da l’Occidentale 25 Aprile 2019
di Giulio Lanza
L’età moderna è stata caratterizzata da molte rivoluzioni: religiose, politiche, sociali. Questo processo è stato ampiamente studiato e illustrato soprattutto nell’ambito del pensiero critico conservatore. Alcune, anche se si sono esaurite, restano vitali negli episodi successivi, sovrapponendosi e mescolandosi.
A lungo le rivoluzioni – o, utilizzando una terminologia delle scuole che ne sottolineano il carattere unitario, la Rivoluzione – hanno interessato nazioni e società, fino a toccare l’essenza dell’uomo stesso, con quella che per convenzione facciamo iniziare nel Sessantotto e che possiamo considerare ancora in corso (rivoluzione antropologica, detta anche quarta rivoluzione).
Su questo versante dobbiamo guardare con la massima attenzione al fatto che ci troviamo di fronte a una fase che Aldous Huxley (nella foto), autore de Il Mondo Nuovo e Le porte della percezione, chiamò la “rivoluzione ultima”, nella quale diventa centrale il ruolo delle droghe.
In questi ultimi anni, infatti, abbiamo assistito all’emergere di una propaganda pervasiva a favore della diffusione delle droghe che, anche a seconda delle sostanze in questione, si è articolata più o meno in queste fasi:
– proposte di riduzione del danno, con o senza legalizzazione di tutte le droghe;
– proposte intese come strumento per migliorare la salute di chi già ne fa uso e per combattere il crimine organizzato che produce e spaccia;
– re-branding delle droghe come farmaci, con corredo di marketing semplicistico secondo cui se una sostanza può in alcune condizioni cliniche essere usata come farmaco sarebbe buona per definizione, qualsiasi uso se ne faccia (in base all’assunto farmaco = buono);
– promozione attiva delle droghe, soprattutto allucinogene, quali LSD o psilocibina, un vero e proprio marketing sui mezzi di comunicazione di massa, per adesso soprattutto digitali/in rete: questa è la fase più recente e include la promozione di sostanze che ancora non hanno un mercato, presentate, tramite articoli di divulgazione di natura eterogenea – ad esempio sullo sciamanesimo e altre tecniche estatiche “primitive” – come “micro-dosi” (più o meno micro) per i sani, finalizzate al presunto miglioramento del funzionamento dell’organismo, o all’aumento della creatività e persino alla prevenzione dei mali di stagione come il raffreddore: quindi davvero come panacee per tutti, grandi e piccini, malati o sani che siano.
Vere e proprie forme di fanatismo si manifestano -soprattutto ma non solo sul web- nei riguardi di sostanze allucinogene presentate come fonte di benessere e addirittura di “illuminazione”. In realtà il marketing sull’uso delle sostanze allucinogene è un fenomeno iper-moderno, mistificato talora come un ritorno a situazioni antichissime e a saperi primordiali.
Un esempio è l’LSD, presentato come equivalente all’Ergot, dal quale è stato sintetizzato nel 1938. Questo tipo di affermazioni deve essere sottoposto a valutazione e a falsificazione considerando: qualità (es. LSD), quantità (es. proposto uso di massa), contesto di uso (società post industriale), modalità di assunzione (es. ago ipodermico per eroina, sostanza semi-sintetica; base libera per la cocaina fumata, ecc.).
Tra uso “antico” e uso “moderno” in molti casi la differenza è evidente: ad esempio, tra masticare foglie di coca (contenenti basse dosi di cocaina assorbita per via orale) in una cultura che ha integrato questo uso per secoli, da una parte, e fumare la base libera, il crack, dall’altra; oppure tra uso di oppio fumato (contenente morfina) da una parte e iniezione endovena dell’eroina, sintetizzata dalla morfina, dall’altra.
O ancora, per capire l’importanza dei contesti, si pensi all’introduzione devastante dell’alcool nella cultura dei nativi americani della cui tradizione non faceva parte. LSD – insieme ad altre sostanze allucinogene- è persino parte di una cultura cosiddetta cyberdelic (cyber + psychedelic) che unisce l’uso degli allucinogeni con i personal computer, gli smartphone, i videogiochi, internet e la realtà virtuale.
In sostanza dalla proposta di una politica delle droghe che presentava se stessa come realistica, ovvero il contenimento di un male non estirpabile, si va sempre di più verso la promozione di una società distopica, verso il marketing di chi produce corsi di sciamanesimo on-line per imparare a usare le droghe allucinogene, una volta che queste diventeranno disponibili, vuoi per uso terapeutico (anche per disturbi dai connotati poco distinti e interamente soggettivi) vuoi come passatempo.
In definitiva la mutazione antropologica dell’individuo non può prescindere da una mutazione della percezione della realtà. La realtà? Solo un’allucinazione, una delle tante infinitamente possibili, che sempre più spesso viene presentata come una costruzione -si presume arbitraria- della mente, persino letteralmente come una allucinazione.
Dal momento che una allucinazione per definizione è una percezione soggettiva senza oggetto esterno, ovvero una falsa percezione, di per sé presuppone una normalità, una percezione vera, con oggetto esterno corrispondente. La presentazione della coscienza come allucinazione presuppone invece due cose allo stesso tempo: che la realtà non esista se non come falso stato di coscienza soggettiva e che la coscienza in quanto tale sia falsa, o relativa, o infinitamente mutevole: non esisterebbe quindi uno stato di coscienza che si possa considerare normale; ovvero la “normalità” non potrebbe essere altro che uno stato non cosciente, quale quello della semplice materia, inclusa la materia biologica, cellule, recettori ecc., alla stregua, per intenderci, di materia inanimata o di organismi semplici.
Se la realtà non è che una finzione della mente, le sostanze allucinogene che alterano profondamente la coscienza, il pensiero, le emozioni, le percezioni che ci informano sulla realtà sia interna che circostante, sarebbero in questo senso una via verso l’illuminazione sulla realtà più profonda e bassa della materia. Ci renderebbero coscienti della realtà più animale, istintiva, individuale, non filtrata da tutte le funzioni mentali in continua interazione con l’ambiente esterno naturale, sociale, familiare, storico e culturale di cui ciascuno è frutto.
È così che la mutazione antropologica della “rivoluzione ultima” prende forma. Aldous Huxley non ci ha solo descritto un “Mondo nuovo”, ma anche un “uomo nuovo”.