24 giugno 2015
di Massimo Introvigne
Dopo che a Piazza San Giovanni un milione di persone ha manifestato contro la teoria del gender e le sue conseguenze giuridiche, a partire dalla legge Cirinnà, una tesi oscura che circolava su qualche rivista scientifica per iniziati o nella subcultura dei blog Lgbt è venuta allo scoperto ed è stata messa in prima pagina da giornali nazionali. La teoria del gender, afferma questa tesi, non esiste. È nata, come ha riassunto il leader gay Franco Grillini, «nelle stanze vaticane», con una sorta di complotto che coinvolgerebbe Benedetto XVI, il cardinale Bagnasco e lo stesso Papa Francesco, che ha definito a Napoli la teoria del gender «un errore della mente umana».
Anche una sociologa con rispettabili credenziali, ma piuttosto militante – da buona ex ciellina “convertita” al laicismo –, come Chiara Saraceno ha ritenuto di dover indossare questa posizione, che evidentemente appare a molti come l’arma di distruzione di massa da usare contro Piazza San Giovanni.
Per la verità Michela Marzano, su Repubblica del 22 giugno, ha un po’ corretto il tiro, limitandosi a osservare che della teoria del gender esistono varie versioni diverse tra loro (nessuno lo nega) e che i cattolici dovrebbero convincersi che è cosa buona e giusta. Ma, nelle dichiarazioni dei leader Lgbt e di qualche politico meno avveduto culturalmente, quello secondo cui «la teoria del gender non esiste, l’ha inventata il Vaticano» è diventato uno slogan rozzo e intollerante, che dobbiamo prepararci a sentir ripetere fino alla noia.
Non si capisce neppure bene che cosa voglia dire chi afferma che la teoria del gender non esiste. Gli articoli che sbattono in faccia al popolo del 20 giugno questa tesi sostengono, infatti, tre cose diverse. Alcuni, a leggerli bene, affermano che la teoria che il Papa e tanti altri chiamano «del gender» esiste, ma è meglio chiamarla con altri nomi.
La scelta del nome diventa però una questione di opportunità politica, e dal momento che le figure storicamente più importanti per la nascita della teoria negli Stati Uniti la chiamano gender theory la traduzione “teoria del gender” non solo è fedele ma, quando evita di tradurre l’inglese “gender” con l’italiano “genere”, che ha diversi significati, si sforza semmai di rimanere il più fedele possibile alle intenzioni dei promotori.
Altri testi sostengono che non esiste una teoria del gender come nemico delle famiglie, ma esistono solo idee sul gender buone, simpatiche e cordiali. Evidentemente si tratta qui di giudizi di valore, che nulla ci dicono sul fatto dell’esistenza o meno della teoria. Rimane il terzo gruppo di articoli, secondo cui effettivamente qualcosa che si chiama “teoria del gender” non è mai esistito, i cattolici fanno confusione con gli “studi di genere”, che sono altra cosa, e Benedetto XVI in particolare, nel suo famoso discorso per gli auguri di Natale del 2012 alla Curia Romana in cui indicava nella filosofa francese Simone de Beauvoir l’iniziatrice della teoria del gender, avrebbe capito male Simone de Beauvoir.
Questa terza versione di quello che possiamo a buon diritto chiamare “negazionismo” della teoria del gender è l’unica che merita risposta. Per impressionare il lettore, i negazionisti affastellano tanti nomi e tante date, ma si dimenticano curiosamente di citare un testo fondamentale: Sesso e genere nel “Secondo sesso” di Simone de Beauvoir, pubblicato da Judith Butler – un personaggio decisivo per la teoria del gender, la cui importanza non è sfuggita al vituperato cardinale Bagnasco – sul numero speciale dell’inverno 1986 dei prestigiosi “Yale French Studies”, dedicato appunto a Simone de Beauvoir.
Si tratta di un articolo denso e difficile, che per di più sfida le traduzioni e va letto in originale: ma che credibilità può avere chi viene a parlarci di teoria del gender e delle sue relazioni con Simone de Beauvoir senza conoscere questo testo fondatore?
Obietterà qualcuno che quella di Judith Butler non è l’unica versione della gender theory. Ma certo: ce ne sono versioni precedenti, radicate in un sottofondo esoterico e gnostico, come quella di Margaret Sanger, e versioni successive che si spingono ancora oltre.
Conosco tuttavia pochi sostenitori della teoria del gender che non riconoscano la centralità di Judith Butler nel suo sviluppo storico. E chi studia la Butler sa quanto importante sia l’articolo sulla de Beauvoir del 1986.
Che cosa sostiene la Butler in questo testo? La tesi fondamentale è che Simone de Beauvoir è davvero all’origine della teoria del gender, e che chi pensa diversamente tiene eccessivamente conto della sua relazione amorosa con il filosofo Jean-Paul Sartre e interpreta la de Beauvoir con occhiali sartriani.
Per la Butler il libro della de Beauvoir Il secondo sesso va letto come «un esorcismo», in cui la filosofa «esorcizza» il pensiero di Sartre cercando di liberarlo dal demone che lo abita, «lo spettro di Cartesio». Il lettore non specializzato in filosofia a questo punto rischia di perdersi, ma la tesi della Butler – che è davvero cruciale per la teoria del gender – può essere riassunta in termini relativamente semplici.
Che c’entra Cartesio? Il filosofo francese è preso in considerazione come teorico del dualismo fra mente e corpo. Mente e corpo sono diversi e distinti. Sarebbe possibile pensare la mente indipendentemente dal corpo. Che c’entra Sartre? Oltre ad avere una relazione con Simone de Beauvoir, questo padre della filosofia esistenzialista avrebbe proposto l’ideale di una mente ribelle alle convenzioni morali, ma non si sarebbe mai liberato delle idee di Cartesio, secondo cui mente e corpo sono distinti e concettualmente separabili.
Simone de Beauvoir, il cui pensiero è riassunto nella sua frase più famosa secondo cui «donne non si nasce, ma si diventa», ha teorizzato la distinzione fra “sesso” biologico e “genere” culturale. Una donna nasce con un corpo di donna (sesso biologico) ma acquisisce il genere donna (culturale) perché fin da bambina è vestita ed educata in un certo modo dai genitori. La de Beauvoir rivendica invece il diritto di scegliere liberamente il proprio genere, a prescindere dal sesso anatomico.
Judith Butler risponde a una critica rivolta alla de Beauvoir dalla critica femminista Michèle Le Doeuff, secondo cui parlando di “scelta” la filosofa francese rimarrebbe nell’ambito di un volontarismo e rischierebbe di promuovere la tesi, pericolosa, secondo cui l’identità di genere è una “responsabilità” – altri potrebbe dire una “colpa”– di chi l’ha scelta.
Ma la Le Doeuff, argomenta Judith Butler, legge appunto Il secondo sesso come se fosse una semplice trasposizione delle idee di Sartre. Anzitutto, replica la Butler, la scelta per Simone de Beauvoir non è mai interamente libera, quindi responsabile, perché rimane condizionata dal contesto sociale. Ma soprattutto la filosofa francese si rende conto che ogni progetto secondo cui la mente decide che cosa vuole fare del corpo rischia di fallire: «il corpo non può mai essere negato, e la sua negazione è solo la premessa perché riemerga in una forma diversa».
La de Beauvoir, conclude la Butler, ha davvero dato inizio alla teoria del gender e al superamento della distinzione (cartesiana) fra mente e corpo, anche se non ne ha tratto tutte le conseguenze, riservate a una generazione successiva. Una teoria del gender matura, argomenta la Butler, presuppone che si abbandoni definitivamente ogni residuo dello “spettro cartesiano”, cioè ogni visione della persona umana come composta di corpo e mente.
Quella che la superstizione religiosa o filosofica chiama mente è svelata dalla teoria del gender come semplice «modo di vivere il corpo». «Non più compreso nel suo senso filosofico tradizionale di “limite” o “essenza”, il corpo è un campo di possibilità interpretative».
Attenzione però: per la Butler la teoria del gender non è un pugno sul tavolo, un atto della volontà con cui si decide di cambiare la propria identità. Questo sarebbe ancora volontarismo “cartesiano” e distinguerebbe ancora la mente che decide dal corpo oggetto della decisione. In effetti «il corpo come fatto naturale non esiste davvero all’interno dell’esperienza umana, ma ha un qualche significato solo come stato che si è superato».
Qui sta propriamente il cuore della teoria del gender – versione Butler, certo, ma tutte quelle successive si costruiscono da qui –: se il corpo si “porta” come un vestito, e il “modo di portarlo” è più decisivo del vestito, allora «non solo il gender non è più dettato dall’anatomia, ma l’anatomia non sembra più porre alcun limite necessario alle possibilità del gender».
«L’anatomia presa da sola», continua la Butler, «non ha di per sé alcun significato»: «il genere è meno una funzione dell’anatomia che uno dei suoi possibili usi». E cita la teorica femminista Monique Wittig, secondo cui «i bambini quando nascono sono distinti per sesso. Questo serve allo scopo sociale della riproduzione, ma sarebbe altrettanto ragionevole distinguerli sulla base della forma del lobo delle orecchie o, meglio ancora, non distinguerli affatto sulla base dell’anatomia».
La de Beauvoir, conclude la Butler, ha fondato una prima teoria del gender distinguendo fra sesso e gender e offrendo alle donne – e anche agli uomini – la possibilità di scegliersi il gender che preferiscono liberandosi dell’anatomia. Ma la sua teoria del gender era ancora una prima versione incompiuta, per due motivi. Il primo, fondamentale, è che la stessa distinzione fra sesso e gender è «sospetta».
Presuppone che esista una natura umana e che i dati anatomici siano “naturali”. Una teoria del gender “matura” lo nega risolutamente, e sospetta che il sesso non sia una «esigenza anatomica» ma un «mito» inventato dalle religioni e assunto da tante filosofie e ideologie, psicoanalisi compresa. Secondo: chi mantiene il «mito» della differenza sessuale concepisce una natura umana come “dimorfica”, uomo e donna.
Simone de Beauvoir parlava ancora del “secondo sesso”, implicando che ci siano due sessi, gli uomini e le donne. Posizione superata e superabile, afferma la Butler, se si nega un’esistenza indipendente al sesso e lo si riassorbe interamente nel gender. A questo punto i presunti “sessi” – in realtà semplici maschere o declinazioni del gender – non sono più due, ma tre, cinque, venti, cinquanta, infiniti, includendo omosessuali, bisessuali, transgender, cross-gender e chi più ne ha più ne metta.
E il passaggio dalla prima alla seconda versione della teoria del gender è anche «politico» – lo scrive la Butler – perché tutte queste categorie hanno e rivendicano uguali diritti e riconoscimenti dallo Stato. Con l’ultima tesi si conferma come gli organizzatori della manifestazione del 20 giugno avessero ragione. È la teoria del gender che fonda la legge Cirinnà sulle unioni civili e non viceversa, e chi vuole combattere la teoria del gender deve necessariamente opporsi anche alla Cirinnà.
La teoria del gender, come tutte le ideologie, è complicata, e talora intenzionalmente complicata per alzare cortine di fumo e favorire equivoci. Se qualche lettore avesse trovato difficili alcuni passaggi, rimanga comunque certo di questa conclusione: la teoria del gender esiste, si chiama proprio così ed è la base di leggi come la Cirinnà e di programmi scolastici dove si insegna che ognuno si sceglie la propria identità – maschile, femminile e tante altre ancora – come vuole.
La tesi secondo cui «la teoria del gender non esiste», con tutto il rispetto delle persone, ha la stessa dignità culturale della nota tesi di certi avvocati difensori della mafia secondo cui «la mafia non esiste» e l’hanno inventata i giudici.