l’intervista di Riccardo Caniato
«Luca era gay…» non è soltanto una canzone. Incontro Luca Di Tolve, aria da ragazzo tranquillo, in barba ai suoi quarant’anni compiuti e alla professione di vigilantes nei musei. All’appuntamento non si presenta da solo; già, «adesso sta con lei!»: Teresa, Terry per gli amici – poche parole, sguardo profondo e un sorriso smagliante – è sua moglie dal 2008; e con lui condivide non solo la casa ma anche la missione, attraverso il Gruppo Lot, l’associazione che Di Tolve ha fondato per aiutare altre persone che soffrono per le problematiche legate all’identità di genere.
«Esattamente come me, in un recente passato»: Luca, infatti, omosessuale per oltre vent’anni, dalle medie fino agli albori del nuovo millennio, in questo lungo lasso di tempo, non ha trovato realizzazione. «Ero omosessuale e profondamente infelice; ora, grazie a Dio e a Terry, non più».
Un autentico outing all’inverso il suo, tradotto anche in volume – Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso (Piemme, e 15) –: un diario che ha l’impatto del romanzo, perché la parabola esistenziale del protagonista è una vicenda da «duri di stomaco», come ha sottolineato Cesare Cavalleri su Avvenire, per la drammaticità del vissuto domestico da bambino, e la successiva disperata, se non tragica ricerca d’amore, in un turbinio di passioni e di luoghi torbidi che si sono rivelati sbagliati, alla luce, prima della malattia – Luca è sieropositivo e i medici gli avevano dato poche speranze – della psicologia poi, e, infine, della conversione…
Luca, perché, nell’era della privacy, hai scritto un libro che rende pubblici i tuoi segreti e pensieri più reconditi?
Perché la comunità omosessuale è oggi sbandierata sui media come un’oasi felice, una società allegra, di superiore civiltà e comprensione umana.
E invece?
Invece anche qui, dietro al sipario delle feste, dell’allegria nottambula e svagata, ci sono persone con il proprio dramma di vivere e che, nella maggioranza dei casi, non sanno a chi rivolgersi, nel momento della crisi, quando si prende coscienza del proprio fallimento esistenziale. Ho reso pubblica la mia storia sperando di dare un aiuto a quanti, e sono tanti, nella penombra della comunità gay nascondono ferite e dipendenze a livello emotivo, relazionale e di identità sessuale, a seguito di abusi e di violenze…
Gli stessi abusi di cui, dal libro, ho appreso che tu porti ancora i segni…
Io ho patito più per le pressioni psicologiche che a livello fisico.
Alludi alla separazione dei tuoi e alla totale assenza di tuo padre che ne è seguita?
Quest’ultimo è uno fra i più diffusi elementi scatenanti l’omosessualità.
Che cosa è successo ai tuoi?
Si sono sposati giovanissimi, senza conoscersi a fondo. «Erano venuti al Nord», parafrasando un film recente, in cerca di autonomia e di fortuna, trovando momentaneamente comprensione e appoggio reciproci. Ma non poteva durare.
Mi spieghi perché riconduci la tua omosessualità a questa situazione?
Mamma è rimasta incinta a diciotto anni, era impreparata e avrebbe voluto almeno una bambina, qualcuno di più simile e comprensibile a lei; invece, eccomi qui. Dopo che papà la lasciò io mi trovai completamente avvinto in un mondo al femminile: nell’appartamento accanto al nostro viveva una vedova con le sue tre figlie, che mi passavano i vestiti e mi facevano giocare con le bambole e guardare le soap in tv. E anche a scuola non andò meglio.
In che senso?
Fino alle medie ebbi insegnanti donne, pronte ad assecondare le ansie di mamma, considerandomi a loro volta un bambino molto sfortunato, cagionevole e da proteggere. Così mi vietavano di giocare a calcio o prendevano arbitrariamente le mie parti, impedendomi un confronto di crescita e di amicizia con gli altri maschi. Il risultato fu che solidarizzai con le bambine, escludendomi o facendomi escludere dalla cerchia dei miei pari, che non tardarono a sfottermi e a darmi della «Femminuccia».
Mi stai dicendo che sulla scelta omosessuale ha inciso il contesto ambientale?
Negli anni mi hanno visitato parecchi medici e sottoposto a ogni sorta di esami e di analisi scientifiche, ma il gene dell’omosessualità, a oggi, non me lo hanno riscontrato.
Quando ti sei sentito gay?
Ero affascinato dai compagni dai compagni più brillanti e sportivi, avrei voluto emularli ed essere come loro; e, fin qui, in un’ottica comune a tanti altri miei coetanei di allora nei confronti di chi si sente più «figo» e spigliato; ma non avendo con me un padre, un insegnate uomo o un’altra figura adulta maschile che mi aiutasse a comprendere quanto fossero giuste queste aspirazioni e ad approfondire la mia autentica identità, ho finito per desiderare di conquistare in altro modo quella mascolinità che sentivo mia e al tempo stesso mi era preclusa: fu così che mi innamorai del mio compagno di banco e lo sedussi.
E facesti centro?
Assolutamente no; e lui, che vedeva in me un amico particolarmente attento e servizievole, molto presto rimase attratto dalle ragazzine… Ma gli psicologi, contattati da mia madre perché mi confermassero nell’autostima e nel mio carattere maschile, diagnosticarono, invece, senza appello, a tredici anni, che ero gay; e nella pienezza di facoltà che può avere un adolescente decisi che, stando così le cose, avrei dovuto andare a fondo, per dare senso pieno alla mia vita.
Che accadde poi?
In opposizione a mia madre e al suo nuovo compagno, sciogliendomi totalmente dai legami affettivi e dai doveri familiari, sono entrato nel giro gay, buttandomi a capofitto nella movida colorata, spesso sfrenata, dei locali notturni, dove la vita si accende la notte e fino all’alba.
Si direbbe che ti sia fatto notare.
Sì, credo di essere piuttosto simpatico, gentile e affidabile.
E pure «togo», se si considerano i premi che hai vinto.
Alludi al primo concorso di Mister Gay? È un ricordo lontano, ma mi favorì nel lavoro – sono stato il primo a sfruttare in Italia le potenzialità del turismo specializzato per omosessuali – e mi aprì le porte del mondo dello spettacolo, della tv e della moda.
Ambienti da cui in seguito hai preso le distanze…
Sono realtà che blandiscono gli omosessuali, per sfruttarne le trasgressioni, gli eccessi, la creatività e la disponibilità di tempo che chi ha famiglia non può dare. Realtà pronte a voltarti le spalle se non gli servi più.
Sembri avvelenato.
Solo obiettivo. Ho visto attorno a me tanti gay e trans amati e osannati ritrovarsi improvvisamente soli e morire nell’abbandono più totale quando l’Aids ha colpito.
Parlaci della malattia e dello sconvolgimento che ha generato.
Sono sieropositivo all’HIV, ma grazie ai nuovi farmaci sono sopravvissuto. L’Aids è stato un momento di svolta. Faccia a faccia con la morte ho fatto dei bilanci e mi sono accorto che affogare la vita nel sesso, nelle feste, nei rapporti occasionali non era la via per la mia realizzazione. Per anni ho cercato il mio Principe Azzurro, ma passando di letto in letto, ho preso atto che né io né gli altri attorno a me eravamo in grado di costruire relazioni autentiche e stabili.
Nel volume accenni alla sessualità come a una sorta di condanna…
L’omosessuale come ogni altra persona desidera l’amore vero, quello che si esprime nella fedeltà che dura nel tempo; non trovandolo, è portato a cercare altrove, ma continuando a non trovarlo, e soffrendo tremendamente per questo, affoga nelle feste e nel sesso la sua desolazione interiore, cercando di sovvenire almeno agli impulsi del corpo.
Se è per questo, oggi, neppure gli eterosessuali offrono esempi emblematici di fedeltà.
Purtroppo la nostra società è gravemente in crisi, perché ha messo in discussione la famiglia che costituisce il suo nucleo originario; ma nel mondo omosessuale, per quanto ne ho avuto esperienza, l’infedeltà riguarda la stragrande maggioranza delle persone: due gay o due lesbiche possono vivere insieme per valutazioni economiche o per altre ragioni di convenienza, ma questo «stare insieme» non preclude dall’avere rapporti occasionali e continui con altri partner.
Questo tuo ricondurre l’omosessualità alla sfera sessuale non è un po’ troppo severa e riduttiva? Ci riferiamo a un mondo comunemente dipinto per la sensibilità artistica, la raffinatezza culturale…
Se ti colleghi al sito della più importante associazione di omosessuali troverai i link di una miriade di centri culturali; ma proseguendo nell’indagine, cliccando su alcuni di questi indirizzi Internet, scoprirai che in questi luoghi, molti dei quali vietati ai minori, è il sesso l’attività portante. Ma con questo non voglio limitare la sensibilità o le potenzialità di chi partecipa di questo mondo; sottolineo solamente il dato in sé, come sintomo di un percorso esistenziale che non ha ancora trovato un equilibrio psicofisico.
Che cosa hai fatto tu, quando ti sei accorto che quella vita non ti rendeva felice?
Ho cercato altrove, tenacemente, ne andava di me stesso…; e ho trovato aiuto nella psicologia, in particolare nelle tesi dello psicologo americano Joseph Nicolosi, e poi, finalmente in Dio…
Ma Nicolosi è spesso criticato
C’è perfino chi mette in dubbio la valenza scientifica della sua terapia e di altri studi serissimi – come quelli di van den Aardweg, giusto per fare solo un altro nome di peso –, perché oggi si cerca di parificare le unioni omosessuali alle famiglie e non è conveniente mostrare storie come la mia. Eppure io sono una prova vivente sul valore di questi studi e con me ci sono persone di tutto il mondo, di cui molte anche felicemente sposate da anni e con prole, che devono a Nicolosi la propria realizzazione.
Dunque Nicolosi è il tuo salvatore?
Nicolosi ha dimostrato, a partire da me stesso, che uscire dall’omosessualità si può, aiutandomi a scavare in profondità nel mio io e a rivoltare il mio vissuto, fino a trovare il bandolo della matassa; ma la salvezza viene da Dio. E la fede la devo alla Madonna, che, per grazia, a Medjugorje mi ha preso per mano, facendomi vivere un’esperienza che non esito a definire straordinaria…
Se è per questo, quando parli della conversione, accenni anche ad altri fatti a dir poco incredibili…
Se ti riferisci all’«incontro» con padre Pio durante la confessione, il primo a essere rimasto sorpreso sono io: non mi accostavo ai sacramenti dalla Cresima, per anni ho vissuto come se Dio non esistesse, ma appena sono ricorso a lui non si è fatto attendere e in alcune circostanze mi ha dato prova tangibile che c’è e ci ama.
«Tangibile», nel tuo caso, è il termine giusto; ma a me non sono mai capitate esperienze di natura soprannaturale come quelle di cui tu riferisci nel volume…
Mi si creda o no, io sento il dovere di testimoniare ciò che è stato, in rispetto della verità e per riconoscenza.
Morale: la tua vita è cambiata.
Mi sono riappropriato della mia identità di genere fino a nutrire attrazione fisica solo per le donne; e quando ho visto Teresa è stato colpo di fulmine. Ci siamo sposati il 22 agosto, nel giorno di Maria Regina (ma non lo sapevamo), dopo due anni di fidanzamento. Siamo nel 2011: non sono mai stato fedele per tanto tempo a una stessa persona.
Come l’hanno presa i compagni di un tempo?
Gli amici che hanno a cuore la mia felicità bene; gli altri mi hanno bollato come traditore, una sorta di apostata…
…naturalmente omofobo.
Non so che cosa sia la vera omofobia: io vivo ogni giorno sulla mia pelle la discriminazione per aver riconosciuto, da omosessuale, la mia ego distonia e avere tentato un’altra strada. C’è chi mi attacca per odio ideologico e mi calunnia; ma tu non sai quanta gente, perfino psicologi e gente di Chiesa, incontrandomi, mostra imbarazzo nei miei confronti, perché appartengo a una categoria non contemplata dal politically correct. È bene ribadirlo: sono tantissime le persone che vivono con disagio l’omosessualità e non sanno con chi confidarsi e a chi chiedere aiuto; ed è per loro, oltre che per riconoscenza a Dio che mi ha rialzato e mi ha fatto incontrare Terry, che sento il dovere di dare testimonianza.
Tu ora riconduci coerentemente la tua visione delle cose a un ordine divino, ma gli altri che non credono?
Oggi, da credente, riconosco che la vita e tutto quanto la serve è iscritta nella creazione; e che non riconoscere la creazione, e il fine a cui tende, dà dispiacere a Dio, che l’ha realizzata come espressione di un amore incontenibile, ponendo l’uomo al centro di tutte le sue attenzioni. Ma per riconoscere l’ordine che c’è nella natura e nelle cose si può anche non scomodare la religione; è sufficiente la biologia per comprendere il completamento che si realizza fra generi diversi: solo un uomo e una donna sono capaci di una relazione portatrice di amore reciproco e di novità al punto di poter generare una nuova vita. E basta un po’ di amore per la libertà, come suggerisce anche l’Organizzazione mondiale della sanità, perché una persona che vive l’omosessualità non più in sintonia con sé stessa, possa cambiare nel pieno rispetto da parte di tutti.