Coraggio, eroismo, lealtà e generosità: erano questi gli ideali del cavaliere medievale proposti dalla Chiesa. Una “milizia divina” opposta alla militia saeculi intrisa di violenza, dedita al culto mondano della gloria e del piacere
di Renato Mambretti
Era infatti in atto una profonda trasformazione che nella diffusa anarchia di quella società, dilacerata dalla povertà, battuta dalle scorrerie di saraceni, vichinghi e ungari, spesso angariata dalle violenze di un’aristocrazia rapace e superba, assegnava ai guerrieri a cavallo un nuovo ruolo.
Quella dei cavalieri era, peraltro, un’antica eredità germanica, una tradizione descritta anche da Tacito e individuabile nel comitatus, il gruppo dei guerrieri, radunati attorno a un capo vittorioso (il senior). Prove di forza e di sopportazione del dolore, esempi di destrezza e ferite rituali costituivano le tappe di una durissima selezione, volta a scegliere coloro che risultassero degni di portare le armi e a sancire l’accesso alla vita adulta.
Non a tutti era concesso di tentare questa avventura: accanto a indubbie doti fisiche e temperamentali erano richieste ingenti risorse economiche. Già nelI’VllI secolo si pose infatti il problema dell’equipaggiamento, che risultava talmente costoso – l’equivalente di alcune decine di vacche o di una quindicina di giumente – da poter essere garantito solo dal ricco ceto dei proprietari terrieri.
Nel X secolo i costi toccarono punte esorbitanti: il cavallo da battaglia aveva un valore corrispondente a cinque/dieci buoi, le cotte di maglia che sostituivano il vecchio giubbotto di pelle rinforzata anche dieci volte di più. I cavalieri si configurarono dunque come un nuovo ceto sociale, che sanciva la propria identità nella fedeltà vassallatica al senior (il signore).
Fu una sorta di rivoluzione, stabilizzatasi alla fine del XII secolo, quando l’imperatore Federico Barbarossa proclamò che erano ammessi solo duelli tra cavalieri. Tale norma riconosceva implicitamente che era ormai agevole riconoscere con sicurezza gli appartenenti a quel ceto. La Chiesa medievale si trovava profondamente immersa in questa realtà sociale (dalla stessa aristocrazia uscivano vescovi e milites); tuttavia, consapevole del proprio impegno a predicare il Vangelo e la pace tra gli uomini, seppe elaborare strategie volte al contenimento della violenza connaturata al gruppo dei guerrieri.
Si affermò il movimento della pax e, quindi, della tregua Dei: infrangerla avrebbe comportato la scomunica. Si posero inoltre sotto la protezione della Chiesa oratori e santuari, strade, ponti, mercati, ospizi; ma anche categorie di persone considerate pauperes (vedove, orfani, miserabili).
Negli anni Settanta dell’XI secolo la Chiesa romana diede vita alla figura del miles Sancii Petrì. legittimando la convinzione che al combattimento puramente spirituale poteva sostituirsi l’attività bellica del soldato di Cristo. Il cavaliere che, in ossequio a una sorta di codice sociale, aveva coltivato le virtù della misura e della fedeltà ai propositi, in un intenso esercizio di autodisciplina, veniva trasfigurato dall’intervento della Chiesa. La cerimonia dell’addobbamento, di origine laica e dal significato prettamente militare, cominciò a rivestirsi di un significato religioso, secondo i modi e i tempi di un cerimoniale che assumeva forme pienamente liturgiche.
Nel XIII secolo si giunse ad abbinare alla vestizione un insieme definito di significati simbolici: il bagno è segno di purificazione. la veste di lino è simbolo di purezza, la cintura bianca di castità, la porpora del sangue che verrà versato, la spada di rettitudine. La preghiera del cosiddetto Ordo C, relativa alla consegna delle armi al cavaliere – spada, lancia, scudo e speroni – recitava: «Ricorda le parole dello Spirito Santo: Cingi prode la spada ai tuo fianco. Questa spada infatti è quella dello Spirito Santo, che è parola di Dio. Conformemente a questa immagine sostieni dunque la Verità, difendi la Chiesa, gli orfani, le vedove, quelli che pregano e quelli che lavorano, ergiti prontamente contro coloro che attaccano la Santa Chiesa».
La cultura ecclesiastica seppe elaborare un nuovo modello di cavaliere, assumendo e riproponendo ideali, quali il coraggio, l’eroismo, la lealtà e la generosità, assimilabili nella testimonianza cristiana e capaci di suscitare l’ammirazione degli uomini.
Odone, abate di Cluny. aveva rappresentato questa trasformazione nella Vita di Gerardo d’Aurillac. il cavaliere ardimentoso, che aveva servito Dio restando nel mondo. Nella realtà storica, tra i membri dell’aristocrazia militare guadagnati al modello proposto dalla Chiesa figurarono Hugues de Payns e i suoi compagni, che si posero sotto la guida di Bernardo di Chiaravalle per dar vita a un Ordine monastico-militare (i Templari), votato alla difesa dei pellegrini di Terrasanta e al sostegno della presenza cristiana in Oriente.
Frutto dell’incontro fra ideale religioso e spirito bellico i Templari, così come gli Ospitalieri di san Giovanni, i cavalieri di Santa Maria (detti Teutonici), quelli di Calatrava o di Santiago in Spagna, sembrano – almeno in una prima fase – realmente incarnare l’ideale della “milizia divina”, opposta alla militia saeculi intrisa di violenza, dedita al culto mondano della gloria, alla fatua ricerca del piacere.
Bernardo di Chiaravalle traccia nel Liber ad milites Templi de laude novae militiae un’ideale ritratto della nuova cavalleria, del tutto dimentica delle lusinghe del mondo e integralmente tesa alla causa della guerra contro gli infedeli, attenta e sollecita nella difesa dei fratelli cristiani, generosa e fedele sino alla morte. Questi cavalieri sono sobri nel vestire, capaci di gesti di penitenza, cacciano solo per necessità (la caccia è una delle attività di svago per i nobili) e di preferenza le belve feroci, quale allenamento alla guerra; sono temibili e dolci al tempo stesso.
La cavalleria del pieno medioevo non fatica dunque a riconoscersi nelle parole di Odone di Cluny: “è lecito che un laico posto nell’ordine dei combattenti porti la spada solo a patto che difenda il volgo inerme, quasi innocuo gregge, dai lupi vespertini» (Vita di Geraldo d’Auhllac) o in quelle del cistercense Bernardo: “Procedete quindi sicuri, soldati, e con animo intrepido colpite i nemici della croce dì Cristo, certi che né !a morte, né la vita vi possono separare dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù» (De laude).
A partire dal XII secolo sancisce il definitivo successo dell’immagine del cavaliere – ma non ne cancella le ambiguità – il rigoglioso sviluppo della letteratura epica e cavalieresca. Sono le chanson de geste a delineare figure di guerrieri eroici, talo-ra trasfigurati da un’intensa ricerca spirituale, ma anche spinti dalle loro stesse avventure a cadere vittime delle proprie passioni. La Chanson de Roland assume Rolando come modello esemplare di cavaliere e ne esalta la fine in un’imboscata al passo di Roncisvalle.
La sua è la morte di un vassallo, generoso e impavido, fedele a un Dio guerriero. In lui la cavalleria piange il suo eroe, ma dimentica che il paladino cade anche perché assai temerario e spinto dalla ricerca di una gloria personale. Rolando è si figura esemplare, ma ambigua. I romanzi di Chrétien de Troyes (Erec et Enide, Yvain, Le conte du Graal) conservano in parte tale duplicità, delineando, tuttavia, personaggi più complessi, che agiscono nel mondo di Artù e dei suoi cavalieri.
Si tratta di un universo di pace minacciato dalle forze del male, ricco di connotazioni ideali, mistiche e religiose. Anche grazie alle suggestioni letterarie si elaborano, cosi, una mitologia e una mistica della cavalleria che lasceranno una profonda traccia nell’immaginario collettivo della cultura europea.
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«Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam – Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dai gloria». (Dal giuramento dei cavalieri Templari)
Bibliografia
Jean Flori, La cavalleria medievale, Il Mulino, 2002
Franco Cardini, Il guerriero e il cavaliere, in L’uomo medievale, a c. di J. Le Goff, laterza 1993, pp.83-123.