di Tommaso Scandroglio
Gli omosessuali sono realmente discriminati nel nostro Paese? E’ davvero così urgente varare la legge sull’omofobia? Un paio di giorni fa proprio su queste pagine l’on. Mantovano si domandava: “Sono forse disponibili dati oggettivi relativi al numero delle violenze o degli atti di discriminazione realizzati col fine di danneggiare persone omosessuali?” E poco più avanti si dava la risposta: “Il dato certo è che non esistono dati certi”.
Nel recente report del Dipartimento delle Pari Opportunità dal titolo “Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” – report qui più volte messo sotto la lente di ingrandimento – si può leggere che nel 2012 il Contact Center dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) ha scovato solo 135 casi di discriminazione attinenti all’ “orientamento sessuale” (p. 5). E nella “maggior parte dei casi le istruttorie [sic] vengono aperte direttamente dall’Ufficio” (p. 6). Insomma il fenomeno è così allarmante che nessuno denuncia e se i discriminati non vengono alla scoperto li andiamo a scovare noi dell’UNAR.
Più avanti inoltre si legge a riprova che gli omosessuali non sono discriminati: “Non risultano, al momento, casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio, e nel lavoro pubblico o privato” e anche in ambito sanitario. Il dato deve aver creato un certo imbarazzo e allora come spiegarlo? Semplice: gli omosessuali hanno paura a denunciare. Quali prove a sostegno di questa tesi? Nessuna.
Poi si cita un’indagine ISTAT che riporta le percentuali di omosessuali i quali si sono sentiti discriminati nel trovare un alloggio, sul luogo di lavoro o nella ricerca di un’occupazione. Le percentuali variano dal 10 a quasi il 30%. Il dato è interessante – perché pare contraddittorio – se paragonato al fatto che ammontano a zero i “casi accertati di discriminazione”.
Infatti per “accertati” dobbiamo intendere “qualificati come tali da un pubblico ufficiale o un giudice”. Il report quindi ci dice che esiste una bella differenza tra il giudizio soggettivo del presunto discriminato e il giudizio oggettivo – perché terzo – di un arbitro super partes. Essere discriminati è cosa diversa dal sentirsi discriminati. I due aspetti non per forza sempre coincidono.
Passiamo ora ad un secondo documento: “Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e al trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (2007-2013)” a firma dell’Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford con il patrocinio del Fondo sociale europeo dell’Unione Europea, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del Dipartimento delle Pari Opportunità.
Il documento parte da un’analisi dei giudizi degli italiani sull’omosessualità: emerge un giudizio sostanzialmente negativo sugli atti omosessuali, sul “matrimonio” gay e sull’adozione da parte di coppie omosessuali. Da qui la conclusione secondo gli estensori dello studio che in Italia sono molto diffusi intolleranza, omofobia e pregiudizi (p. 58). In buona sostanza è sufficiente non approvare l’omosessualità – ma non per questo discriminare gli omosessuali, si badi bene – che si è omofobi.
Un secondo aspetto: in 352 pagine di report – corredate da moltissimi rimandi bibliografici e studi sociologici, di costume, storici, etc. – nessun accenno statistico su violenza, minacce, insulti, calunnie a danno degli omosessuali. Nulla di nulla. Nemmeno le battutacce da caserma vengono prese in considerazione.
L’unico strumento che viene utilizzato è quello dell’intervista. Ecco qualche dato di rilievo. “Persone che si dichiarano vittima di discriminazione per via del proprio orientamento sessuale”: tra il 2 e il 6% a seconda delle regioni italiane (p. 63). Quindi pochissime. Eppure circa il 50% degli intervistati dice che non si fa abbastanza contro l’omofobia (p. 66).
Poi però il focus si sposta sui transessuali e la musica cambia. Solo il 14% di costoro dichiara di non aver mai subito discriminazioni negli ultimi due anni. “Gli episodi più frequenti di discriminazione – si legge nel documento – sembrano riguardare insulti, derisione e violazione della privacy. Ad ogni modo, appaiono gravemente frequenti anche episodi di violenza fisica (24%), molestie sessuali (18%) e violenze di tipo sessuale (8%)” (p. 85).
Ci sono però due particolari da tenere in considerazione per leggere con fedeltà al reale questi dati. Il primo: il 62% del campione si prostituisce. Nulla giustifica percosse ed insulti – nemmeno il lavoro più vecchio del mondo – però è certo che una tale attività espone inevitabilmente ad alcuni rischi. L’obiezione è dietro l’angolo: queste persone finiscono sulla strada perché costrette.
Falso. Infatti lo stesso rapporto chiarisce che “la maggioranza […] esercita la prostituzione solo come mezzo necessario per procurarsi reddito e seguire le cure. Va però notato che una significativa minoranza (20 persone, il 40% di chi si prostituisce) dichiara di farlo come scelta libera e soddisfacente”.
Secondo elemento da tenere in considerazione: chi è che maltratta i trans? “Parenti (34%), dipendenti pubblici (31%), forze dell’ordine (23%)”. Possiamo immaginare che tutte queste persone vengano bollate dal transessuale come vessatrici perché, nel caso dei parenti, questi non di rado non sono d’accordo con la sua scelta; nel caso dei dipendenti pubblici il cambiamento di sesso, già avvenuto o in fieri, crei oggettivi problemi anagrafici per ogni atto burocratico; nel caso delle forze dell’ordine, queste non vengano viste da buon occhio, per evidenti ragioni, da chi pratica la prostituzione.
In buona sostanza ciò che difetta in questa ricerca è il fatto che vengono registrate le percezioni soggettive degli atti discriminatori da parte dei trans e non vengono registrati oggettivamente quali atti discriminatori sono stati realmente compiuti. Una cosa è credere di essere stati oggetto di maltrattamenti, un’altra è esserlo stati veramente. La ricerca esamina solo il primo punto. Stesso limite si riscontra anche in altri passaggi del report.
Ed infatti la stessa ricerca è costretta ad ammettere: “Al di là del dato sulla percezione della discriminazione, che per quanto sostanzialmente coerente è comunque basato su opinioni e punti di vista soggettivi, esistono pochissimi dati quantitativi sulla diffusione e il radicamento della discriminazione ai danni delle persone LGBT […. ] Ad oggi sono state condotte pochissime ricerche scientifiche, specificamente mirate a valutare e misurare questo fenomeno” (p. 79). E dunque la legge sull’omofobia su quali riscontri concreti e oggettivi si fonda?