Di eugenetica si parla, eccome
di Marina Corradi
«Nuove generazioni di uomini: il dovere morale di migliorare la specie», questo il titolo della relazione di Julian Savulescu, ex direttore del prestigioso Journal of medical ethics e oggi responsabile di un centro di studi bioetici a Oxford. La sua tesi è semplice: se disponiamo ormai, con la diagnosi genetica prenatale, della capacità e – scrive il professore – dell’«obbligo morale» di prevenire le malattie (al momento, solo selezionando i nascituri, ndr.) abbiamo anche quello di cercare di manipolare caratteristiche come memoria, temperamento, aggressività, ansietà: quelle caratteristiche cioè aventi basi biologiche, che modificate diano all’individuo «le migliori opportunità di una vita migliore».
Questa, spiega Savulescu, «non è, come si potrebbe pensare, eugenetica: perché l’eugenetica era il pensiero di uno Stato che imponeva la sua concezione di popolazione “sana” con la coercizione. L’eugenetica moderna invece è volontaria, e dà alle coppie la scelta circa quale bambino avere, e a quel figlio le migliori opportunità di una vita felice». E dunque, in conclusione, «vogliamo continuare a affidare le prossime generazioni alla lotteria naturale, alla irrazionalità del caso? Il futuro è nelle nostre mani».
Di tutto questo la cosa da sottolineare è che non si tratta della fantasia delirante di un isolato, ma della relazione tenuta in un rispettabile consesso appunto della Royal Society, in un convegno dedicato a «Etica, legge e filosofia morale della medicina riproduttiva». Fra i più noti scienziati di un Paese europeo, di un Paese civile, si è potuto apertamente parlare di eugenetica, di fabbricare uomini più intelligenti e belli e creativi.
Più socialmente controllabili, anche, e più adattabili alla legge del successo: il controllo dell’impulsività è particolarmente associato col successo socio economico da un lato e il comportamento antisociale dall’altro, ha spiegato il relatore, perciò, quando fosse possibile, «dovremmo intervenire».
E in platea hanno ascoltato: senza una reazione di sgomento, senza un fremito di paura, i luminari. Come se una certa declinazione della scienza, o piuttosto della tecnica, non temesse niente, e pensasse di potere controllare ogni cosa. Come controlla le provette, e gli embrioni congelati a decine di migliaia, e ne clona o ne interrompe la vita. Dunque si comincia a dire solo fra addetti ai lavori, ma apertis verbis, e senza vergogna, che come si selezionano gli embrioni malati, così abbiamo il dovere di migliorare la specie.
Lo fa la natura, perché non noi? Già, perché no? «Noi vogliamo andare in pensione, leggere e vedere i nostri nipoti avere bambini, e giocare a golf. Il benessere è la vera essenza di ciò che è necessario per una buona vita umana».
“Noi” vogliamo. Gli altri, i meno ricchi, l’Asia, l’Africa, quelli nasceranno – fortunati loro – ma soprattutto moriranno come prima. Londra, Royal Society, autunno 2004, l’alba del Mondo Nuovo.