Una delle principali cause delle difficoltà economiche in cui versano oggi le famiglie italiane è senza dubbio l’insostenibile pressione fiscale. Tra imposte dirette e indirette, più del 50% delle entrate dei cittadini viene forzosamente prelevato dallo Stato. Il fenomeno non è solo italiano, ma mentre in alcuni Paesi europei vi sono state, negli ultimi anni, significative inversioni di tendenza, nel nostro Paese il governo di centro-sinistra ha ulteriormente aggravato la situazione
di Roberto de Mattei
Sarebbe ingenuo addebitare questo fenomeno ad incompetenza o semplice cattiva gestione da parte del governo, senza comprenderne la dimensione ideologica. Lo strumento fiscale è sempre stato considerato dal socialismo come un mezzo di redistribuzione delle ricchezze, per realizzare una società ugualitaria, in cui la proprietà privata del cittadino venga ad essere, se non soppressa, almeno limitata.
Il sogno utopico della Sinistra, dai tempi della Rivoluzione Francese, è infatti quello di una società in cui non vi sia alcuna disuguaglianza tra gli uomini, a cominciare dall’aspetto materiale, quello dei beni di cui essi dispongono. Fin dai tempi della “Congiura degli Uguali” (1796- 1797) di Gracco Babeuf e Filippo Buonarroti, i rivoluzionari si propongono di rovesciare la naturale disuguaglianza sociale fra gli uomini per realizzare una società priva delle tradizionali istituzioni che, per natura, la caratterizzano: la famiglia, lo Stato, la proprietà privata.
Il metodo dell’esproprio e della gestione statalista dell’economia, che ha caratterizzato i regimi comunisti fino alla caduta del Muro di Berlino, è però miseramente fallito. Rimane la via graduale e “indolore”, già teorizzata da Federico Engels.
Come tappe di questo esproprio graduale, Engels indica la limitazione della proprietà privata per mezzo di imposte progressive e di imposte sull’eredità, la graduale espropriazione della proprietà fondiaria, delle fabbriche, delle ferrovie, delle imprese navali; la concentrazione dei mezzi di trasporto; l’accentramento del credito nelle mani dello Stato, la soppressione di tutte le banche private, e così via.
Lo Stato socialista non nasce, insomma. per “assistere” l’individuo, ma per espropriarlo con vari mezzi, tra cui il sistema delle imposte. Chi protesta viene demonizzato come “evasore fiscale” e agli evasori fiscali, grandi o piccoli che essi siano, viene attribuita la responsabilità della crisi economica del Paese.
Nella lotta contro gli “evasori fiscali”, che ricorda le accuse contro i “sospetti” della Rivoluzione Francese, si fa addirittura appello ai principi cristiani, dimenticando che ben diversa è la dottrina sociale della Chiesa, esposta, nel corso del Novecento, in importanti documenti, dalla Quadragesimo anno di Pio XI alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II.
La Chiesa insegna che la società è naturalmente disuguale e che la proprietà costituisce, assieme alla famiglia, uno dei cardini dell’ordine sociale. Pio XI afferma nella Quadragesimo anno (1931) che «bisogna che rimanga sempre intatto e inviolato il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei beni, diritto che lo Stato non può sopprimere perché l’uomo è anteriore allo Stato e perché la società domestica è logicamente anteriore alla società civile».
L’equità e la giustizia non possono essere arbitrariamente imposte dall’intervento livellatore dello Stato. L’equa distribuzione delle ricchezze, deve avvenire assicurando a tutti i cittadini una giusta remunerazione, e non imponendo ad essi un ingiusto prelievo fiscale.
«Non esiste dubbio – insegna Pio XII – sul dovere di ogni cittadino di sopportare una parte delle spese pubbliche, ma lo Stato, da parte sua, in quanto incaricato di proteggere e di promuovere il bene comune dei cittadini, ha l’obbligo di ripartire fra essi soltanto carichi necessari e proporzionati alle loro risorse» (Discorso del 2 ottobre 1956).
Così, quando un’intervista al settimanale Famiglia Cristiana dello scorso 31 agosto, il Presidente del Consiglio Romano Prodi si è lamentato che nelle omelie non si ricordi ai fedeli il dovere di pagare le tasse, il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, parlando il 19 agosto al Meeting di Rimini, si è limitato a ricordare,con semplicità, la dottrina della Chiesa in materia, affermando che «tutti devono pagare le tasse secondo leggi giuste» e ricordando la frase del Vangelo che dice «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».
Vittorio Messori, ha commentato con acutezza le parole del cardinale: «In effetti – ha osservato – è scontato ricordare che norma basilare del cristiano è il “dare a Cesare quel che è di Cesare”; e il Segretario di Stato non poteva non citarlo. Ma per usare giustappunto il latino della Chiesa, est modus in rebus; che fare se Cesare supera, e di molto, il modus, cioè la misura?
L’Ancien Régime dava poco, ma chiedeva anche poco, la tassazione era per lo più irrisoria se confrontata a quanto sarebbe poi avvenuto. È, nella teoria, con i dottrinari illuministi e poi, nella pratica, con giacobini e girondini rivoluzionari, che lo Stato si fa “etico”, si fa “sociale”, si fa “totalitario”, assume per sé tutti i diritti e tutti i poteri, affermando che farà fronte a tutti i doveri e a tutte le necessità.
Nascono e si sviluppano sino all’ipertrofia le burocrazie, si creano smisurati eserciti permanenti, si confiscano i beni con cui la Chiesa e i corpi sociali intermedi facevano fronte alle esigenze sociali, basandosi non sul torchio dell’esattore ma sulla volontarietà dell’elemosina. Cesare, insomma, pretende sempre di più, sino a casi come quello italiano dove ogni anno, sino a fine luglio, il cittadino lavora per uno Stato di fantasia inesauribile quanto a tasse e a balzelli diretti e indiretti e – bontà sua – lascia al suddito il reddito di cinque mesi su dodici del suo lavoro.
Siamo in chiaro contrasto, dunque, con la “giustizia” chiesta dalla Chiesa, i cui moralisti – quelli moderni, non quelli antichi che si accontentavano delle “decime” – giudicano, in maggioranza, equa una tassazione che, nei casi più severi, non superi un terzo del reddito. Non sorprende, dunque, che anche in gente di Chiesa scatti un istinto di autodifesa, un bisogno di equità davanti a uno Stato che sembra configurarsi non come un padre ma come un padrone e un predone» (Corriere della Sera, 20 agosto 2007).
Di fronte a questo Stato “padrone-predone”, bisogna ribadire che ogni legge che violi il diritto naturale è ingiusta e va respinta attraverso ogni legittima forma di protesta. Che pensare, ad esempio, della legge Visco-Bersani che consente al fisco di accedere, on-line, a tutti i conti bancari delle persone fisiche e giuridiche e di procedere automaticamente all’esproprio diretto e immediato dal conto corrente di ciò che lo Stato rivendica?
Come giudicare il rifiuto del governo di applicare in Italia il metodo del “quoziente familiare”, sperimentato con successo in Francia, che consentirebbe di calcolare il reddito imponibile del capofamiglia non solo in forza del reddito percepito, ma anche in virtù del numero dei componenti della famiglia a carico?
Il governo Prodi inoltre, nella finanziaria 2007, ha reintrodotto quella iniqua tassa di successione che il governo Berlusconi aveva abolito nel 2001, e si propone, con questa tassa, di contribuire a distruggere la legittima proprietà familiare, acquistata con lo sforzo delle generazioni. Famiglia e proprietà restano i due principali avversari del socialismo, vecchio e nuovo. È importante comprendere il nesso tra questi due istituti di diritto naturale, che appartengono ai valori “non negoziabili” che meritano di essere fermamente difesi contro la dittatura del relativismo che oggi ci minaccia.
(A.C. Valdera)