Alfredo Mantovano
Il dibattito scaturito dal via libera della Commissione edilizia comunale al progetto di costruzione di una moschea a Genova Cornigliano non può, a mio avviso, prescindere dalla risposta (tutt’altro che scontata) a un primo quesito: che cos’è una moschea?
E col discorso del venerdì si superano i confini dell’omelia, perché si comunicano, fra l’altro, proprio quelle decisioni politiche. Ma i quesiti sono altri, e ulteriori rispetto al caso specifico oggetto di discussione; provo a elencarli. Sono proprio gli imâm delle moschee i soggetti più adatti ad aiutare la comunità musulmana a vivere nel tessuto concreto della realtà italiana?
I finanziamenti necessari per la costruzione delle moschee sono sempre reperiti e corrisposti secondo criteri di trasparenza? Si è consapevoli fino in fondo che il luogo fisico ove sorge una moschea è considerato dai musulmani spazio sacro, sì che un terreno destinato a questo fine non può più essere né restituito né riconvertito ad altro scopo?
Solo dopo essersi posti questi interrogativi, ci si può finalmente domandare se è giusto e/o opportuno costruire una moschea. Va detto subito che, per le caratteristiche – appena ricordate – di questo edificio, è fuori luogo invocare, per giustificare una risposta affermativa, il legittimo diritto alla libertà religiosa; la sua realtà è infatti multivalente: religiosa, culturale, sociale e politica.
Al tempo stesso, a nessuno va impedita la pratica della propria fede e, entro debiti limiti, l’azione in conformità alla propria coscienza, in forma individuale o associata, fondandosi tale diritto sulla natura stessa della persona umana. Come sciogliere il rebus? Non esistono ricette preconfezionate, ma qualche spunto può giungere – inaspettatamente – dai Paesi musulmani.
Nelle città islamiche esistono infatti musallâ, ossia luoghi di preghiera simili alle cappelle cattoliche. La costruzione di un centro di preghiera di questo tipo, in luogo di una moschea, ovviamente non risolve i problemi in radice, ma riduce il tasso di politicità che invece caratterizza la moschea, introducendo la distinzione (fondamentale in Occidente) fra il centro politico-culturale e il luogo di preghiera, e abbattendo in modo significativo i costi di costruzione: il che rende questa soluzione opportuna sia per il paese ospitante sia per le minoranze islamiche ospitate.
E ciò, se vale per le città in cui non esistano luoghi di preghiera, vale pure nell’ipotesi (come a Genova) in cui siano già presenti centri di culto: in quest’ultimo caso si può costruire un centro migliore sotto ogni punto di vista, al fine di renderne più confortevole l’utilizzo (ricordo un interessante riflessione sul punto di P. Samir Khalil Samir S.J., islamologo arabo nato in Egitto, sul quaderno n. 3618 de La Civiltà Cattolica, pubblicato nel 2001).
Qualcuno nei giorni scorsi, da parte musulmana, ha auspicato che la decisione della Commissione edilizia genovese costituisca un precedente per quelle comunità islamiche presenti in altre zone d’Italia nelle quali si incontrano grossi problemi per la realizzazione di moschee. (Per inciso – tutti lo sanno ma nessuno ne parla -, in diversi paesi islamici è quasi impossibile praticare liberamente il cristianesimo; non esistono luoghi di culto e non sono consentite manifestazioni religiose oltre quelle islamiche; sarebbe bello se i leader musulmani – veri o sedicenti tali -, sempre prodighi di interviste e dichiarazioni, dedicassero altrettanta attenzione alla effettiva reciprocità e al concreto rispetto della libertà religiosa nei Paesi a maggioranza islamica…)
L’ipotesi che mi permetto di avanzare va proprio nell’ottica del “precedente utile”, anche al fine di una eventuale modifica del provvedimento della Commissione comunale: non si tratta di alimentare pericolose contrapposizioni confessionali, ma di sollecitare sinceramente la comprensione reciproca e di difendere e promuovere insieme la giustizia sociale e i valori morali universali.
Una comunità musulmana pacificamente inserita nel tessuto economico e sociale italiano, libera e rispettosa dei nostri ordinamenti, come più volte auspicato dal ministro Pisanu, sarà l’esito felice dello sforzo comune di chi persegue tale obiettivo ed è invece poco affezionato a rivendicazioni ideologiche.