di mons.Luigi Negri
II grande filosofo Augusto Del Noce affermava che l’aggettivo cattolico unito a una qualsiasi espressione ideologica (liberalismo, nazionalismo, comunismo, modernismo…) dava un risultato devastante. Il cattolicesimo infatti tendeva, da un lato, a sacralizzare la visione ideologica cui si univa e, dall’altro, ad accrescere il rigore dell’ideologia con il rigore morale proprio di un certo cattolicesimo.
Ora, se pensavamo che la fine delle ideologie avrebbe fermato questo incrocio «devastante» dobbiamo ricrederci. Da qualche anno, infatti, il panorama sociale assiste a un fenomeno nuovo o, meglio, alla riproposizione di un antico errore: la comparsa dei catto-laicisti, dove il prefisso contribuisce soltanto a rendere granitica la fiducia nella realtà sociale e nelle istituzioni, come la magistratura, e a incaricarle di fissare i valori sociali e quelli non negoziabili della persona.
Tanto che tali valori, richiamati anche dal Papa, invece di dipendere dalla presenza del mistero di Dio e di avere come ambito di riconoscimento e di attuazione la coscienza e la responsabilità personali, vengono fatti derivare dal consenso sociale e dalle istituzioni.
Una conferma di tutto questo mi è parso di vederla nel modo acritico e un po’ sbracato con cui parte del mondo cattolico italiano ha partecipato alle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia che, ignorando di fatto l’evoluzione della più sana storiografia (sia essa di ispirazione laica, cattolica o marxista, di quest’ultima ne è un esempio il giovane e valente professor Roberto Balzani, sindaco di Forlì), ha voluto affermare il Risorgimento come l’inizio positivo di quel processo complesso che va sotto il nome di «unità d’Italia», unità del Paese e, di conseguenza, delle istituzioni.
Anzitutto trovo scorretto non riconoscere che il Risorgimento ha sostituito la base cattolica della cultura italiana con l’ideologia laicista in cui sono confluite tradizione massonica, razionalismo illuministico (attuato poi nelle grandi ideologie totalitarie) e una sorta di complesso di inferiorità nei confronti del protestantesimo. In secondo luogo è profondamente antistorico negare la violenza e la sopraffazione con cui ciò è avvenuto, soprattutto nel meridione.
Per introdurci ancor meglio nel clima del periodo mi sia consentito di citare alcune frasi di Silvio Spaventa, intellettuale di chiara professione hegeliana, sottosegretario all’Interno e quindi ministro di Polizia del nuovo Stato, autore di una politica ferocemente repressiva nei confronti del brigantaggio meridionale.
Ecco che cosa scriveva Spaventa, che ai catto-laicisti non farebbe male andarsi a rivedere per avere una lettura più documentata del Risorgimento: «L’abolizione del potere temporale del papato che noi siamo stati in grado di compiere è il segno incancellabile e il suggello della modernità del nostro pensiero e dell’attitudine degli italiani a partecipare dello sviluppo della vita europea in ciò che questa ha di più fecondo per l’avvenire (…). È principalmente la scuola popolare l’officina in cui devono farsi i nuovi italiani; una scuola popolare nella quale il sapere diventi carattere e le cognizioni opere. All’influenza morale della Chiesa, che ci è avversa, sulle moltitudini noi non abbiamo altra azione da contrapporre che la scuola (…). Il papato è più che mai irreconciliabile con la libertà e con la indipendenza della patria, una tirannide più o meno dura, superstiziosa e incivile, complice e pupilla delle armi forestiere».
Questa breve rassegna basterebbe a disincantare chiunque. Talvolta, però, c’è come la vaga impressione che i catto-laicisti vogliano insegnare il laicismo ai laicisti più puri.
Detto questo, non c’è dubbio che anche i cattolici abbiano collaborato con generosità alla creazione dell’unità d’Italia. E il motivo, benché spesso sia sfuggito agli intellettuali catto-laicisti, è molto semplice: la Chiesa partecipa alla vita della società e affronta le circostanze immettendovi un’originale visione culturale e una straordinaria capacità di solidarietà e sussidiarietà perché è presente come popolo missionario.
Oltretutto il papato, anche dopo il 1870, ha fatto sì che questo contributo fosse condotto in maniera intelligente, critica e costruttiva. Si è trattato in ogni caso di una presenza esercitata nella libertà: libertà vissuta e professata, libertà di difendersi dalle tentazioni totalitarie dello Stato, non soltanto per sé stessi, ma per tutti. «La libertà del singolo», affermava Giovanni Paolo II, «non va separata dalla libertà degli altri, di tutti gli altri uomini».