Nulla si comprende dell’Islam, oggi, se non si parte dal fatto che il Corano è l’unico testo sacro che definisce non soltanto la fede e l’etica, ma anche i paradigmi e gli schemi della politica musulmana.
di Carlo Panella
Perché un musulmano entra in una moschea, guarda negli occhi i fedeli del suo stesso Dio e poi si fa saltare in aria, seminando strage? Perché il rapporto è oggi di un “infedele” ucciso, a fronte di migliaia di musulmani massacrati da musulmani dal Marocco alla Malaysia? Perché i terroristi wahabiti odiano a morte gli sciiti? Queste sono le domande da porsi dopo la strage iracheno-pachistana-afghana dell’Ashura. La successione dei fatti risponde: il terrorismo islamico non nasce soltanto contro l’Occidente, ma innanzitutto come “guerra santa” di musulmani contro musulmani, a partire dal 6 ottobre 1981, quando un gruppo di estremisti islamici, di cui fa parte anche Ayman al Zawahiri, braccio destro di bin Laden, uccide il presidente egiziano Anwar al Sadat. Da allora la crescita del terrorismo islamico è stata innanzitutto interna alle comunità musulmane, proprio perché nasce da una meccanica riproposizione della “Politica” che Maometto ha definito.
Nulla si comprende dell’Islam, oggi, se non si parte dal fatto che il Corano è l’unico testo sacro che definisce non soltanto la fede e l’etica, ma anche i paradigmi e gli schemi della politica musulmana. Il Corano e la Tradizione che l’ha interpretato indicano precisi, specifici, paradigmi politici per la conquista e la gestione del potere statuale, che ricalcano i passaggi della lotta politica del Profeta per conquistare la Mecca, dopo la fuga alla Medina. In sintesi: il musulmano combatte con le armi nel nome del più rigido monoteismo, per conquistare il potere politico e abbattere il governo politeista, che adora gli idoli di pietra (i corisceiti che controllano la Mecca) e che si appoggia sulla quinta colonna delle tribù ebraiche (i Banu Nadir e i Banu Qureish).
L’attualità di un antico schema
L’attualità di questo schema si riscopre nel mondo musulmano nel 1918, quando il Califfato, il governo mondiale musulmano, è cancellato, con la fine dell’Impero ottomano e l’inizio della marcia del sionismo. I musulmani del XX secolo, per rifondare il loro Stato, ritornano allora alla “Politica” definita fattualmente da Maometto nelle sue imprese terrene (stragi degli ebrei incluse).
A fronte di una composita ricerca dei vari gruppi dirigenti musulmani nazionalisti, dal Marocco fino alla Malaysia, si forma così una corrente di pensiero estremistico (Khomeini, Mawdudi, al Banna, al Qutb) che ripropone rigidamente lo schema maomettano. Già nelle fatwa di Khomeini degli anni 60 si ritrova ricalcato lo schema medinese: i musulmani combattono contro il governo idolatra dei Pahlavi, appoggiato dagli ebrei di Israele e dagli Stati Uniti. Identico è lo schema giustificativo che gli attentatori di Sadat ripropongono in tribunale nel corso del loro processo.
Simile è lo schema che la setta dei wahabiti attua in Arabia Saudita, con una doppia variante: ritengono gli sciiti “idolatri”, perché venerano non solo Allah, ma anche i loro 12 imam e ne celebrano i santuari, come quello di Kerbala (“idoli di pietra”), e attuano una politica del “doppio binario”. Il fondatore del regno, Abdulaziz Ibn Saud, infatti, intesse rapporti rigidamente segreti con gli Stati Uniti, ma poi sviluppa una politica interna basata su una lettura formalistica del precetto coranico permane l’odio settario verso gli sciiti, tanto che è Riad la vera sede progettuale della guerra di Saddam contro l’Iran di Khomeini).
Il collasso politico, la nascita di al Qaida, si ha quando l’ideologia di regime wahabita cozza con l’emergere all’evidenza dell’alleanza segreta e blasfema dei Saud con gli “idolatri” americani, in occasione della prima guerra del Golfo. Da allora, bin Laden proclama che la Mecca è nelle mani di moderni “corisceiti” e che al Qaida, dalla sua “Medina” diffusa, deve riconquistarla alla fede monoteista. E trova proseliti, molti. I terroristi che agiscono oggi in Iraq combattono dunque un falso governo islamico (quello democratico, in fieri, del Consiglio nazionale iracheno) e uccidono “gli idolatri, i crociati e gli ebrei”. Non nascono in reazione all’iniziativa militare degli Stati Uniti, nascono dentro l’Islam per combattere “il falso Islam”.
E’ un movimento che si è diffuso ormai da settant’anni in tutti i paesi musulmani: la rivoluzione islamica ha trionfato in Iran, i Fedayn hanno sconfitto l’invasore sovietico in Afghanistan; è sì fallita la guerra civile dei fondamentalisti algerini, ma si è cronicizzata con centinaia di vittime al mese. Due tradizioni estremiste “medinesi” si sono dunque radicate: una khomeinista sciita, esporta la sua egemonia con Hezbollah in Libano e in Palestina (e influenza la sunnita Hamas), diffondendo l’arma del “martire” omicida-suicida; l’altra, wahabita, si radica in Afghanistan con i Talebani e trova consensi nelle 15 mila moschee impiantate ovunque dai sauditi (Italia inclusa). In Iraq, oggi, queste due esperienze sono diventate confliggenti, come dimostrano le stragi di sciiti dell’Ashura.
Il radicamento di questi due ceppi terroristici è assolutamente precedente all’abbattimento del regime di Saddam e oggi lo “scandalo” offerto dalla “coalition of willing” fa solo emergere correnti già ben impiantate nelle società musulmane, inclusa quella saudita. Sostenere che il terrorismo che ha colpito nell’Ashura di Karbala e di Baghad è conseguenza dell’occupazione militare dell’Iraq è un falso storico. Lo dimostrano le decine di morti sciiti di Quetta, in un Pakistan retto da un governo musulmano, uccisi nel nome dello stesso fanatico progetto di ritorno a un “Islam delle origini”.