dal blog Isola di Patmos
25 Novembre 2016
«Si manifesterà Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al Vangelo del Signore Nostro Gesù» [II Ts 1, 8]
di padre Giovanni Cavalcoli. Op
Davanti alla recrudescenza della secolare aggressività islamica e del mai smentito progetto islamico di sostituire l’Europa cristiana con un’Europa islamizzata, le reazioni in Europa sia dei credenti come dei non credenti non sembrano affatto adeguate alla sfida in corso.
Si notano nel complesso due posizioni opposte tra di loro egualmente estremistiche, tali da oscurare il cammino da percorrere, anziché illuminarlo: una è quella dall’anti-islamismo radicale – la quale giudica l’Islam come “religione violenta” – e che sconfina in una rappresentazione demonizzata dell’avversario; ed è quella che ha prevalso nei secoli passati. Un’altra posizione, ingenuamente buonista, che pretenderebbe rifarsi al Concilio Vaticano II (1), per la quale bisognerebbe essere comprensivi, misericordiosi con tutti e perdonare tutti – la quale giudica l’Islam come “religione di pace” –.
La prima delle posizioni è basata sull’idea che il cristianesimo è l’unica religione vera e tutte le altre sono false. La seconda invece è basata sulla convinzione che tutte le religioni sono buone e che si equivalgono.
Le autorità ecclesiastiche e il mondo cattolico, dal canto loro, soffrono di profonde divisioni interne, che provengono da un’incancrenita opposizione reciproca relativa all’interpretazione del Concilio Vaticano II: i lefebvriani, piccola ma agguerrita minoranza, che si ostinano ad accusare falsamente le dottrine del Concilio di essere moderniste; i modernisti, oggi molto potenti, che si mascherano sotto il titolo di “progressisti” e si vantano di essere gli araldi ed eredi del Concilio, strumentalizzando astutamente e slealmente il Concilio a favore delle loro eresie.
Dunque noi cattolici, autorità e fedeli, davanti ad un problema così grave come quello di affrontare la sfida islamica, non siamo affatto preparati, perché non abbiamo le idee chiare e non siamo uniti tra di noi. Sia gli uni che gli altri esprimiamo spesso sull’Islam due giudizi opposti, parimenti semplicistici e superficiali, quindi falsi. Per i primi, che rifiutano il giudizio positivo del Concilio sull’Islam (2), l’Islam, come ho detto, è una religione “violenta” da respingere in modo totale. Il loro motto è: “il loro Dio non è il nostro”.
I modernisti, al contrario, per i quali non esiste una verità assoluta, oggettiva, universale e immutabile, per cui relativizzano e mettono sullo stesso piano tutte le religioni pensando che si integrino a vicenda nella ricerca della pace, ritengono che non sia il caso di litigare con i musulmani circa la questione se Cristo sia o non sia Dio, dato che essi accettano la teoria di Schillebeeckx, per il quale Cristo è semplicemente il “profeta escatologico”, oppure quella di Rahner, per il quale Cristo è il vertice dell’uomo. Per questo, per loro, l’Islam è una religione di pace. Gli islamici quindi non hanno bisogno di essere convertiti a Cristo, ma li si deve lasciare nella loro fede in Maometto.
Lo stesso Sommo Pontefice, che dovrebbe indicare e garantire un’unità di pensiero e di azione su questo gravissimo problema, non sembra in grado di assolvere questo compito, perché sembra troppo sbilanciato verso i buonisti e poco attento ai pericoli per la Chiesa e per l’Europa che vengono dall’Islam.
Quanto al mondo dei non credenti, esso è erede dell’illuminismo ed abbraccia diversi orientamenti nei confronti della religione, che vanno dal disprezzo polemico di tipo empirista, positivista, scientista, freudiano o marxista, al deismo kantiano o massonico, all’ agnosticismo, alla tendenza liberale, indifferentista ed agnostica, al panteismo idealista e gnostico. Comune, quindi, al laicismo e all’islamismo è il rifiuto della rivelazione cristiana e dei dogmi cattolici. Il laicismo non accetta la volontà comune a cristiani e musulmani di porre la religione alla base dei valori culturali, morali e civili, per cui si può giungere anche a combattere in nome di Dio.
Il laicismo intende agire in nome dell’uomo, delle scienze e della ragione e non in nome di Dio e tanto meno di una rivelazione divina, come invece fanno i cristiani e musulmani. Per i laicisti, a differenza dai cristiani e musulmani, le norme morali sono stabilite dalla ragione e non sono comandi divini. Il mondo laico, a differenza del Corano e del Vangelo, che prospetta un premio celeste dopo la morte, è generalmente scettico rispetto ad una vita futura e ad un’immortalità personale, salvo i panteisti, per i quali l’individuo si dissolve nell’Assoluto.
Per i laicisti l’uomo decide da solo del proprio destino, che si risolve in questo mondo, nel progresso dell’umanità e nella storia, a differenza del cristianesimo e dell’islamismo, per il quale vale la predestinazione (3) e l’uomo è guidato da Dio che gli rivela il suo fine ultimo.
Per i cristiani e per i laicisti, tutta l’umanità, quale che sia la religione di ciascun uomo, in quanto composta di esseri ragionevoli (Aristotele), gode dei diritti universali dell’uomo. Invece per gli islamici solo i fedeli del Corano godono dei diritti umani. Gli altri uomini godono dei diritti umani solo se sono sottomessi al Corano. Come vediamo, esiste un intreccio di valori e di contrasti fra questi tre mondi: cristiano, musulmano, laico. Su certi punti, cristiani e laici sono contro i musulmani. Su altri, i cristiani e musulmani sono contro i laici. Su altri ancora musulmani e laici sono contro i cristiani. Come stabilire alleanze e schieramenti?
Occorrerebbe, penso, una buona alleanza civile tra cattolici e laici contro l’lslam per la salvezza dell’Europa, ma che conceda nel contempo uno spazio al dialogo. Non è cosa facile.
La via giusta da seguire
Limitiamoci a vedere che cosa possiamo fare noi cattolici. A proposito dell’aggressività e del terrorismo islamista, si sente dire da qualche persona pia ma sprovveduta: «non l’odio, ma il perdono». Sembrano parole molto nobili, ispirate al famoso evangelico “schiaffo sulla guancia”(4), ma che, a conti fatti, se facciamo attenzione, finiscono per fare il gioco del terroristi, certo contro le intenzioni di chi le pronuncia, il quale pensa forse appunto alla famosa “offerta dell’altra guancia”.
Tuttavia, questa è una citazione a sproposito, perché lì Gesù intende insegnare la virtù della mitezza, della pazienza e dello spirito di servizio, come appare evidente dal contesto, e niente affatto proibire una legittima difesa, anche armata, o un giusto castigo, come hanno sempre sostenuto e sostengono la morale cattolica e la stessa etica naturale, conosciuta anche dai pagani.
Il famoso detto del Signore riguardo il “porgere l’altra guancia”, da sempre citato e deriso dai nemici del cristianesimo come segno del suo supposto spirito imbelle, non ha quindi nulla a che vedere col problema della risposta da dare a un nemico, ma, come risulta chiaramente dal contesto, è un’esortazione alla pazienza e alla disponibilità verso gli altri. Così pure l’“amore per il nemico”, non è amore per la sua azione nemica, perché sarebbe amore per il peccato, ma amore per i lati buoni del nemico come persona.
L’azione cattiva va soppressa, punita e riparata o espiata. È chiaro che l’odio, il ripagare il male col male, la reazione violenta, scomposta e incontrollata, è peccato ed è proibito, benché possa esistere un giusto odio che è appunto l’odio per il peccato; ma è peccato odiare il peccatore. Si deve odiare il peccato proprio nella speranza di liberare il peccatore dal suo peccato. Quanto al perdono, certo è un atto sublime di grande carità e misericordia, come dice la stessa parola “per-dono”, dove quel “per” è un rafforzativo, perché vuol dire “donare due volte”. Infatti il perdonatore rimette il debito dell’offensore e dona la sua pace e la sua benevolenza all’offensore.
Ma questo atto di bontà si giustifica solo se l’offensore riconosce il suo torto, se ne pente e si mostra disposto a ripararlo. Ché se invece egli lo volesse difendere o non fosse pronto a fare un simile atto di bontà verso chi ha offeso, meriterebbe a sua volta di essere costretto con la forza a riparare. È quanto ci insegna la famosa parabola del creditore spietato (5). Volendo applicare queste considerazioni al problema di come comportarci con i musulmani che ci aggrediscono, ci accorgiamo di quanto insufficiente sia l’alternativa odio-perdono, della quale alcuni ci parlano, perché, se è vero che non dobbiamo odiare gli assassini e i prepotenti, parlare di perdono per dei violenti che si rifiutano di riconoscere la loro violenza e la considerano un sacro dovere davanti a Dio, è farsi complici di quella stessa violenza, della quale si macchiano la coscienza, ammesso che si rendano conto del crimine che commettono, se pensiamo alle parole di Cristo stesso «avverrà che chiunque vi ucciderà, crederà di render culto a Dio» (6).
L’odio dal punto di vista morale è l’abuso peccaminoso della passione dell’ira, che è un’energia psichica (l’“irascibile”), di per sé naturale. Infatti, l’odio, inteso come passione, come osserva San Tommaso, «è una certa dissonanza dell’appetito verso ciò che viene appreso come ripugnante e nocivo» (7). Il peccato dell’odio consiste nel fatto o che l’offensore odia nell’altro ciò che va amato, oppure che l’offeso non si limita a respingere l’aggressore, ma gode nel fargli del male. E’ un ripagare il male col male.
L’odio è facilmente collegato alla violenza, che è uso ingiusto della forza animato da un’ingiusta ira. L’agente nocivo stimola nel vivente l’impulso dell’ira, che induce ad agire in modo da respingere e da rendere innocuo l’aggressore. L’azione morale che annulla o castiga l’azione nociva, è effetto della giustizia e porta il nome classico e giuridico di “vendetta” (vindicta o vindicatio, gr. ekdìkesis).
L’ira moderata che può far da carburante a questa azione, come insegna San Tommaso, è espressione della virtù della fortezza (8).
La giusta vendetta
San Tommaso parla così di una giusta vendetta (9) e di una «giusta guerra» 10, animate da una giusta ira11, come rivendicazione e soddisfazione, mediante l’uso della forza, dei propri o altrui diritti calpestati, tra i quali c’è quello della libertà religiosa. È vero che il termine “vendetta” non gode di una buona fama, perché lo si associa all’odio e alla violenza. Tuttavia, come fa notare San Tommaso, esso nasconde un valore psicologico, che dev’essere recuperato, perché corrisponde a un’inclinazione naturale del soggetto a respingere le forze nemiche o a vendicarsi (ulcisci) del torto ricevuto.
Tutto sta a saper moderare questo impulso di per sè naturale, secondo retta ragione, per il bene stesso di colui che esercita la vendetta e di colui del quale ci si vendica. Infatti questa inclinazione si é corrotta in seguito al peccato originale. Da qui la necessità non di sopprimerla, ma di regolarla secondo diritto e ragione. Essere vendicativi o permalosi non va bene; ma è un dovere essere vindici dei diritti propri ed altrui. La Bibbia, dal canto suo, presenta, come è noto, un Dio che «fa vendetta dei suoi avversari» (12), che «fa vendetta delle genti» (13).
Egli avòca a Sé il diritto-dovere di far vendetta (14). I profeti annunciano un giorno della «vendetta del Signore» (15). È il «Giorno di Jahvè». Questo giorno, come annuncia Cristo, è il giudizio universale alla fine del mondo (16), annunciato anche da San Paolo (17). La Bibbia non presenta un Dio vendicativo, perché Dio non odia nessuno, ma odia l’ingiustizia e per questo Egli è vendicatore, proprio perché ama, è giusto ed è misericordioso. Il termine «vendicatore» corrisponde al termine ebraico goèl, che noi traduciamo con «redentore».
Cristo è il Vendicatore degli oppressi e di tutti coloro che hanno patito ingiustizia, senza aver ottenuto giustizia dagli uomini. L’aggressore infatti priva l’aggredito di un certo bene o calpesta un suo diritto. Giustizia vuole allora che l’aggredito, se occorre anche con l’uso della forza, rivendichi il proprio diritto o torni in possesso del bene che gli è stato tolto, togliendolo, se possibile, all’aggressore, oppure punendo l’aggressore o costringendolo a riparare.
Questo è il senso del famoso «occhio per occhio, dente per dente» (18), che richiede una parità o corrispondenza tra il torto ricevuto e la riparazione del torto: non esigere di meno e non esigere di più. E’ il cosiddetto “contrappasso”. È un debito che va pagato secondo l’entità del debito. Il peccato come “debito” è presente nella concezione biblica del peccato. Cristo con la sua croce “paga” per noi i nostri debiti con Dio. Questa azione che respinge l’insulto, neutralizza la forza nemica o dannosa, quando è retta dalla buona volontà, è atto della virtù della giustizia. Se è l’azione difensiva di una collettività in armi nei confronti di un’altra, è la guerra. Se invece è la pena irrogata al delinquente dall’autorità giudiziaria per un delitto commesso, è la vendetta.
Quando Cristo, con riferimento a quel passo dell’Esodo, comanda di «non opporsi al malvagio» (19), non proibisce affatto la giusta vendetta o legittima difesa o la guerra giusta o di castigare il malfattore. Infatti in molti passi del Nuovo Testamento si citano questi diritti-doveri o si permettono queste azioni. Cristo intende solo comandare la moderazione, di evitare l’odio e di essere pronti a perdonare. È chiaro peraltro che i chierici, dediti a un regno che non è di questo mondo, non possono far uso delle armi.
Tuttavia la Chiesa possiede un potere giudiziario e coercitivo, che serve a vendicare o punire i delitti contro la legge canonica. Invece i laici, cattolici e non cattolici, che sono nel mondo, sono tenuti a un uso giusto delle armi. Per questo è bene che la Chiesa, se da una parte predica il perdono, la misericordia e la mitezza, dall’altra sappia incoraggiare e motivare le forze armate ed esser loro riconoscente per il prezioso servizio che rendono alla società ed alla Chiesa stessa.
Occorre dunque recuperare una giusta severità, perché la giusta vendetta ne è un’espressione. Essere pacifici e aperti al dialogo non vuol dire essere dei pavidi, delle banderuole o degli opportunisti pronti a salire sul carro di chi comanda, non prender posizione davanti alle ingiustizie o tacere davanti a chi fa la voce grossa o applaudire chi si trova attualmente sulla scena. L’attuale buonismo con la sua falsa enfasi sulla “misericordia”, sul “dialogo”, sul “pluralismo” e sull’“accoglienza”, ha dimenticato quell’ingrediente essenziale della condotta cristiana e della stessa santità, quella forma di virilità coraggiosa, che è la severità in nome di Dio o per la causa della giustizia, che è la stessa cosa, salvo poi a scagliarsi senza misericordia contro coloro che non condividono i suoi errori.
Il vero discepolo di Cristo sa quando occorre essere severi e quando occorre essere misericordiosi, come dice il saggio Qohèlet: «C’è un tempo per la guerra e c’è un tempo per la pace» (20). A volte la pace si ottiene per mezzo della pace, ma altre volte si ottiene per mezzo della guerra. Non siamo tutti angioletti nel paradiso terrestre, ma bisogna tenere gli occhi aperti, perché dobbiamo «vincere il mondo» (21).
Alcune obiezioni
Per quanto riguarda l’aggressività islamica contro la Chiesa, dato che la cristianità non caratterizza più la società europea, ma ormai dal XVIII secolo la società europea risulta da un coagulo di diverse ed anche opposte concezioni della società e diverse fedi religiose, la Chiesa non possiede più quell’autorevolezza e prestigio politici universali, legate al Sacro Romano Impero, che le consentivano, nel Medioevo, di predicare le Crociate intese come azioni militari cattoliche contro le armate islamiche (22).
Ma questo non toglie che essa debba dare con chiarezza la sua approvazione ad una resistenza anche armata contro un Islam, che in nome del Corano vuol distruggere il cristianesimo o l’ordinamento personalista e democratico delle moderne società civili (23).
La reticenza del Papa nel riconoscere la motivazione religiosa delle violenze, delle persecuzioni e del terrorismo degli islamisti, viene spiegata da alcuni col timore del Papa che la condanna di queste azioni e delle idee che le ispirano provochi rappresaglie contro i cristiani residenti in paesi islamici. Ed inoltre ci si richiama al fatto che il Papa più volte ha detto che la fede in Dio non può motivare l’odio e la violenza.
Alcuni poi vorrebbero escludere la motivazione religiosa e che siamo vittime di una guerra di religione, affermando che i terroristi sono dei pazzi criminali e basta. Altri ancora, seguendo l’analisi marxista, sostengono che le guerre di religione non esistono (dato che Dio non esiste), ma sono sempre la copertura di interessi economici o di potere.
Altri temono che l’uso delle armi contro gli Islamici, anziché spegnere il conflitto, lo aggravi col rischio dell’insorgere di una guerra nucleare, che condurrebbe alla distruzione del mondo. Rispondiamo con ordine a queste opinioni. Innanzitutto, la prima cosa che a mio avviso dovrebbe fare il Papa è denunciare con chiarezza l’effettiva esistenza di una guerra di religione dell’Islam contro la Chiesa e contro l’Europa, guerra che, del resto, è sotto gli occhi di tutti, e che a riprese alternate, esiste da dopo la presa di Costantinopoli nel XV secolo. Egli pertanto deve aiutare sia i cristiani che i musulmani a distinguere la vera dalla falsa religione, mostrando le buone azioni che la prima produce e quelle cattive che sono frutto della seconda, secondo le parole di Cristo «l’albero buono produce frutti buoni e l’albero cattivo, frutti cattivi» (24).
Riguardo alla seconda obiezione, diciamo che il Papa ha ragione nel dire che Dio non può volere l’odio e la violenza. Ma ciò non significa che i musulmani non stiano conducendo una guerra di religione. Il punto è che si tratta di una religione difettosa. Il Papa dovrebbe precisare che purtroppo esistono anche religioni difettose, come appunto l’Islam, le quali credono di rendere culto a Dio costringendo il non-credente a credere o lo ammazza o lo schiavizza. Il che non toglie che, come ha riconosciuto il Concilio, il Dio coranico abbia alcuni attributi che coincidono con quelli del Dio biblico.
Il Papa dovrebbe anche precisare che se tuttavia non può esser volontà di Dio l’odio e la violenza, può essere però volontà di Dio la lotta armata per la difesa dei diritti umani, per la liberazione di un popolo, per la difesa della vera religione. Dio stesso fa vendetta dei propri nemici (25). Il che è come dire che Dio castiga il peccato. Il negarlo, come oggi alcuni fanno, avanzando il pretesto della misericordia, è eresia, perché sarebbe negazione della divina giustizia e aperta contraddizione a quanto insegnano la Bibbia e la teologia naturale.
Dobbiamo invece affermare che Dio toglie la pena a chi si pente e si libera dal peccato. Va quindi evitata l’eresia luterana, secondo la quale a chi crede di essere salvato, Dio dà libertà di peccare e l’eresia ancora peggiore di Karl Rahner, secondo la quale Dio non punisce nessuno e salva tutti, perché secondo lui tutti posseggono almeno “atematicamente” la sola fides luterana. Questi empi princìpi rendono il peccatore ancora peggiore, perché egli si convince di poter peccare liberamente con la certezza dell’impunità.
La buona battaglia
Se combattere in nome della dignità umana vuol dire in ultima analisi combattere per una causa divina, visto che Dio è vindice della dignità umana, vediamo allora, sebbene ciò possa sorprendere e forse contrariare i nostri moderni illuministi, come, in fin dei conti, qui raggiungiamo addirittura il motivo religioso delle Crociate, che in fondo non furono altro che quella difesa dell’onore di Dio, che è implicita nella rivendicazione dei diritti umani, fondati su quella legge naturale che Dio stesso ha voluto e creato.
È proprio invece quando si combatte e si guerreggia in nome dell’assolutizzazione dell’uomo o dell’ateismo, che la guerra, nello scatenarsi delle passioni, assume gli aspetti più irrazionali, bestiali, violenti ed orribili della distruzione dell’uomo o dell’oppressione dell’uomo sull’uomo. Riguardo alla terza obiezione, diciamo che il fatto che i terroristi si servano di poveri malati di mente fanatizzati e ben pagati per eseguire i loro piani criminali, non deve farci distogliere l’attenzione da questi piani, per trovare il modo di sventarli.
Riguardo alla quarta obiezione, che l’Islam voglia dominare anche economicamente l’Europa, non c’è dubbio. Ma sarebbe grossolanamente riduttivo credere che le mire dei terroristi islamici si esauriscano nella pura e semplice caccia al denaro, come potrebbe fare una qualunque volgare associazione i ladri o al massimo di approfittatori capitalisti. Infine, riguardo all’ultima obiezione, è chiaro che non bisogna provocare il nemico, e non è necessario dire sempre e a tutti ciò che maggiormente lo irrita. Ed è chiaro che il Papa ha uno speciale dovere di fare tutto il possibile per salvaguardare l’incolumità dei cristiani abitanti in paesi islamici, affinché non patiscano rappresaglie.
Tuttavia, sempre il Papa, proprio come Vicario di Cristo, ha il dovere di mostrare il Vangelo nella sua integrità, evidenziando i punti sì di contatto, ma anche di contrasto col Corano. Se ciò dovesse suscitare l’aggressività islamica, Dio darà la forza della sopportazione, fino al martirio, ai cristiani oppressi. E se si dovesse giungere ad uno scontro mondiale, l’Apocalisse prevede il trionfo finale di Cristo (26).
Attraverso quali vie noi cristiani giungeremo a questa vittoria finale? Non lo sappiamo. Deve bastarci il conforto che viene da questa certezza. I nemici di Cristo, quali che siano, credenti in Dio o atei, dovranno cedere le armi. Quanto ad un avanzamento dell’islamismo in Europa, non mi pare probabile né una conquista militare, come avveniva nei secoli passati, e neppure una penetrazione pacifica, considerando quante cose dell’islamismo ripugnano sia ai cristiani che alla laicità europea. Quello che per noi cattolici è preoccupante, secondo me, è invece l’attuale crisi di fede interna della Chiesa. E su questo punto che noi cattolici dobbiamo lavorare e soprattutto pregare, perché ritroviamo la nostra unità nella fede e per conseguenza nella carità sotto la guida del Vicario di Cristo.
Varazze, 10 agosto 2016
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1 Nostra aetate, 3.
2 Nostra aetate, 3.
3 Per il cristianesimo cf Rm 8,29-30.
4 Mt 5,39
5 Cf. Mt 18, 23-35.
6 Cf. Gv 16,2
7 Summa Theologiae, I-II, q.29, a.1
8 Op. Cit., II-II, q.123, a.10.
9 Op. Cit., II-II, q.108.
10 Op. Cit., II-II, q.40.
11 Op. Cit., II-II, q.46, a.4; q.123, a.10.
12 Cf. Dt 32,41.
13 Cf. Mi 5,14.
14 Cf Rm 12, 19; Eb 10,30.
15 Cf. Is 24, 8 e 61,2.
16 Cf. cf Lc 21,22.
17 Cf. cf II Ts, 1,8.
18 Cf. Es 21,24.
19 Cf. Mt 5, 39.
20 Cf. Qo 3,8.
21 Cf. Gv 16,33.
22 Si pensi solo al fatto dell’esistenza, nel Medioevo, di Ordini religiosi militari, come per esempio i Templari, dei quali parla anche San Tommaso: Summa Theologiae, II-II, q.188, a.3.
23 San Giovanni Paolo II chiamò “intervento umanitario” l’intervento militare della NATO in Bosnia contro i massacratori comunisti.
24 Cf. Mt 7,17.
25 Cf. Dt 32, 35.41: Mi 5,14; Rm 12,19; Eb 10,30; Is 34,8; Lc 21,22