di Antonio Gaspari
Si fa un gran parlare del problema dell’immigrazione, per lo più in maniera ideologica, ma solo pochi sottolineano il fatto che l’unica vera soluzione risiede nello sviluppo dell’Africa, cioè nella possibilità di aiutare gli africani a conoscere e utilizzare le moderne tecniche agricole per vincere fame e degrado.
In prossimità del secondo Sinodo per l’Africa, che si aprirà a Roma il 5 ottobre, l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, insieme all’Università Europea di Roma, ha organizzato una giornata di studio internazionale sul tema «Per una rivoluzione verde in Africa. Lo sviluppo è il nuovo nome della pace».
Intervenendo al convegno, monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e segretario uscente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, ha sottolineato che «l’Africa è un continente colpevolmente dimenticato» e per la Chiesa è una grossa sfida pastorale: «O il cattolicesimo ce la fa in Africa oppure rischia qualche sofferenza di troppo».
Dopo aver ricordato che seppure l’Africa sia il continente più ricco al mondo per materie prime, tra i 50 paesi più poveri del mondo 35 sono africani, monsignor Crepaldi ha sottolineato che «per la soluzione di problemi così complessi e profondi come quelli che affliggono l’Africa non ci sono soluzioni univoche e semplicistiche.
Ma non possiamo ignorare i tanti benefici che deriverebbero dall’impiego di tecniche di produzione agricola innovative, capaci di stimolare e sostenere gli agricoltori africani. Già oggi – ha affermato l’arcivescovo di Trieste – l’utilizzo delle sementi opportunamente migliorate tramite tecniche che intervengono sul loro patrimonio genetico sta promuovendo un crescente e diffuso progresso, come dimostrato da interessanti studi». Secondo monsignor Crepaldi, «la biotecnologia non deve essere divinizzata né demonizzata.
La tecnica e, di conseguenza, la biotecnologia è una cosa buona, ma può essere usata male»; è dunque necessario che, come ogni attività umana, «essa sia guidata dalla morale». Per il presule «la biotecnologia ha prodotto concretamente un grande sviluppo in molti settori, come la medicina, la farmacologia, la zootecnia ecc…, che, se correttamente utilizzato, potrà risolvere molte delle questioni sociali del mondo odierno».
Monsignor Crepaldi ha ricordato anche che «vi sono gruppi, non gruppetti piccoli, ma in certo senso dominanti, che mossi da una certa ideologia antiumanistica propongono misure restrittive per la manipolazione delle specie vegetali ed animali mentre favoriscono la manipolazione della persona umana».
Per spiegare i benefìci dell’uso delle biotecnologie sono intervenuti scienziati e agricoltori africani. Sylvester Oikeh, di AATF (African Agricoltural Technology Foundation), ente non profit che si batte per la sicurezza alimentare e la riduzione della povertà nell’Africa sub sahariana, ha affermato che «in Africa i benefìci prodotti dalle tecnologie OGM sono già stati dimostrati».
In Sud Africa, in condizioni in cui l’acqua piovana è la sola fonte di irrigazione, il mais modificato geneticamente ha aumentato le rese dell’11%, con un guadagno di 35 dollari in più per ettaro (che per un agricoltore africano è una cifra smolto significativa). Nel Burkina Faso, prove sul campo con il cotone modificato hanno ridotto di due terzi la quantità di antiparassitari utilizzati e hanno aumentato le rese del 15%, promuovendo il benessere degli agricoltori e dell’ambiente e favorendo la prosperità.
Motlatsi Musi, agricoltore del Sud Africa, ha raccontato che «con le sementi convenzionali riuscivo ad ottenere 5 tonnellate di mais per ettaro. Ma gli agricoltori che non hanno la possibilità di utilizzare i trattori con i semi convenzionali hanno una resa media di circa 1,5 tonnellate per ettaro soltanto. Ora, con le sementi OGM, io ottengo 7 tonnellate per ettaro; e in più si abbattono i costi di produzione, grazie alla diminuzione dei tempi di manodopera e del costo dei pesticidi.
Anche nell’eventualità di un’oscillazione dei prezzi di mercato – ha proseguito Musi – il vantaggio economico della coltivazione di sementi OGM sarebbe comunque assicurato». Dal Burkina Faso, François Traorè, presidente dell’Unione Nazionale dei produttori di cotone, padre di sette figli, ha spiegato: «Nella regione del Burkina Faso circa il 90% della popolazione vive di agricoltura.
La produzione di cotone contribuisce da sola al sostentamento di circa 3 milioni di persone (più del 20% della popolazione) assicurando ai piccoli produttori le risorse primarie per vivere e garantire l’istruzione di base ai propri figli».
Nel 2003 «il Burkina Faso ha iniziato le sperimentazioni in campo sul cotone OGM per verificarne l’efficacia e l’impatto ambientale e nel 2007 sono stati resi noti i primi risultati: un aumento della produzione dal 35% al 48%, una riduzione dei trattamenti (da 6 a 2 per anno) e una riduzione del costi del 62%».
Traorè ha concluso affermando che «non permettere agli africani di utilizzare sementi OGM è un crimine contro l’umanità».