È considerato il padre dell’ateismo moderno. Da lui dipende anche Marx. Ma aveva una idea sbagliata dell’uomo e su quella ha creduto di fondare la negazione di Dio.
di Maurizio Schoepflin
E’ vero che un certo ateismo, quale è quello feuerbachiano, oggi appare in netto ribasso: esso, infatti, ha lasciato il posto a forme di pensiero che giungono ugualmente alla negazione di Dio, ma percorrendo vie e usando toni meno drastici (e che, proprio per questo, risultano più difficilmente contrastabili); ciò, comunque, non toglie che, andando a guardar bene, sia possibile rintracciare anche nell’ateismo contemporaneo, magari liberato da una certa patina politically correct alcune fondamentali acquisizioni il cui moderno padre è senz’altro Ludwig Feuerbach.
Il pensiero di Feuerbach prende le mosse da una serrata critica antihegeliana: l’hegelismo viene visto come una filosofia irrimediabilmente astratta, incapace di parlare dell’uomo vero e concreto, quello di carne e di sangue che, al contrario, sta sommamente a cuore al Nostro. Feuerbach si fa paladino di una concezione dell’umanità decisamente materialista e afferma che l’esistenza è legata unicamente alle dimensioni della fisicità e della sensibilità; l’uomo feuerbachiano è corporeità e bisogno.
Non è difficile comprendere che, muovendosi su questa linea, Feuerbach non avrebbe potuto non coinvolgere nella sua critica radicale qualsiasi prospettiva religiosa, dal momento che, secondo lui, la religione rappresenta il culmine di quel processo di alienazione che spinge l’uomo a dimenticare la propria terrestrità e la propria concretezza, in nome di una verità trascendente, di valori ultramondani e di un futuro che sfocia nell’eternità.
Secondo Feuerbach, alla base di ogni fede religiosa – e, in particolare, del cristianesimo, che è la forma più alta di religione – sta un equivoco che la filosofia ha il compito di smascherare, dichiarando apertamente che non è Dio a creare l’uomo, bensì è l’uomo che, attraverso la fantasia, si è creato un Dio. Ciò è accaduto – spiega il pensatore tedesco – perché gli uomini hanno avuto bisogno di credere che esistesse una realtà – Dio appunto – nella quale tutte le loro speranze si potessero concretizzare e i loro desideri avverare: “Dio è lo specchio dell’uomo” – afferma Feuerbach -, la religione è un fatto esclusivamente umano e la teologia altro non è che antropologia. Feuerbach reinterpreta tutto il cristianesimo e i suoi dogmi alla luce di queste convinzioni: “Così il mistero dell’incarnazione è il mistero dell’amore di Dio per l’uomo, ma in realtà è il mistero dell’amore che l’uomo porta a se stesso… lì mistero della Trinità è il mistero della vita sociale comunitaria” (C. Fabro).
Se, dunque, la religione è soltanto una fantasticheria alienante, perché proietta l’uomo in un mondo tanto consolatorio quanto immaginario, compito della filosofia sarà quello di estirparla dal cuore umano e di cancellarla dalla storia: a tal fine è necessario prendere coscienza che la molla che spinge l’uomo ad abbracciare la fede è la sofferenza che egli prova ogni giorno e dinanzi alla quale la natura gli appare completamente insensibile: “Dio – scrive Feuerbach – è una lacrima dell’amore versata nel più profondo segreto sulla miseria umana”. Compreso ciò, sarà più facile rovesciare la religione in un deciso umanesimo, che al posto dell’amore dell’uomo per Dio metta l’amore dell’uomo per l’uomo, al posto della preghiera il lavoro, al posto dell’al di là l’al di qua.
Come è agevole notare, nell’ateismo feuerbachiano sono sintetizzati alcuni degli elementi tipici sia dell’ateismo classico, sia di quello contemporaneo: il materialismo, la convinzione che la religione sia un’invenzione dell’uomo, l’idea che l’esistenza di Dio rappresenti una limitazione della libertà, l’auspicio di un umanesimo senza Dio.
A inquadrare criticamente il pensiero di Feuerbach risultano molto chiare e adeguate le considerazioni di Padre Cornelio Fabro, il compianto filosofo cattolico profondo conoscitore del problema dell’ateismo: “Si deve tuttavia denunziare l’errore metodologico fondamentale che è nella genericità e generalizzazione della sua critica quando passa dall’insostenibilità dell’antropomorfismo di un certo tipo di religione (idolatria, politeismo) alla critica della religione come tale, e parimenti dall’insostenibilità della metafisica hegeliana all’inconsistenza di qualsiasi metafisica: l’errore fondamentale di Feuerbach è di essere passato da uno degli estremi (il pensiero astratto idealistico) all’altro che gli è contrapposto (l’immediatezza empirico-fenomeno-logica), senz’afferrare la posizione intermedia del realismo greco-cristiano della sintesi di anima e corpo, di spirito e materia, di pensiero ed esperienza.
Ricorda:
“In Feuerbach il motivo della critica è la preoccupazione di salvare l’uomo, di fare spazio all’uomo. Dio è visto non come Colui che fonda l’essere e il valore dell’uomo (come è nella teologia filosofica di S. Agostino, S. Tommaso, di S. Anselmo) ma come Colui che porta via qualcosa all’uomo, anzi che porterebbe via tutto all’uomo, se esistesse. Dove c’è Dio non c’è posto per l’uomo”. (Sofia Vanna Rovighi, La filosofia e il problema di Dio, Vita e Pensiero, Milano 1986, p. 161).
Bibliografia:
L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1975, terza edizione.
C. Fabro, Il neo-umanesimo ateo di Feuerbach, in “Studi cattolici”, 17 (1973), pp. 17-25.
A. Caracciolo, Dio e spazio religioso in Feuerbach, in AA. VV, Dialettica e religione, Benucci, Perugia 1978