Dal blog Il Sestante 10 novembre 2014
di Oscar Sanguinetti
Novembre 2014: si commemora il quarto di secolo dalla “caduta”, dal “crollo”, dall’“abbattimento” del Muro di Berlino. Ma si è trattato davvero di una caduta, di un crollo, di un abbattimento? A mio modesto avviso, no.
Il Muro non è caduto – chi lo avrebbe fatto cadere? –, non è crollato – quale sisma ne avrebbe minato le fondamenta? – e nemmeno è stato abbattuto – dov’è stato il vento inarrestabile che lo avrebbe travolto? –: il Muro è semplicemente stato rimosso, tolto di mezzo, smantellato da chi lo aveva eretto.
Già lo segnalava con fine acume, a poco più di un mese dai fatti, il giornalista ed ex iscritto al Partito Comunista Saverio Vertone (1927-2011), che scriveva su il Corriere della Sera: «[…] considerata nei suoi effetti visibili, la spallata che sta cancellando regimi, partiti, costituzioni, sistemi economici e persino interi Stati nell’Europa centro-orientale, sembra un miracolo della volontà popolare. E il Muro di Berlino che cade scoperchiando prigioni e latrine di Stato può ricordare a qualcuno le Mura di Gerico che si afflosciano come cartapesta sotto l’urto sonoro delle trombe di Giosuè. Non è così. La spallata dei popoli è stata data quando i guardiani avevano aperto le gabbie. Lo schianto improvviso dell’impero comunista finisce nella consapevolezza e nello spirito, ma è cominciato nella materia e nell’economia, ed è passato al vaglio razionale della Realpolitik. […] L’erede di Lenin [Gorbaciov] non ha scelto la libertà, ma la sopravvivenza […] [e] cerca adesso di convincere il mondo capitalista a partecipare in extremis al salvataggio di un sistema che per settant’anni si è presentato come un’antitesi mortale al capitalismo».
Perché il Muro fu rimosso? Perché la frontiera fra impero comunista e mondo libero era stata semplicemente spostata e la Germania Democratica non aveva più senso. Gli Stati europei comunistizzati nel secondo dopoguerra, nel disegno sovietico – così come lo leggeva Giovanni Cantoni nel gennaio del 1990 –, dovevano essere affrancati dal controllo diretto di Mosca per andare a formare una cintura di Stati semi-socialisti, ma ad auspicata alta prosperità economica, che sorreggesse l’agonizzante socialismo reale della casa-madre, l’URSS.
Non solo: ma l’intero movimento comunista di casa-madre moscovita, già dagli anni della breve segreteria di Jurij Vladimirovič Andropov (1914-1984), capo del KGB, aveva iniziato una profonda ristrutturazione, ovvero attuato una radicale metamorfosi, pienamente coerente con la sua dottrina relativistica e dialettica, e in perfetta armonia con la “natura” – le virgolette sono di obbligo, perché la modernità rivoluzionaria nega la nozione di “natura”, la quale rimanda a quella di creazione e a quella di ordine – proteiforme del processo rivoluzionario, dismettendo il colbacco rosso-stellato dell’epoca della modernità “dura”, simboleggiata dalla CEKA e dall’industria pesante, a una versione post-moderna, duttile e iperrelativistica.
Certo, non si trattava solo di riacclimatare il vecchio progetto di lotta per la società senza classi in un mondo cambiato. Spinte oggettive a mutare lo status quo e ad accelerare il piano di dismissione della forma statuale della Rivoluzione comunista vi erano, e come! In genere a riguardo si cita il magistero e il carisma dell’ex suddito della repubblica socialista di Polonia papa Giovanni Paolo II (1978-2005), così come si sottolinea la sfida all’impero “del male” lanciata dall’indimenticabile 40° presidente degli Stati Uniti Ronald Wilson Reagan (1911-2004): tutto vero.
E, ancora, come causa delle cause s’invoca il fallimento economico del socialismo sovietico e le spese insostenibili per mantenere in sella regimi del tutto artificiali, come la RDT – ma anche come Cuba, come il Nicaragua, come i regimi socialisti insediatisi nei Paesi ex coloniali –, mantenendo efficiente l’odioso Muro, che circondava l’ex capitale germanica – anche i sassi avevano capito che nessuno dall’Ovest era mai fuggito all’Est… – e che costituiva il classico pugno in un occhio per la politica di glasnost e di perestrojka intrapresa dall’ottavo segretario del PCUS, Michail Sergeevič Gorbaciov. Anche questo, verissimo…
Ma, a mio avviso, tutte queste spinte – tranne forse l’ultima, la più tangibile e potente – non bastano a spiegare la decisione unilaterale di demolire la barriera di cemento e di filo spinato che divideva Berlino e di non reagire quando un anno più tardi la Germania tornava una. La dissidenza, anche se sempre più forte e alimentata dal Papa polacco, non aveva chance di fronte ad apparati repressivi capillari, che contavano un numero sterminato di membri – il massimo era proprio la Repubblica Democratica Tedesca, dove la STASI, il servizio di sicurezza, reclutava, come funzionari o come spie più o meno occasionali, milioni di tedeschi –: lo si era visto nella repressione in Polonia attuata dal generale Wojciech Jaruzelski (1923-2014) pochi anni prima.
Reagan stesso era un nemico di certo ben più pericoloso di un Jimmy Carter, ma era chiaro che gli USA non avrebbero mai, né con il presidente “cow boy”, né prima di lui, rimesso in discussione i patti di Jalta e di Potsdam e la suddivisione del mondo in aree di influenza. E anche gli altri leader occidentali non credevano granché nella possibilità di una rimozione del Muro e di una riunificazione tedesca, né, soprattutto, potevano sospettare che esse sarebbero state così rapide e indolori.
Il Muro fu rimosso perché il comunismo aveva cambiato tattica: non reggendo più la contrapposizione “muro a muro” con l’Occidente, doveva rifluire, uscire dalla politica, abbandonare la gestione dello Stato totalitario, se voleva salvaguardare le enormi risorse accumulate dal Partito nei settant’anni di potere assoluto su una delle nazioni in tesi più ricche del mondo.
Il compianto politologo Pierre Faillant de Villemarest (1922-2008), ex combattente del Maquis e nel secondo dopoguerra membro dei servizi segreti francesi, appoggiandosi a fonti dell’intelligence, ha descritto – credo unico al mondo – la smobilitazione dell’apparato “discreto”, se non clandestino, del comunismo sovietico – a partire dalla esportazione dei fondi dello Stato e del PCUS nelle banche occidentali – e la riconversione dei suoi alti dirigenti in “nuovi oligarchi”, nuovi “magnati” e talora “nuovi mafiosi” russi, in un processo durato fino all’ammainamento della bandiera rossa dalla guglia più alta del Cremlino, alla rinascita dell’aquila bicipite russa, al riassorbimento dell’effimero regime “liberale” di Boris Nikolaevič Eltsin (1931-2007) e alla ricomparsa di un potere politico “forte”, non più “nazionalbolscevico”, ma ora solo “nazionale” e semi-democratico, di cui è, ormai da quindici anni, incarnazione l’ex colonnello del KGB – fra l’altro di stanza proprio a Dresda, nella Germania di Pankow – Vladimir Putin.
Quindi, suonano male le affermazioni, riecheggiate in questi giorni, secondo cui l’Occidente ha abbattuto il Muro o la “democrazia” ha sconfitto la “dittatura”: il Muro è stato smantellato e la DDR cancellata dai comunisti perché costretti e decisi a rinunciare a gestire un sistema ideologico-politico non più “appetibile” per le masse – interne ed esterne – e compromesso dall’implosione dell’economia socialista “reale”. E, nel contempo, per la necessità di salvare l’investimento, il “capitale”, che, al di là del potere politico, costituiva il “corpo”, il nocciolo duro del potere reale, del Partito – ma anche ai suoi dessous elitari e “iniziatici”, così bene descritti da Vladimir Volkoff (1932-2005) nel suo eccellente romanzo storico Il montaggio –, in vista di una rinascita in altre forme.
Così pure pare fuori luogo attribuire a genuini sentimenti “democratici” la presunta adesione – se non promozione – alla dottrina della cancellazione del Muro da parte di Gorbaciov, che se ne fece eventualmente sostenitore solo nella prospettiva sopra enunciata o, forse, nel tentativo disperato di “salvare il salvabile” nei rapporti con l’Occidente. Per questo mi è parsa una nota del tutto stonata la sua partecipazione alle celebrazioni dell’anniversario, dove per di più si è dato a convincere gli occidentali a “tifare” per Putin…
Detto quello che ho detto, se ne può dedurre che si possa escludere il carattere eccezionale, se non miracoloso, della fine del Muro?
No, anzi, il contrario: la rapidità e l’imprevedibilità del collasso dell’URSS e dei suoi satelliti europei – non dimentichiamo che in Asia il comunismo, anche se apparentemente meno visibile, è tuttora florido e diffuso e che il massacro di Piazza Tienanmen a Pechino cade proprio del 1989 – non si spiega solo con cause umane. Quanti fra gli intellettuali, i servizi segreti, gli analisti di politica estera, nel 1988 avrebbero pronosticato quanto sarebbe avvenuto nel novembre dell’anno dopo?
Se si fa il bilancio delle forze materiali in campo nei due blocchi e, come accennato, alla ridotta capacità eversiva dei movimenti anticomunisti – dati che gli analisti in genere considerano accuratamente –, probabilmente il tramonto dell’impero “rosso”, certamente di un impero sempre più indebolito, iniziato con la riunificazione delle due Germanie, sarebbe durato ancora a lungo.
Se il comunismo sovietico è scomparso così repentinamente a partire dalla caduta del Muro alla fine degli anni 1980, non vi è dubbio che qualche fattore invisibile e misterioso ha giocato un ruolo. E, se è vero che qui però lo storico si deve fermare, per il credente – e per lo storico credente – è fuori di dubbio che questo fattore imponderabile, questo quid discreto, questo agente potente che ha permesso si producesse la somma di circostanze “fortuite”, da molti evocata, che ha causato la fine del Muro, si chiami Provvidenza.
Essa così ha voluto, forse in virtù del fatto che da parte della Chiesa cattolica a molto di quello che la Vergine aveva richiesto a Fatima nel 1917 per decretare la fine del comunismo russo – il cui avvento nel mondo aveva nel contempo, ancor prima dell’Ottobre 1917, pronosticato – era stato ottemperato grazie ai pontefici, al sangue delle migliaia di martiri, alle sofferenze materiali e morali di milioni di uomini e donne, nonché alle preghiere di tanti fedeli.
Solo chi ha potere sull’inferno, e il comunismo è stato davvero – come detto a Fatima – un inferno in temporalibus per tanti popoli e per la stessa Chiesa, può abbreviarne a sua discrezione la durata. Senza dimenticare che il castigo, per l’intercessione di qualche buono, è cessato, ma non è finito: è solo stato ridotto di peso. E senza dimenticare, che per molti aspetti e in certi frangenti, lo stesso mondo post-moderno, con la sua confusione e la sua dilagante corruzione morale, anche se i regimi comunisti non vi sono più numerosi come una volta, rappresenta di per sé quanto meno una sorta di purgatorio.