Martedì, 10 novembre
di Paolo Sensini
Siamo abituati a pensare che le guerre si facciano solo con armi ed eserciti che si fronteggiano, e che ad esse conseguano sempre macerie e distruzioni materiali. È un sillogismo corretto, come la storia passata e recente ci conferma con abbondanti prove.
Noi stessi, o meglio le generazioni venute prima della nostra, siamo confortati in tale ragionamento dalle devastazioni che sono seguite alla Prima e soprattutto alla Seconda guerra mondiale, quando le città italiane e tedesche sono state in buona parte ridotte a cumuli di macerie dalle bombe lanciate dagli aerei anglo-americani.
Bombe a dire il vero non molto intelligenti, visti gli enormi danni alle infrastrutture e i morti civili che nulla avevano a che fare direttamente con le parti in causa, ma che hanno svolto pienamente il loro infame lavoro. Non vi è dunque nulla di sbagliato a ritenere che la guerra sia l’elemento di devastazione per eccellenza. Ma non è tuttavia l’unica.
Se guardiamo per esempio ciò che è successo in Italia da oltre un decennio, ma possiamo estendere il nostro sguardo anche a diversi altri Paesi europei, non è difficile rendersi conto di quello che ha significato l’istituzione della UE. Innanzitutto è stata imposta una moneta comune, l’euro, calata completamente dall’alto su oltre trecentocinquanta milioni di abitanti dell’Unione. Nessun cittadino è stato interpellato su una scelta così gravida di conseguenze e, dalla sera alla mattina, ci si è trovati obbligati a maneggiare questa nuova valuta di scambio.
Una cosa mai successa nella Storia. Ma ancora prima di questo passo, le massime autorità politiche, economiche e finanziarie italiane hanno deciso di aderire al nuovo consesso dell’Unione Europea senza alcun referendum o consultazione popolare. In altre parole è avvenuto quello che, con espressione non troppo felice ma che rende bene l’idea, potremmo definire una “fusione a freddo”.
I problemi però hanno incominciato a venire al pettine piuttosto alla svelta: disoccupazione di massa, impoverimento generale della società, tassazione del lavoro e della proprietà sempre più alta, perdita delle “sicurezze” degli individui. Un’ecatombe che ha messo in ginocchio diversi Paesi, Spagna, Grecia e Italia in primis, ossia quelli amministrati nella maniera peggiore.
Inoltre non c’è voluto molto a rendersi conto che il nuovo organismo chiamato UE è piuttosto carente dal punto di vista della legittimità democratica e che ai suoi vertici sono cooptati individui privi di ogni pur minima investitura pubblica. In questo senso mostra profonde similitudini con la defunta Unione Sovietica.
Quest’ultima era infatti governata da quindici persone non elette (Politbjuro) che si attribuivano incarichi l’un l’altro e che non erano tenuti a rispondere a nessuno. L’Unione Europea è governata da due dozzine di persone non elette (Commissione Europea) che si attribuiscono anch’essi incarichi l’un l’altro, si incontrano in segreto, non devono rispondere a nessuno e che non possiamo rimuovere.
A questo si può obiettare che l’Unione Europea ha un Parlamento eletto, ma anche l’Unione Sovietica aveva una specie di Parlamento, il Soviet Supremo, che si limitava a timbrare le decisioni del Politbjuro più o meno come fa oggi il Parlamento dell’Unione Europea, dove i tempi di parola nella plenaria sono limitati all’interno di ciascun gruppo e spesso ammontano a un solo minuto per oratore.
Nell’Unione Europea ci sono centinaia di migliaia di euroburocrati con altissimi stipendi, con i loro staff, i loro servitori, i loro bonus, i loro privilegi, la loro immunità a vita dai procedimenti penali, che semplicemente ruotano da una posizione all’altra, non importa quali siano i loro risultati o i loro insuccessi. Il Gosplan, la commissione per la pianificazione economica dell’URSS, era l’organo che decretava i piani quinquennali fin nei minimi dettagli, anche la forma di dadi e bulloni.
L’UE ha già prodotto circa 100mila pagine di regolamentazioni che prescrivono ogni cosa, dal calibro delle mele alle caratteristiche delle toilettes per signora. E di mese in mese lo spettro del suo intervento normativo e regolatore si estende a sempre nuovi campi. Con i risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi.
L’Unione Sovietica è stata creata attraverso quello che la stampa ufficiale sovietica dell’epoca chiamava col nome “Oktjabr’skij perevorot” (“il colpo di Stato d’ottobre”) e non “Revoljucija”. L’Unione Europea è stata fondata, a dire il vero, senza l’uso della forza militare ma grazie a una massiccia propaganda e alla coercizione economica.
Per continuare a esistere, l’Unione Sovietica ha dovuto espandersi sempre di più: quando smise di allargarsi iniziò a collassare e vi è il ragionevole sospetto che la stessa parabola sia possibile anche per l’Unione Europea. Dopo il colpo di Stato d’ottobre venne detto che l’obiettivo dell’Unione Sovietica era quello di creare una nuova entità storica, il popolo sovietico, e che i suoi abitanti dovevano dimenticare le rispettive nazionalità, tradizioni etniche, usi e costumi.
La stessa cosa sembra accadere con l’Unione Europea, dal momento che non vogliono più che si continui a essere inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli: esigono che tutti si appartenga a una nuova fattispecie storica, gli europei, per sopprimere ciò che rappresenta il patrimonio storico di ogni popolo e vivere come una “comunità multinazionale”.
Dopo 73 anni di esistenza coatta, questo sistema ha condotto a più conflitti etnici che in qualunque altra parte del mondo. Nell’Unione Sovietica uno dei grandi obiettivi era la distruzione dello Stato-Nazione e questo pare esattamente ciò che si osserva anche in Europa oggi. Bruxelles vuole infatti assorbire gli Stati preesistenti in modo che cessino di esistere.
La corruzione endemica che si è vista nella vecchia Unione Sovietica sta prosperando oggi anche nell’Unione Europea, ma coloro che vi si oppongono o che lo evidenziano vengono messi a tacere o allontanati quasi fosse un delitto di lesa maestà.
L’obiezione principale, tuttavia, per chi rifiuta con sdegno una simile equiparazione tra queste due entità burocratiche, è che in URSS vi era l'”Arcipelago Gulag” mentre in Europa non esiste nulla di simile. “Io penso – sostiene l’ex dissidente russo Vladimir Bukovskij – che abbiamo un Gulag anche nell’Unione Europea: un Gulag intellettuale chiamato ‘politically correct’.
Quando chiunque cerca di esprimersi su questioni relative alla razza o alla differenziazione di genere, o se le sue opinioni differiscono da quelle approvate, viene ostracizzato. Questo è l’inizio del Gulag, l’inizio della perdita della libertà”. E in effetti il “politicamente corretto” viene già applicato sempre più in modo coercitivo attraverso tribunali, pene e gogne mediatiche.
Con la scusa del terrorismo, si varano leggi speciali che consentono di sospendere le libertà civili e la libertà di parola; e i governi tendono ad assumere sempre più poteri speciali di emergenza da cui sarà quasi impossibile tornare indietro. Perché proprio ora? Cosa giustificano misure d’eccezione che non sono state introdotte nemmeno durante le due guerre mondiali?
Vi è poi l’Europol e la paventata Eurogendfor, la polizia eurocratica, che saranno provviste addirittura di più poteri del vecchio KGB perché godono di immunità diplomatica e potranno perseguire i “reati di opinione”, quelli che George Orwell chiamava “psicoreati”. Diversi governi hanno già detto apertamente che coloro che si oppongono all’immigrazione incontrollata dal terzo mondo saranno considerati razzisti e dunque perseguiti in quanto tali.
Allo stesso modo, coloro che si dichiarano contrari all’ampliamento dell’Europa ad altri Paesi saranno considerati xenofobi. Una cosa che, prima d’ora, mai in nessuna legislazione era stata considerata alla stregua di reati da perseguire. “In Unione Sovietica ci hanno detto – continua Bukovskij – che avevamo bisogno di uno stato federale per evitare le guerre.
Nell’Unione Europea vi stanno dicendo esattamente la stessa cosa. In breve, la medesima ideologia sorregge entrambi i sistemi”. L’Unione Europea pare dunque essere nella sua essenza nient’altro che il vecchio modello sovietico presentato in salsa occidentale. Più “moderna” e con un’economia maggiormente sviluppata, ma afflitta ab origine dalle stesse tare.
E come la vecchia URSS ha dentro di sé i germi della sua fine, perché è incapace di riformarsi. Sfortunatamente, quando collasserà – e il momento si avvicina sempre di più – lascerà dietro di sé una distruzione di massa e ci troveremo con enormi problemi economici ed etnici. Ma c’è un’alternativa all’essere governati da quelle due dozzine di auto-incaricati funzionari di Bruxelles: si chiama “indipendenza”, anche perché a nessun cittadino europeo è stato chiesto se voleva farne parte.
Indipendenza anche da forme statali e sovranazionali che non hanno alcuna legittimità sul piano storico e che sono il semplice frutto di opere di colonizzazione o combine geopolitiche da parte di potenze straniere. La cosa diviene ancora più urgente in un momento come questo, dove i risultati economici generali mostrano andamenti a dir poco disastrosi.
Prendiamo per esempio il caso italiano, perché è paradigmatico dello sfacelo generale. L’Italia è un Stato nato male e cresciuto ancora peggio, il quale dopo oltre 150 anni dalla sua fondazione versa in condizioni disastrose. Nessuno dei problemi che si sono presentati fin dal suo tragico inizio è stato risolto e in più, nel frattempo, se ne sono aggiunti diversi altri.
Sul piano economico la situazione rimane ancora totalmente sbilanciata, con un Nord che funge da locomotiva economica agganciata ai centri più floridi dell’economia mondiale e un meridione piagato dalla malavita politica e criminale che ne occupa tutti gli spazi possibili. Basti solo dire che il residuo fiscale di tre sole regioni, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto ammonta a 95 miliardi di euro annuali che non ritornano sui territori in cui questa ricchezza viene sottratta.
Chi può pensare ragionevolmente di risanare i bilanci di uno Stato che, a livello centrale e in tutti i suoi gangli periferici, brucia risorse in questo modo e non si è mai neppure posto il problema di modificarne anche solo lievemente la rotta? È ovvio che ai molti parassiti che vivono di questo andazzo le cose vanno bene così e guai a chi si azzarda anche solo a pensare di porre fine allo sfacelo economico, giudiziario e dell’ordine pubblico che ci sta trascinando nel baratro.
Quindi diciamolo chiaramente: queste responsabilità di malgoverno non possono essere ascritte a quell’entità chiamata Unione Europa, che esiste da poco più di un decennio, ma essa ha aggiunto altre “rigidità” che vanno ad aggravare ulteriormente la situazione dell’Italia. La più importante delle quali, forse quella decisiva, è stata d’introdurre da parte della Banca Centrale Europea dei vincoli di spesa pubblica che hanno chiuso i rubinetti a un governo italiano abituato da sempre a stampare nuova moneta creando inflazione e quindi ulteriore debito.
Una volta entrate a regime le nuove istituzione di governance monetarie europee era fatale che ciò accadesse. E ora, come prevedibile, tutti i nodi arrivano dolorosamente al pettine. Ma questa situazione non è un’esclusiva della sola Italia, come si può osservare in diversi altri Paesi. Così, per far fronte all’emergenza, tutti i governi occidentali spalleggiati dal sistema bancario a riserva frazionaria si stanno muovendo inesorabilmente verso un’economia completamente senza contanti.
Le Banche svedesi, per fare un esempio, hanno iniziato a chiudere gli sportelli automatici anche nelle zone rurali più remote e, secondo il resoconto di alcuni giornali, la regola generale in Scandinavia è: “Se devi pagare in contanti, c’è qualcosa che non va”. Dal 2009 il valore medio annuo di banconote e monete circolanti in Svezia è infatti sceso del 20%, da oltre 100 a 80 miliardi di corone.
Quello che spinge questo movimento a distruggere i contanti è il desiderio di spingere le banche centrali a portare il tasso di interessi sempre più in negativo. A settembre 2015, per esempio, sono stati collocati €1.750 miliardi di Btp a due anni con un rendimento negativo dello 0,23% segnando l’entrata dell’Italia nel club dei governi debitori che riscuotono interessi dai risparmiatori invece di pagarli. Insomma, l’ennesimo chiodo piantato sulla bara del risparmio.
L’Italia è uno dei massimi debitori in Europa e i risparmiatori acquistando titoli di Stato devono prestare ai governi per farsi sottrarre il risparmio. In poche parole sono diventati certificati di confisca. Le banche tuttavia non hanno ancora trasferito questo tasso ai loro depositanti, perché essi avrebbero semplicemente ritirato il loro denaro piuttosto che lasciarlo negli istituti bancari e vederlo ridursi inesorabilmente.
Ma se il denaro contante fosse abolito e i depositi bancari diventassero l’unica forma di denaro, allora non ci sarebbe nessun limite per una politica di tassi con interessi negativi e le banche sarebbero in grado di superare l’ostacolo senza conseguenze dirette ma riversando, semplicemente, le perdite sui loro depositanti e correntisti. La ragione di ciò che sta accadendo è piuttosto chiara.
La maggior parte delle istituzioni finanziare europee è insolvente e al primo campanello d’allarme ci potrebbe essere una corsa agli sportelli per trasformare i depositi in contante fisico prosciugando la liquidità delle banche. Ma non solo, potrebbe venire prosciugata la liquidità del mercato monetario dove si negoziano gli strumenti finanziaria con durata inferiore ai 12 mesi potenzialmente convertibili in cash.
L’incubo delle banche centrali, osserva l’analista Gerardo Coco, è proprio questo: “che diventi realtà la conversione del risparmio in contante fisico e l’unico mezzo per scongiurare un possibile drenaggio di liquidità è metterlo fuori legge consentendo solo transizioni digitali. La misura è funzionale a quella degli interessi negativi, una vera e propria tassa che potrà essere applicata ai depositi non più convertibili in contanti”.
I governi sono in bancarotta e la prospettiva è dunque la seguente: tutte le risorse dell’economia devono essere impegnate per pagare i loro debiti e ne resteranno sempre meno per i consumi, investimenti, pensioni. Tutto ciò che è guadagnato oltre la soglia di sussistenza sarà quindi potenzialmente espropriabile per pagare i debiti.
Perciò con gli stipendi, dividendi, retribuzioni ecc. che vengono versati tutti con un deposito diretto sul conto in banca, l’unico modo per sfuggire a tassi di interesse negativi sarebbe quello di spendere, spendere, spendere… quello che ancora rimane. Ma fino a quando potrà durare?
Questo, naturalmente, è proprio ciò che vorrebbero i consulenti governativi, gli economisti keynesiani e le banche centrali. Se non usi il contante significa che tutta la tua attività economica passa per le banche dove può essere controllata, tracciata, monitorata e regolata. E chiunque provasse a chiamarsene fuori verrà bollato ipso facto come un potenziale criminale.
Quindi la morale di ciò che sta avvenendo è fin troppo prevedibile: la UE presto o tardi collasserà come è crollata a suo tempo l’Unione Sovietica. Ma quando avvengono i crolli di questi mostri burocratici lasciano tali devastazioni che intere generazioni non bastano a curare. È questo il futuro che vogliamo lasciare ai nostri figli?