Ritratto di un discutibile “eroe” del Risorgimento
di Rino Cammilleri
Un po’ prima dell’unità d’Italia, l’ex primo ministro inglese Gladstone ebbe cura di far circolare presso tutte le cancellerie d’Europa una sua lettera, pur privata, in cui narrava di una gita in barca da lui effettuata nel golfo di Gaeta. In quell’occasione aveva potuto vedere, scrisse, il penitenziario dell’isola di Santo Stefano e constatare quanto fossero «la negazione di Dio» le carceri borboniche.
Come ebbe ad ammettere in seguito, a cose fatte (cioè, a conquista piemontese del Sud avvenuta), lui da quelle parti non c’era mai stato. Ma la propaganda politica ha le sue regole; infatti, a poco erano valse le proteste diplomatiche del Regno delle Due Sicilie, che le sue carceri invitò chiunque a visitare.
Naturalmente, rimase inascoltato, perché la superpotenza del tempo, l’impero britannico, ormai aveva decretato la sua fine. Ebbene, in quelle famose carceri, proprio a Santo Stefano, al tempo della mai effettuata gita di Gladstone si trovava Luigi Settembrini (1813-1876), «patriota» a cui sono intitolate oggi le nostre strade e le nostre scuole e che là si trovava perché coinvolto nei moti del 1848 da recidivo (già si era fatto tre anni di galera nel 1839 per cospirazione). In quella «negazione di Dio» prendeva il tè con gli amici che andavano a fargli visita e, soprattutto, chiedeva (e otteneva) risme e risme di carta, penne e inchiostro e calamai per scrivere le sue opere rivoluzionarie.
Una delle quali era così rivoluzionaria che nessuno osò mai pubblicarla, nemmeno quando l’Italia fu fatta e il Settembrini divenne cattedratico e senatore. Il manoscritto rimase sepolto tra le sue carte finché non venne ritrovato, nel 1937 nientemeno, nel fondo a lui intitolato presso la biblioteca dell’università di Napoli. Ma neanche il fascismo osò dare alle stampe quel libro. E nemmeno la Repubblica italiana nata dalla Resistenza.
Solo negli Anni di Piombo, dopo la bufera del Sessantotto, quel che c’era scritto dentro cominciò a suscitare interesse. Infatti, fu nel 1977, in piena rivoluzione sessuale, che il romanzo I neoplatonici vide la luce per i tipi della Rizzoli. Infatti, il Corriere della Sera, nel recensirlo, parlò di pornografia esplicita e di «scene estremamente scabrose». Di più: «Un racconto a carattere pederastico-erotico di una crudezza difficilmente superabile», lo descrive Paolo Mariani nel suo libro L’Accademia e la Loggia. Rivoluzione e massoneria alle origini dell’Italia moderna: i “casi letterari” (II Cerchio).
Settembrini è diventato un pilastro nazionale per le sue Lezioni di letteratura italiana, iniziate nel 1867, lo stesso anno in cui la Costituente massonica lo ricevette nel Grande Oriente d’Italia (ma già da quattro anni era Maestro Venerabile nella Loggia «Ubbia d’Oro» di Napoli). Nel 1859 era stato liberato dal carcere a patto che se ne andasse in America. Lui invece andò a Londra, centro di raccolta di tutti i rivoluzionari italiani e «sede centrale», se così si può dire, della massoneria internazionale.
Caduto il regno borbonico, immediatamente tornò a Napoli, dove ebbe la cattedra universitaria di letteratura. Le sue Lezioni erano un programma pedagogico per studenti universitari. Così come la Storia della letteratura italiana, iniziata nel 1870 da Francesco De Sanctis, era per studenti liceali. Nel 1886 per gli studenti delle elementari Edmondo De Amicis aveva scritto Cuore. E, tre anni prima, Carlo Lorenzini detto Collodi aveva pubblicato Le avventure di Pinocchio per i ragazzini ancora più piccoli.
Ebbene, tutti questi autori erano massoni credenti e praticanti ma un silenzio di tomba è calato su questa loro speciale qualifica. Eppure, tutta la loro opera trasuda filosofia massonica (significativo, al riguardo, il titolo dell’intervento di A. Piromalli al convegno torinese del 1988 su La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria: «Francesco De Sanctis e il programma massonico di pedagogia nazionale»).
De Sanctis fu addirittura Ministro della Pubblica Istruzione tre volte: nel 1861, l’anno successivo e dal 1878 al 1880. Ed aveva 18° grado massonico (Principe Rosa+Croce) nel Rito Scozzese Antico e Accettato. Fortissima fu la sua influenza su protagonisti della cultura italiana come Benedetto Croce, Giovanni Gentile e perfino Antonio Gramsci; un’influenza, dunque, continua e, a tutt’oggi, mai cessata. La sua opera è percorsa da un’idea fissa: «l’antitesi inconciliabile tra cultura cattolica e cultura moderna». E ancora oggi, nelle scuole italiane si impara che «ogni avanzamento filosofico o letterario compiuto dal Rinascimento in poi è scaturito sempre e soltanto da una cultura estranea o in opposizione al cattolicesimo».
A De Sanctis si deve la presentazione di Galileo come vittima dell’Inquisizione e il tacere sulla distinzione tra fede e ragione, che pur aveva cavato dalla tradizione scolastica, l’esaltazione del Leopardi sensista e nichilista, l’enfasi sul Cinque maggio (entusiastico necrologio di Napoleone) di Manzoni a discapito del resto, il silenzio sul Pantiilluminismo di Giambattista Vico eccetera.
Ma De Sanctis da solo poco avrebbe potuto senza l’universale plauso dei suoi successori: «Un intellettuale non consegue credito se non anche grazie al consenso che gli viene accordato», dice giustamente Mariani. E cita il filosofo cattolico Augusto Del Noce: «Gramsci si è sentito vicino a De Sanctis più che a qualsiasi altro pensatore della tradizione italiana».
De Sanctis scriveva per i licei e Settembrini gli teneva bordone all’università, spiegando agli studenti che «tutta la nostra civiltà non è altro che le vittorie da noi riportate su la religione di Roma e dei Papi». Il che è esattamente l’idea di fondo in cui noi tutti siamo stati formati negli studi e che ancora oggi costituisce l’asse portante dei programmi scolastici di ogni ordine e grado. Sui quali hanno studiato anche quelli che poi di mestiere hanno fatto il prete.
Un’ultima considerazione: in ogni ordine e grado, non sono le materie scientifiche quelle che «formano», perché due più due deve fare quattro anche per un marxista. Tra esse, solo la biologia offre il fianco alla filosofia (quella darwinista, nello specifico). Guardiamo invece i manuali di storia, filosofia e letteratura e contiamo, tra i loro autori e quelli proposti, quanti sono i «fratelli» e i «compagni». E osserviamo la sapiente presentazione “laica” di quei due o tre cattolici che non si è potuto silenziare.