Nel 1942 già informava gli alleati sui campi di sterminio nazisti. nel ’43 inviò un piano per salvare 70 mila ebrei rumeni. ma Londra mise il veto e Washington tentennò. Intervista con Gerhart Riegner, “l’uomo delle cifre”
di Andrea Tornielli
Gerhart Riegner, 82 anni, fondatore e per trent’anni segretario generale del Congresso mondiale ebraico, si era rifugiato in svizzera nel 1933. Durante gli anni della guerra, ha raccolto e smistato le notizie sulla situazione delle varie comunità ebraiche europee. E quando, agli inizi del 1943, ha informato gli alleati della possibilità di salvare dalla morte 70mila ebrei rumeni facendoli espatriare in Palestina, il veto inglese e le titubanze americane hanno impedito che il progetto si realizzasse.
«Churchill sapeva che i tedeschi stavano sterminando gli ebrei di molti Paesi europei» ha rivelato recentemente il Sunday Times, dopo aver scoperto negli archivi segreti di Londra nuovi documenti «insistette per oltre un anno con Washington affinché il piano di salvataggio venisse archiviato perché riteneva che questa gente non avrebbe comunque saputo dove andare».
Il premier britannico aveva infatti scritto all’ambasciatore americano a Londra: «Se veramente mettessimo in salvo un così grande numero di ebrei dai territori occupati dal nemico si creerebbe per noi un problema insormontabile».Nel suo ufficio in rue Varembé a Ginevra, Riegner ha ripercorso per 30 Giorni la storia di quei mesi terribili: le prime notizie sull’olocausto, i piani di salvataggio, i tanti ostacoli che ha incontrato.
Signor Riegner, qual era l’attività del suo ufficio a Ginevra durante la guerra?
GERHART RIEGNER: Facevamo dei rapporti informativi, da inviare soprattutto negli Usa, su quanto stava accadendo in Europa e cercavamo di mantenere i rapporti con le comunità ebraiche di tutti i Paesi . Ci servivamo di informatori che per svariati motivi godevano di una certa immunità e ci portavano notizie dalla Polonia, dalla Lorena, dalla Romania. Fu così che venimmo a conoscenza delle fatture che i nazisti presentavano alle comunità ebraiche perché pagassero i mezzi di trasporto con cui venivano deportati i prigionieri destinati ai campi di concentramento. nel 1945, a guerra finita, fui definito dagli inglesi “l’uomo delle cifre”, dal momento che tutti i dati sullo sterminio degli ebrei che noi fornivamo sono stati confermati.
Quando le giunsero le prime notizie sulla “soluzione finale” decretata da Hitler?
RIEGNER: Nell’autunno del 1941 i rapporti che ricevevo erano sempre più allarmanti. ero venuto a sapere che esistevano delle truppe specializzate per la deportazione e la fucilazione degli ebrei. Alcune testimonianze parlavano di esecuzioni di massa in varie città europee, dell’utilizzo di camere a gas e di strani esperimenti medici con iniezioni sugli ebrei, usati come cavie. Stentavo a crederci. Nel gennaio del ’42 i nazisti avevano mobilitato i ministri e gli agenti del Reich per la “soluzione finale”: il mese dopo erano iniziate le deportazioni.
La prima camera a gas era stata installata ad Auschwitz nel settembre dell’anno precedente, mentre a Treblinka era entrata in funzione dalla metà del 1942. Di tutto ciò il mondo era all’oscuro. In marzo contattai il nunzio apostolico a Berna, monsignor Filippo Bernardini: gli raccontai ciò che sapevo e chiesi a lui che il Vaticano facesse qualcosa intervenendo presso i governi. Gli consegnai anche un memorandum dettagliato da inviare a Roma.
Effettivamente un intervento della Santa Sede vi fu in Slovacchia, presso il governo fantoccio del sacerdote Jozef Tiso: dopo l’iniziativa vaticana le deportazioni furono bloccate per otto mesi. poi ricominciarono. ma nel luglio del 1942 ricevetti delle informazioni da un industriale tedesco, di cui ho tenuto per quarant’anni nascosto il nome: si chiamava Eduard Schulte. Era il manager di una delle più grandi industrie minerarie della Germania e aveva accesso al quartier generale di Hitler.
Fu lui che rivelò a degli industriali ebrei svizzeri il piano dei nazisti, che prevedeva la deportazione di quasi quattro milioni di ebrei. Il metodo da adoperare per l’eliminazione era stato oggetto di dibattito e Sculte ci parlò per la prima volta dell’acido prussico, che serviva a produrre il micidiale gas. Alcune settimane dopo, nell’agosto del ’42, l’industriale venne una seconda volta in Svizzera per affari e ci aggiornò: la “soluzione finale” era già in fase di esecuzione. Ci vollero due giorni perché mi convincessi che quelle informazioni erano vere.
Per quale motivo dette credito alle notizie di Schulte?
RIEGNER: In primo luogo perché Hitler, nei discorsi in occasione dell’anniversario della sua presa di potere, aveva dichiarato ripetutamente che «la guerra porterà alla distruzione delle popolazioni ebraiche in Europa». la seconda ragione furono le notizie faticosamente raccolte fino ad allora: decine di migliaia di ebrei erano stati arrestati nelle più importanti città del continente senza che si sapesse il perché. Il 25 luglio erano anche incominciate le deportazioni dal ghetto di Varsavia.
Infine decisi di tenere conto della mia esperienza di ebreo tedesco, che aveva conosciuto il nazismo fin dai primi anni e che era stato costretto a scappare dopo gli episodi dell’aprile 1933, quando i nazisti avevano boicottato tutte le attività e “sospeso” dal lavoro i professionisti di razza ebrea. Avevo anche raccolto informazioni su Schulte e tutti mi avevano confermato che le sue rivelazioni potevano essere attendibili.
Che cosa decise di fare allora?
RIEGNER: pensai di avvisare il consolato americano e il consolato inglese di Ginevra, facendo arrivare per via diplomatica un messaggio al presidente del Congresso ebraico mondiale di New York, Stephen Wise.
Perché non scrisse direttamente o non inviò un telegramma negli Usa da Ginevra?
RIEGNER: La situazione stava peggiorando di giorno in giorno e i miei messaggi sarebbero stati sottoposti a censura: non era facile spedire liberamente oltreoceano un telegramma nel quale si sosteneva che quasi quattro milioni di ebrei stavano morendo per ordine di Hitler. passare attraverso i canali diplomatici alleati era l’unica via praticabile. Fu così che l’8 agosto 1942 incontrai prima il viceconsole americano poi quello inglese a Ginevra. Riferii quanto sapevo e chiesi loro di verificare le informazioni attraverso i servizi segreti.
Chiesi inoltre di poter inviare tramite loro un telegramma al presidente del Congresso ebraico mondiale e al deputato laburista inglese Sydney Silverman, capo della sezione britannica del Congresso ebraico. il messaggio era datato 10 agosto 1942: riferivo dell’intenzione di Hitler e della possibilità che venisse utilizzato il gas per lo sterminio degli ebrei. Ma la divisione affari europei del Dipartimento di Stato americano decise di sopprimere il messaggio e di non riferire nulla a Wise perché le informazioni vennero giudicate “fantasiose”.
La copia per gli inglesi giunse a Londra nelle mani di Silverman il quale chiese il permesso di avvisare telefonicamente Wise a New York. ma il permesso gli fu negato. Infine, con ben cinque settimane di ritardo, gli fu finalmente concesso di inviare negli usa il testo attraverso il Ministero della guerra. Anche i funzionari britannici, come quelli americani, non mi avevano creduto e iniziarono delle indagini sul mio conto. Quando finalmente Stephen Wise ebbe fra le mani il messaggio, si rivolse al sottosegretario di Stato americano Summer Welles, il quale però gli impedì di rendere pubblica l’intenzione di Hitler di attuare l’olocausto, chiedendogli tempo per verificare l’informazione.
Intanto le settimane passavano. Che cosa fece lei nel frattempo?
RIEGNER: Mi resi conto che nessuno mi credeva. E mi misi a raccogliere nuove informazioni che confermassero le rivelazioni dell’industriale Schulte. Nell’agosto del ’42 venni in possesso di una lettera in cui si parlava della deportazione di 6mila ebrei al giorno e si faceva chiaramente capire che venivano portati a morire. poi un esule della Lettonia, Gabriel Zivian, mi raccontò che aveva visto con i suoi occhi lo sterminio di 36mila ebrei di Riga, avvenuto in due notti.
Una terza testimonianza mi fu fornita da un altro rifugiato che era stato deportato a Stalingrado insieme ad altre migliaia di ebrei utilizzati dai tedeschi per i lavori pesanti. era riuscito a scappare grazie al fatto di essere diventato l’autista di un ufficiale tedesco che gli aveva detto chiaramente che tutti gli ebrei inabili al lavoro pesante venivano sterminati. Un’ulteriore conferma la ebbi infine dal vicepresidente della Croce rossa internazionale, Carl Burckhardt: aveva avuto le stesse notizie da due alti ufficiali tedeschi, ma non ne aveva parlato a nessuno dei suoi colleghi, né lo fece in seguito!
Finalmente le autorità di Washington mi convocarono all’ambasciata statunitense di Berna, dove consegnai un articolato memorandum sulla situazione. Fu allora che anche il Dipartimento di Stato americano si convinse. Ma eravamo già nel novembre del ’42: centinaia di migliaia di ebrei erano nel frattempo passati per le camere a gas.
Fu allora che scattò la solidarietà degli alleati e vennero progettati i piani di salvataggio?
RIEGNER: No, al contrario. le difficoltà erano appena incominciate. Il 18 dicembre del 1942 vi fu un comunicato congiunto delle nazioni alleate, nel quale, seppur con toni moderati, si denunciava la situazione degli ebrei. Adesso nessuno poteva dire di non sapere. I governi inglese e americano nell’aprile del ’43 tennero una conferenza segreta alle Bermuda per decidere che cosa fare per salvare gli ebrei. E in gran segreto si decise praticamente di non fare niente! fu per noi il momento più amaro. Vi fu addirittura un ordine delle autorità americane – io ne venni a conoscenza solo molto tempo dopo – per impedire che io spedissi le mie informazioni attraverso i canali diplomatici e militari alleati. Mi dissero che da quel momento sarei stato costretto a pagare ben 700 franchi svizzeri di allora – una somma davvero considerevole – per spedire i miei documenti.
Quando venne a conoscenza della possibilità di salvare i 70mila ebrei rumeni?
RIEGNER: Nei primi anni di guerra il regime del maresciallo Ion Antonescu aveva deportato in Transnistria 185mila ebrei. Dopo la deportazione, nei primi nove giorni ne furono uccisi 48mila. All’inizio del ’43 il ministro degli Esteri del governo Antonescu fece sapere che vi sarebbe stata la possibilità di far espatriare 70mila ebrei dalla Transnistira a Bucarest e quindi in Palestina o in qualsiasi altra località scelta dagli alleati.
Si sarebbe dovuta versare una certa somma al governo rumeno in un conto svizzero bloccato fino alla fine della guerra. nel marzo del ’43 ricevetti informazioni precise in merito a questa possibilità di salvataggio e su un’altra iniziativa simile per mettere in salvo bambini ebrei detenuti in Francia. Il mio telegramma giunse nelle mani di Stephen Wise, che lo inoltrò alle autorità americane. Passavano i mesi e mi resi conto che niente si muoveva.
Nel luglio del ’43 Wise si rivolse al ministro del Tesoro statunitense Henry Morgenthau, che si dimostrò sorpreso del fatto che il piano non fosse ancora stato attuato. «Lo abbiamo accettato e approvato», disse. Morgenthau ordinò a due suoi collaboratori un’inchiesta: scoprirono che c’era stato un sabotaggio dell’iniziativa da parte del Dipartimento di Stato americano e scoprirono anche l’ordine di impedire l’invio dei miei rapporti.
Le rivelazioni pubblicate oggi sul Sunday Times gettano una nuova luce su questi fatti e documentano che vi fu un vero e proprio veto all’operazione da parte degli inglesi. Quando Morgenthau scoprì il sabotaggio, ne informò Roosevelt: nacque così nel gennaio del 1944 il War Refugee Board, l’Ufficio per i rifugiati di guerra, e io ricevetti finalmente una licenza dal Ministero del tesoro degli Stati Uniti che mi dava l’autorizzazione ad agire per favorire l’espatrio degli ebrei dalla Romania e dalla Francia.
Potevo anche disporre della cifra iniziale di 25mila dollari. le difficoltà però non erano finite, dato che le autorità inglesi congelarono per settimane a Berna la somma e protestarono con il governo americano per avermi concesso la licenza. le prime notizie sulla possibilità di salvare i 70mila ebrei rumeni risalivano ad aprile; purtroppo a dicembre la maggior parte di loro erano morti e non era più possibile fare niente.
Per quali ragioni gli inglesi posero il veto per oltre un anno all’operazione?
RIEGNER: I dettagli non li so. So solo che tutto venne bloccato. E credo che il Dipartimento di Stato americano abbia preferito non agire a causa dell’influenza delle autorità inglesi, che non volevano l’ingresso di altri ebrei in Palestina. A leggere oggi i documenti riservati del Foreign Office (Ministero degli Esteri, ndr) sembra che i veri nemici durante la guerra fossero gli ebrei, on i nazisti. La responsabilità degli alleati sulla vicenda dei campi di sterminio è stata grande. Sono convinto che centinaia di migliaia di persone potevano essere salvate. le racconto un ultimo esempio, molto indicativo.
Avevo chiesto più volte ai governi alleati di bombardare la linea ferroviaria su cui transitavano i rifornimenti di gas destinati ad Auschwitz. Mi hanno risposto che era troppo pericoloso. Mi hanno mentito. Solo dopo la guerra sono venuto a sapere che non solo nel 1944 le forze alleate avevano già il completo controllo aereo nell’intera regione, ma anche che, proprio nello stesso periodo in cui io feci la richiesta, i bombardieri avevano distrutto alcune industrie che sorgevano a soli cinque chilometri da Auschwitz. perché, anche questa volta, non fu fatto nulla?
* * *
Winston non era antisemita
Denis Mac Smith è lo storico inglese più conosciuto nel nostro Paese grazie ai suoi fondamentali studi sul Risorgimento italiano. 30 Giorni gli ha chiesto un parere sulle recenti rivelazioni del Sunday Times in merito al ruolo avuto da Winston Churchill nel veto britannico opposto al piano di salvataggio di 70mila ebrei rumeni. «E’ molto difficile rispondere senza conoscere le vere cause che spinsero Churchill a prendere quella decisione» spiega Mack Smith.
«Forse in quel momento c’erano tanti altri cittadini e soldati da salvare, c’erano tante altre decisioni politico-militari importanti da prendere. Nella sua decisione possono essere intervenute delle considerazioni in ordine alla difficoltà della missione, ai costi necessari, alla necessità di impiegare navi e truppe in altre zone calde in cui si combatteva il secondo conflitto mondiale. Tutti noi possiamo commettere degli errori: un uomo che ricopre un simile incarico di responsabilità può sbagliare in modo colposo ma anche per mancanza di informazioni adeguate. Non dimentichiamoci che all’epoca forse non erano ben chiare le proporzioni dell’olocausto. Winston Churchill non era un uomo crudele, non era un antisemita. Certo, è lamentabile che non abbia fatto ciò che poteva per salvare quegli ebrei, ma non bisogna individuare in lui un capro espiatorio. Anche gli alleati, come tutti, hanno avuto una parte di responsabilità in ciò che è accaduto agli ebrei. ma mi guarderei bene dal formulare giudizi affrettati su chicchessia»
_____________________________
Sulla II Guerra Mondiale:
L’anno in cui il mondo finì. Diario del ’39 di Franco Bandini