InFormazione cattolica 17 Settembre 2021
Possiamo parlare di un modernismo prima del modernismo?
Modernismo e “spirito modernista”
di Aurelio Porfiri
Abbiamo visto in precedenza come il modernismo sia un movimento complesso, difficilmente riconducibile ad uno stesso autore. Proprio perché esso si presenta come l’insieme di diverse eresie, metterlo tutto sotto un cappello è difficile, anche se possiamo, come fece san Pio X, vederne un intento comune nell’accomodamento della Chiesa alla mentalità moderna, proprio quella mentalità che si presenta nelle sue premesse e nei suoi fini opposta alla visione Cristiana.
Ecco allora che possiamo guardare a dei filoni di pensiero, anche di autori che poi giudicheremmo in parte buoni, come preparazione di quel coacervo di idee che si concretizzerà in senso storico nella battaglia che contro di esse ingaggiò san Pio X, ma che in realtà non è certo finita lì, come lo stesso Pontefice aveva ben capito.
Alcuni autori distinguono fra modernismo e spirito modernista.
Se il primo lo possiamo collocare nel periodo di cui sopra, lo spirito modernista è defluito nelle vene della Chiesa per secoli e secoli. È stata una costante lotta fra bene e male, una battaglia che andrà avanti fino alla consumazione dei tempi. Lo spirito modernista ha informato vari autori, anche di statura intellettuale eccelsa e spesso con le migliori intenzioni: tutti coloro che hanno inteso prostrare la sana Tradizione ad una malsana idea di progresso.
Quindi non ci si dovrà sorprendere di trovare nomi che non ci si aspetterebbe, essi testimoniano che la battaglia fu spesso combattuta non solo in campo aperto, ma anche fronteggiando il fuoco amico. Eppure questa battaglia campale è veramente quella decisiva, quella in cui dovremo con coraggio prendere le armi ed avventurarci sul fronte, se riteniamo che non vogliamo solo difendere un insieme di pratiche e di usi, ma una profonda identità morale e spirituale.
Ed è proprio quello che ci appresteremo a fare con alcuni prossimi articoli che saranno pubblicati su inFormazione Cattolica.
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InFormazione Cattolica 31 Ottobre 2021
Il modernismo: da dove viene e dove va
ll modernismo, al contrario di quello che si può pensare, non cresce dal nulla ma si sviluppa da vari filoni di pensiero che sarà utile investigare andando a scovare alcuni pensatori del passato…
di Aurelio Porfiri
Forse non molti sono a conoscenza di quel complesso fenomeno che va sotto il nome di modernismo. Gli storici lo fanno coincidere, con molte difficoltà, con il papato di san Pio X (1903-1914) anche se ben si conosce come lo stesso fenomeno si sia esteso ben più in là di quella data, costantemente trasformandosi nei campi più vari fino ad avere una influenza fondamentale sullo sviluppo della Chiesa fino ai nostri giorni.
Ma cosa è il modernismo? È l’accomodamento della Chiesa al mondo moderno. Ma non è questa una cosa buona? Certo la Chiesa deve adattare alcune sue azioni ai soggetti della sua evangelizzazione, ma quando essa sembra arrendersi ad una mentalità del mondo che la corrode dall’interno, ecco che il modernismo compie la sua azione distruttrice, pur se da alcuni portata avanti con le migliori intenzioni.
Nel romanzo “Il santo” (1905) di Antonio Fogazzaro (1842-1911), si prefigurava questa azione di cambiamento interno alla Chiesa. In una riunione di “modernisti” (anche se loro non si sarebbero definiti tali) era detto: «Ecco – diss’egli – siamo parecchi cattolici, in Italia e fuori d’Italia, ecclesiastici e laici, che desideriamo una riforma della Chiesa. La desideriamo senza ribellioni, operata dall’autorità legittima. Desideriamo riforme dell’insegnamento religioso, riforme del culto, riforme della disciplina del clero, riforme anche nel supremo governo della Chiesa. Per questo abbiamo bisogno di creare un’opinione che induca l’autorità legittima ad agire di conformità sia pure fra venti, trenta, cinquant’anni. Ora noi che pensiamo cosi siamo affatto disgregati. Non sappiamo l’uno dell’altro, eccetto i pochi che pubblicano articoli o libri. Molto probabilmente vi è nel mondo cattolico una grandissima quantità di persone religiose e colte che pensano come noi. Io ho pensato che sarebbe utilissimo, per la propaganda delle nostre idee, almeno di conoscerci. Stasera ci si riunisce in pochi per una prima intesa».
Del resto, Ernesto Buonaiuti (1881-1946), uno dei principali esponenti del modernismo, diceva che non bisognava conquistare la Chiesa contro Roma, ma con Roma.
Ma il modernismo, al contrario di quello che può essere supposto, non cresce dal nulla e anzi si sviluppa da vari filoni di pensiero che sarà utile investigare andando a scovare alcuni pensatori del passato.
Pensatori, sia detto chiaramente, che a volte hanno contribuito con intenzioni totalmente opposte. Eppure riteniamo che solo andando ad investigare indietro nel tempo, incontrando questi protagonisti del pensiero filosofico e teologico, possiamo capire da dove viene il modernismo e ben intravedere dove è diretto, perché la sua parabola non è certo conclusa. Ed è proprio quello che, con timore e tremore, ci appresteremo a fare con alcuni prossimi articoli che saranno pubblicati su inFormazione Cattolica.
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InFormazione cattolica 9 Novembre 2021
Il modernismo è un’eresia?
L’idea che, paradossalmente, il modernismo non è moderno, è veramente corretta…
di Aurelio Porfiri
Sembrerà strano che ci si possa porre la domanda se il modernismo, il tentativo di accomodare la dottrina alla mentalità moderna, senza considerare quanto in questa mentalità vi è di antitetico alla dottrina stessa, possa essere considerato un’eresia.
Se guardiamo alla storia delle eresie, ci rendiamo conto quanto molte di esse siano una preparazione al modernismo. Già nel primo secolo dell’era Cristiana possiamo osservare gli ebioniti all’opera, che credevano a Gesù non come figlio di Dio ma come figlio di Giuseppe e Maria, e che al massimo sarebbe stato adottato dal Padre (adozionismo). Questo rifiuto del carattere divino di Gesù sarà presente in alcuni filoni del modernismo e prenderà varie forme, grazie all’uso mirato del metodo storico-critico per l’esegesi biblica.
Quindi, ritornando alla domanda da cui siamo partiti, dobbiamo avere la consapevolezza che il modernismo non fu di per sé un’eresia singola, ma un coacervo di tante eresie, fu la manifestazione di un “focolaio ereticale” che non solo non si è spento, ma ha viaggiato sotto traccia per arrivare fino a noi.
In un lavoro del 1908, il padre Norbert Jones così poteva osservare: “Il modernismo, visto dai suoi fondamenti non filosofici, non è né moderno né cattolico, ma è l’opposto di entrambi. Come può essere definito moderno quando è più simile a uno struzzo adornato con piume di pavone e fa sì che le persone credulone lo prendano per un pavone? La filosofia di Kant è piuttosto antica, quasi due secoli, e ha preso in prestito il suo sistema da Celso e Porfirio, molto tempo fa confutato dai dotti filosofi della Chiesa cattolica. Prendere il sistema di Immanuel Kant e nasconderlo sotto la nuova verbosità modernista, può passare come originale e intelligente a menti superficiali, ma per qualsiasi neofita in filosofia non è né originale né in alcun modo un risultato brillante. Non è tutto oro quello che luccica. È scambiato sotto un’etichetta molto falsa. L’etichetta è eccellente; nessuno potrebbe essere migliore del cattolicesimo. Il modernismo, tuttavia, non ha più diritto al termine cristiano di quanto non ne abbia il maomettanesimo o l’ebraismo. Assomiglia a un pezzo d’argento tedesco con un marchio di garanzia spurio, o, meglio ancora, è come un certo numero di chierici anticonformisti che scrivono D.D. dopo i loro nomi fino a quando non si scopre di non avere diritto al titolo, avendolo ottenuto all’Università ‘Bates’” (Norbert Jones, Old Truths, Not Modernist Errors Exposure of Modernism and Vindication of its Condemnation by the Pope in Understanding Modernism, mia traduzione).
Questa idea che, paradossalmente, il modernismo non è moderno, è veramente corretta. E pure se Kant sarà un momento importante dello stesso, come vedremo, non bisogna fermarsi certo a lui per capirlo.
Allora, riprende vigore la famosa definizione di san Pio X, che nella Pascendi (1907) così diceva: “Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non pure il cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti”.
Ecco, la sintesi di tutte le eresie, fa ben capire la portata della sfida che il modernismo porta alla Chiesa cattolica. Quindi questo ci fa ben capire perché è utile studiare questo fenomeno in una prospettiva storica, prima che esso si facesse evidente alla fine del diciannovesimo secolo. Non comincerò proprio dall’inizio ma mi rifarò a pensatori che, volenti o nolenti, dallo stesso modernismo sono stati usati per ricavarne nutrimento vitale.
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InFormazione cattolica 22 Novembre 2021
La falsa idea di purezza dei modernisti
Il desiderio di “purezza” del modernismo contro “le costrizioni del dogma cattolico” ha una lunga storia…
di Aurelio Porfiri
Nel fenomeno del modernismo concorrano tante idee che poi si coagulano in un certo periodo storico, grazie anche all’attenzione che gli dedicò il papa san Pio X, che ben vide come questo complesso movimento andava considerato come “sintesi di tutte le eresie”.
Non dimentichiamo che questa è una chiave di lettura importante per comprendere tutto il fenomeno, questa esigenza di purificazione storica e spirituale che di per sé ci sembra una cosa buona se essa non fosse male indirizzata.
C’è una cattiva comprensione del sistema dogmatico cattolico, che viene visto come una prigione, come rivela il noto modernista gesuita George Tyrrell (1861-1909) nella sua autobiografia: “Il sistema dogmatico semplicemente sigilla la mente invece di aprirla; la rende antipatica e poco intelligente, anziché flessibile e comprensiva”.
Certamente queste idee anti dogmatiche non erano nuove, questo desiderio di purezza contro “le costrizioni del dogma cattolico” ha una lunga storia.
In effetti potremmo andare indietro di secoli, anche più di un millennio per identificare le varie eresie che hanno inteso raggiungere una purezza che ritenevano perdita nel cattolicesimo ufficiale, arroccato nella sua dottrina. In fondo l’eresia consiste in questo, nello staccarsi dal cattolicesimo ufficiale per ricongiungersi ad un cattolicesimo ritenuto migliore ma che spesso è solo immaginario. In fondo il modernismo sintetizza questo, il tentativo di staccarsi dalla verità per raggiungerne una ancora più vera.
Ma noi sappiamo che se la Chiesa ancora professa la verità per cui esiste, la sua imperfezione data dagli uomini che la governano non deve spaventarci. La Chiesa, prima che fosse vittima di mode ideologiche, ha praticato sempre un sano realismo, quel realismo per cui sapeva riconoscere le fragilità umane e comunque non perdeva di vista l’obiettivo finale. Con il modernismo e con la situazione che viviamo oggi, sembra che l’obiettivo finale è divenuto la fragilità umana.
Forse, si è equivocato quanto Giovanni Paolo II diceva nel 1979, nella sua Redemptor Hominis. In un passaggio noto affermava: “La Chiesa non può abbandonare l’uomo, la cui «sorte», cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite al Cristo. E si tratta proprio di ogni uomo su questo pianeta, in questa terra che il Creatore ha dato al primo uomo, dicendo all’uomo e alla donna: «Soggiogatela e dominatela». Ogni uomo, in tutta la sua irripetibile realtà dell’essere e dell’agire, dell’intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore. L’uomo, nella sua singolare realtà (perché è «persona»), ha una propria storia della sua vita e, soprattutto, una propria storia della sua anima. L’uomo che, conformemente all’interiore apertura del suo spirito ed insieme a tanti e così diversi bisogni del suo corpo, della sua esistenza temporale, scrive questa sua storia personale mediante numerosi legami, contatti, situazioni, strutture sociali, che lo uniscono ad altri uomini, e ciò egli fa sin dal primo momento della sua esistenza sulla terra, dal momento del suo concepimento e della sua nascita. L’uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale – nell’àmbito della propria famiglia, nell’àmbito di società e di contesti tanto diversi, nell’àmbito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan, o tribù), nell’àmbito di tutta l’umanità – quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione”.
Ecco, se si legge tutto il passaggio credo ben si intende quello che il Papa voleva significare, cioè che l’uomo è via della Chiesa in quanto questa via è tracciata da Cristo stesso, che è Via, Verità e Vita. Non che l’uomo è il principale obiettivo della Chiesa a prescindere da Cristo e quindi le sue fragilità, al di fuori di questa prospettiva, divengono un chiaro ostacolo da eradicare con una idea di purezza che è al di fuori del sano realismo cristiano.
Del resto Giovanni Paolo II, nello stesso documento, poco prima aveva affermato: “Gesù Cristo è la via principale della Chiesa. Egli stesso è la nostra via «alla casa del Padre», ed è anche la via a ciascun uomo. Su questa via che conduce da Cristo all’uomo, su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può esser fermata da nessuno. Questa è l’esigenza del bene temporale e del bene eterno dell’uomo. La Chiesa, per riguardo a Cristo ed in ragione di quel mistero che costituisce la vita della Chiesa stessa, non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo, così come non può rimanere indifferente a ciò che lo minaccia.
Il Concilio Vaticano II, in diversi passi dei suoi documenti, ha espresso questa fondamentale sollecitudine della Chiesa, affinché «la vita nel mondo ”sia ” più conforme all’eminente dignità dell’uomo» in tutti i suoi aspetti, per renderla «sempre più umana». Questa è la sollecitudine di Cristo stesso, il buon Pastore di tutti gli uomini. In nome di tale sollecitudine – come leggiamo nella Costituzione pastorale del Concilio – «la Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana»”. Insomma, pur se questi passaggi possono prestarsi a qualche fraintendimento, il contesto di quello che il Papa voleva dire mi sembra chiaro.
È vero, la fede è esigente, ma si misura sempre con il cuore dell’uomo. Il modernismo, con la sua esigenza di “purezza”, intendeva servire un uomo astratto, malgrado a loro così non sembrasse.
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InFormazione cattolica 29 Novembre 2021
Il “sogno” della Chiesa che verrà di Gioacchino da Fiore
L’idea, falsa, che ci sarà un tempo in cui avremo “la vera Chiesa”, è dietro al modernismo e a varie altre eresie
di Aurelio Porfiri
Non c’è dubbio sul fatto che uno dei temi più importanti per capire il fenomeno del modernismo è quello di una distorta idea di purezza, cioè che la Chiesa non viene vissuta per quella che è, cercando di migliorarla, ma per quello che dovrebbe essere o che è stata in un passato ricostruito secondo le proprie coordinate ideologiche.
Possiamo trovare un’idea di questo già nell’opera di Gioacchino da Fiore (1145-1202), un monaco cistercense ed esegeta che avrà una importanza da non sottovalutare nelle idee di alcuni modernisti. Si pensi ad Ernesto Buonaiuti (1881-1946), che pubblicherà lavori importanti su Gioacchino da Fiore, ai cui studi fu indirizzato anche con il desiderio di tenerlo lontano dall’insegnamento.
Nell’idea di Gioacchino c’è quella di una Chiesa che deve venire che sarà quella dove finalmente regneranno pace e libertà: “Fulcro di tutto il pensiero di Gioacchino è la considerazione dell’unità e trinità di Dio, pensate non solo nell’interiorità del processo divino, ma anche, e più, nel loro esplicarsi nella realtà storica, che va perciò intesa come il manifestarsi di una economia provvidenziale, in cui a ogni persona della Trinità corrisponde un’era storica: così al Padre corrisponde l’epoca precedente la venuta di Cristo e il relativo Libro sacro, il Vecchio Testamento; al Figlio l’epoca appunto di Cristo e della Chiesa con il Nuovo Testamento; allo Spirito Santo, un’epoca ancora futura, l’età dello Spirito. Ma come le tre persone trinitarie costituiscono l’unità divina, così le tre epoche sono legate tra loro da una corrispondenza proporzionale, per cui ogni personaggio storico della prima epoca ha l’equivalente, sempre, nella seconda: per es., Abramo e Zaccaria, Sara ed Elisabetta, Isacco e Giovanni Battista, i dodici patriarchi e i dodici apostoli. Questa corrispondenza, chiamata da Gioacchino concordia, gli permette poi d’intravedere le linee fondamentali della terza età, che sarà età di suprema libertà, di perfetta carità, di completa spiritualità. Guida del genere umano nella terza età sarà un ordine religioso perfetto (pensò ai suoi florensi? Certo i francescani pensarono al proprio ordine), che assorbirà in sé laici, clero e la stessa gerarchia ecclesiastica, avviando tutti i fedeli alla perfezione cristiana. Una Chiesa così costituita, nella terza età, può certo attendere senza timore la venuta dell’Anticristo, con le terribili persecuzioni che l’accompagneranno, e poi il giudizio di Dio. Profeta di questa nuova Chiesa, sottile ed entusiasta esegeta, Gioacchino esercitò grande influenza sui suoi contemporanei, che o lo avversarono fieramente o ne furono ardenti seguaci (gioachimiti)” (Ttreccani.it).
Certamente sono idee di grande fascino quelle del nostro monaco, che non avranno presa soltanto sui suoi contemporanei ma anche su tutti coloro che applicheranno alla Chiesa categorie rivoluzionarie, e i modernisti erano tra questi.
Così citava Gioacchino da Fiore, il succitato Ernesto Buonaiuti nella sua autobiografia Pellegrino di Roma: “«Tutti i simboli sacramentali contenuti nelle pagine della rivelazione di Dio ci instillano la convinzione dei tre stati. Il primo stato è quello durante il quale noi fummo sotto il dominio della Legge; il secondo è quello durante il quale noi fummo sotto il dominio della grazia; il terzo è quello che noi attendiamo da un giorno all’altro, nel quale ci investirà una più ampia e generosa grazia. Il primo stato visse di conoscenza; il secondo si svolse nel potere della sapienza; il terzo si effonderà nella plenitudine dell’intendimento. Nel primo regnò il servaggio servile; nel secondo la servitù filiale; il terzo darà inizio alla libertà. Il primo stato trascorse nei flagelli; il secondo nell’azione; il terzo trascorrerà nella contemplazione. Il primo visse nell’atmosfera del timore; il secondo in quella della fede; il terzo vivrà nella carità. Il primo segnò l’età dei servi; il secondo l’età dei figli; il terzo non conoscerà che amici. Il primo stato fu dominio di vecchi; il secondo di giovani; il terzo sarà dominio di fanciulli. Il primo tremò sotto l’incerto chiarore delle stelle; il secondo contemplò la luce dell’aurora; solo nel terzo sfolgorerà il meriggio. Il primo fu un inverno; il secondo un palpitare di primavera; il terzo conoscerà la pinguedine dell’estate. Il primo non produsse che ortiche; il secondo diede le rose; solo al terzo appartengono i gigli. Il primo vide le erbe; il secondo lo spuntar delle spighe; il terzo raccoglierà il grano. Il primo ebbe in retaggio l’acqua; il secondo il vino; il terzo spremerà l’olio. Il primo stato fu tempo di settuagesima; il secondo fu tempo di quaresima; il terzo solo scioglierà le campane di Pasqua. In conclusione: il primo stato fu reame del Padre che è il creatore dell’universo; il secondo fu reame del Figlio, che si umiliò ad assumere il nostro corpo di fango; il terzo sarà reame dello Spirito Santo, del quale dice l’Apostolo: dove è lo Spirito del Signore ivi è la libertà»”.
Buonaiuti poi avvertiva che il sogno di Gioacchino ancora attendeva il suo compimento. Certo, si comprende come i voli di Gioacchino potessero affascinare i suoi contemporanei e come ancora affascinano vari pensatori. Eppure, malgrado il loro valore quasi poetiche, dobbiamo ben guardarci da quello che implicano, disprezzando il cammino storico della Chiesa, certo sempre nel bisogno di convertirsi. Questa idea che ci sarà un tempo in cui avremo “la vera Chiesa” qui sulla terra non è solo dietro al modernismo, ma a varie altre eresie.
Luca Parisoli (in iliesi.cnr.it) così ci avvicina il nome di Gioacchino con un certo cristianesimo esoterico e con le suggestioni moderniste: “Chi ci racconta la vita di Gioacchino, nei vari secoli che seguono la sua morte, ci parla di un contatto con Dio sul Monte Tabor, ma ci parla anche di successive illuminazioni e visioni che costellano la sua vita: se la retorica del narratore pone sullo stesso livello le varie visioni, siamo di fronte al resoconto di un’esperienza mistica non dissimile da tante che vengono narrate nell’agiografia medievale; al contrario, se la retorica del narratore insiste sulla preminenza di una visione che può essere detta non solo una illuminazione, bensì l’Illuminazione, allora siamo di fronte ad una occorrenza del paradigma degli illuminati seicenteschi. Con questo linguaggio simbolico, che non è una dottrina particolare, bensì una cornice di possibili dottrine, si gioca l’appartenenza di Gioacchino al cristianesimo essoterico, con le sfumature sue proprie che lo differenziano da altri pensatori cattolici oppure protestanti, oppure la sua appartenenza al cristianesimo esoterico, quello che Voegelin per il Medioevo (ed oltre) chiama lo gnosticismo politico, all’interno di una visione della storia che rifiuta l’immanenza a favore della trascendenza del Dio trinitario. E tutto questo senza cedere alle troppe ovvie suggestioni di vedere nelle profezie gioachimite un impulso alla devozione popolare, come avrebbe voluto Tondelli per il movimento dei flagellanti del 1260, tesi ricondotta nella sua dimensione meramente suggestiva da Manselli (R. Manselli, L’anno 1260 fu anno gioachimitico?, raccolto in Id., Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo, pp. 34-35), che peraltro rifugge dall’idea che la Terza Età dello Spirito sia una nuova Rivelazione, tesi fatta propria in senso apologetico dal modernismo cattolico, quanto piuttosto l’età del trionfo del monachesimo rinnovato (Id., L’attesa dell’età nuova ed il gioachimismo, poi raccolto in Id., Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo, pp. 38-40)”.
Un appartenente al cattolicesimo di marca progressista, come don Enzo Mazzi (1927-2011) così ci parla dei rapporti fra Gioacchino e un certo cattolicesimo di tipo modernista: “Gioacchino da Fiore, vissuto nella seconda metà del XII secolo, monaco del monastero cistercense di S.Giovanni in Fiore, nella Sila, si rese interprete delle attese delle classi umili del tempo. A cominciare dagli inizi del secondo millennio era avvenuta una grande trasformazione della società feudale: il declino del sistema di dipendenza della servitù della gleba e la nascita di comunità di villaggio dotate di autonomia e formate da contadini non più servi della gleba. Questo porta una nuova cultura, la cultura della cooperazione e della solidarietà. È in questo clima che il monaco cistercense Gioacchino da Fiore lancia l’annuncio della liberazione da tutti i poteri che in diversi modi dominano dall’alto e l’avvento di una società dello Spirito e dell’amore universale. Un annuncio che in diverso modo nutrirà tutte le rivoluzioni moderne, come ci dicono molti storici autorevoli. Tracce della profezia di Gioacchino da Fiore si ritrovano nel modernismo a cui guardava con simpatia papa Giovanni e nei movimenti della liberazione post-moderna come ad esempio nella riflessione di un Teillard De Chardin, nelle comunità di base e nella Teologia della liberazione” (in teologiaeliberazione.blogspot.com articolo ripreso da Il Manifesto). Insomma, le suggestioni gioachimite non sono certo assenti nel modernismo.
Il nostro monaco è certo pensatore che va indagato più in profondità in quanto in lui troviamo i semi di quello che verrà raccolto alcuni secoli più tardi.
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