau du Mo’tazilisme», in Melanges de l’Institut Dominicain d’Etudes Orientales (1957/4) 141-201.
24) Un altro importante discepolo fu ‘Ali ‘Abd al-Raziq (1888-1966). Il suo interessante e ancora attuale tentativo di riflessione, basato sulla separazione tra il potere spirituale e quello temporale, entrò in conflitto con l’abituale visione totalizzante dell’islam e soprattutto si inserì nel terremoto politico generato dalla fine del califfato ottomano (1924). Ottenne autorevoli consensi, ma soprattutto critiche feroci che gli compromisero la carriera e lo costrinsero, per un certo periodo, a lasciare il proprio paese. Cf P. Branca, Introduzione all’islam, cit., 279-280.
25) La Salafiyya si rifà alla testimonianza di vita del Profeta e dei Salafiyyin (pii antichi): cioè i suoi primi quattro compagni e i quattro fondatori delle scuole giuridiche. Cf K. Fouad Allam, «L’islam contemporaneo», cit., 291-293.
26) Cf. Fouad Allam, «L’islam contemporaneo» cit., 252-307 e Id., L’Islam globale, Rizzoli, Milano 2002, 2007; K. Armstrong, In nome dio Dio, Il fondamentalismo per ebrei, cristiani e musulmani, Il Saggiatore, Milano 2002, 544; E. Pace – P. Stefani, Il fondamentalismo religioso contemporaneo Queriniana, Brescia 2000, 51-90.
27) Gli aderenti ai gruppi del radicalismo si autodefiniscono al-islamiyyun, volendo così affermare la loro appartenenza a un sistema totalizzante che va difeso e promosso non solo nell’ambito della personale adesione alla fede, ma soprattutto in quello pubblico e istituzionale. Cfr P. Branca, Introduzione all’Islam, cit., 284.
28) Lo jihad è sempre rivoluzionario perché contrasta tutte le forme di sottomissione al di fuori di quella verso Dio, e ha come suo fine il governo di Dio sulla terra, la realizzazione della Sua volontà nella totalità della vita. Cf K. Fouad Allam, «L’islam contemporaneo», cit, 309.
29) Nella sua opera più importante, Al-bukuma al-islamiyya (II governo islamico), descrive ciò che dovrebbe essere uno Stato musulmano.
30) Da ricordare l’esperienza di Aurobindo Ghose a Pondichery. Per un approfondimento: cf D. Spada, Shri Aurobindo-Uomo e Profeta, Galeati, Imola 1975, 424.
31) Voleva creare uno spazio laboratoriale per attualizzare le sue idee; un vero dar ai-Islam (casa dell’Islam), dove poter capire e vivere l’Islam, Cf K. Fouad Allam, L’islam globale, cit., 55.
32) A tal fine elaborò un programma in sei punti:
1) interpretazione del Corano nello spirito dell’epoca;
2) unità delle nazioni islamiche;
3) miglioramento delle condizioni di vita e raggiungimento dell’ordine e della giustizia sociale;
4) lotta contro analfabetismo e povertà;
5) emancipazione delle terre musulmane dalla dominazione straniera;
6) promozione della pace e della fraternità islamica in tutto il mondo. Cf K. Armstrong, In nome di Dio, cit., 271-272.
33) La sua opera più importante in trenta volumi, di cui una buona parte scritta negli anni passati nelle carceri egiziane, è: “Fi Zilal a!-Qur’an” (All’ombra del Corano). Quest’esegesi del testo sacro cerca di tradurne i principi basilari in strumenti di analisi delle forme moderne dell’organizzazione sociale, dalla politica all’economia, dalla famiglia alla militanza religiosa. Per lui la reinterpretazione dell’islam deve essere attuata dinamicamente, senza tradirne i fondamenti ma tenendo presente le caratteristiche dell’uomo moderno. Quindi l’islam non è un immutabile e cristallizzato patrimonio simbolico, ma è una credenza religiosa con forte capacità di adattamento e incidenza sui variabili contesti storici. Cf E. Pace – P. Stefani, Il fondamentalismo religioso contemporaneo, cit., 73-79.
34) K. Fouad Allam, «L’islam contemporaneo», cit, 316-317
35) L’evoluzione e lo sviluppo del pensiero sciita moderno e contemporaneo, unitamente agli sviluppi recenti del radicalismo islamico, saranno oggetto di un prossimo studio.