di Marco Respinti
Papa Francesco ha pubblicato l’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii gaudium: la bellezza di 220 pagine, il documento più lungo – pare – nell’intera storia delle encicliche e delle esortazioni apostoliche pontificie. È già stata definita un’«enciclopedia sull’evangelizzazione», ma le agenzie stampa e i quotidiani ne hanno subito sfornato un proprio bigino preinterpretato.
Tanto l’Evangelii gaudium la leggeranno in quattro gatti.Fortunatamente tra quei quattro gatti c’è però don Robert A. Sirico, cofondatore e presidente dell’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty, di Gran Rapids, nel Michigan, che legge il documento anche per noi e lo legge bene. Ossia lo legge in maniera semplice e comprensibile, ponendosi alcune domande importanti onde porle anzitutto al pontefice. Ma a sé e al pontefice don Sirico pone le domande in modo retorico, conoscendo cioè già la risposta che Papa Francesco offre da – dice espressamente – devoto figlio della Chiesa Cattolica qual è, e profondo conoscitore del suo Magistero e del suo Catechismo.
Si sofferma, don Sirico, sull’economia; anzi, sul rapporto fra economia e cattolicesimo, perché questo è il pane quotidiano suo e del suo Acton Institute. Infatti, ripete da sempre, per sovvenire ai bisogni dell’uomo il mercato è necessario, ma non sufficiente. Servono, assieme al mercato e nel mercato, la libertà personale e la responsabilità morale. Perfetto. Lo dice anche il Pontefice, e lo dice bene, oltre che autorevolmente. Il mercato privo di regole – sostiene il Papa, sempre bene e sempre autorevolmente – produce infatti solo danni. Perfetto.
Ma chi, nel mondo, oggi, domanda don Sirico, difende un mercato in cui non sia sovrana la legge, in cui non ci sia, a monte, certezza del diritto? Fare affari, dice ancora espressamente il Papa nella Evangelii gaudium, è una vocazione, una vocazione nobile. Il business, afferma il pontefice, serve per soddisfare le esigenze del bene comune cercando di aumentare la disponibilità e il numero di beni di questo mondo, rendendoli sempre più accessibili a tutti.
Ma chi, nel mondo, oggi, domanda don Sirico, difende l’autonomia assoluta del mercato, la sua indipendenza totale da legge, norme, morale e cultura? A me, umilmente, viene in mente la Cina, il più grande equivoco economico del tempo in cui viviamo, un vero e proprio colpo da maestro di Satana. La Cina non è un mercato libero e infatti non rispetta leggi, norme, morale e cultura. Perseguita disinvoltamente, consente graziosamente quel che le torna comodo, conculca sistematicamente. Finge solo di essere capitalista, e siccome troppi sono disposti a crederle, prospera nonostante il fallimento storico dell’ideologia che ancora la regge.
Quanti la osservano da fuori si dividono in detrattori e in entusiasti. I primi la denunciano pubblicamente come l’esempio massimo di perversione del laissez-faire e come prova provata del “complotto demo-giudo-pluto-Pippo-Paperino” in cui i comunisti vanno a braccetto coi capitalisti. I secondi si spellano le mani in suo plauso perché non hanno la più pallida idea di cosa significhi sul serio l’economia libera di mercato e di cosa essa comporti, anzi postuli alla base, sul piano antropologico, giuridico ed etico.
A me, umilmente, viene in mente questo enorme scandalo cinese. A don Sirico viene in mente l’Argentina, dove Papa Francesco è nato, ha abitato e ha operato, e analoghe situazioni dell’America Meridionale. A don Sirico viene in mente, cioè, quello che gli americani chiamano “crony capitalism”. Ma quello non è il mercato libero: è il suo tradimento intrinseco.
Noi tradurremmo bene quell’espressione con “inciucio consociativo”, quello dove apparati statali e pirati senza scrupoli si sostengono l’un l’altro per vivere alle spalle della gente, forti di favori reciproci, di corruzioni e di concussioni accettate di buon grado, di eliminazione della concorrenza, di tassazioni e di speculazioni.
Tutta roba che di mira ha l’esatto contrario di ciò che invece ha a cuore il capitalismo. Vale a dire la diffusione massima e capillare di quella proprietà privata che sviluppa la produzione, diffondendola per combattere al meglio quella cosa di cui Gesù, nel Vangelo, ha predetto l’impossibile estinzione totale: la povertà.
È questa perversa amalgama di statalismo iperburocratico e di economicismo deresponsabilizzato e materialista che vuole fare a meno di regole e norme, di morale e cultura. È questa perversione ciò contro cui coraggiosamente si scaglia, come tutto il Magistero che lo precede, Papa Francesco. Fa benone. E il miglior alleato che egli ha non sono le agenzie stampa e i quotidiani dei riassuntini ad usum delphini, ma i veri capitalisti.