di Massimo Introvigne
È ora che qualcuno a Gaza, divisa in due fra un nucleo urbano ancora martoriato dagli scontri tra Hamas e Fatah e il resto della striscia dove Hamas ha vinto ed è passata ai rastrellamenti e alle esecuzioni degli oppositori, gridi forte che il re è nudo.
Ma bisogna gridarlo lo stesso: il progetto di Stato nazionale palestinese è morto ora, nel giugno 2007. Ha ragione – sul punto – Bat Ye’or, la studiosa inglese autrice di Eurabia, da poco tradotto in italiano: i palestinesi a rigore non esistono, e l’uso del termine – certo, ispirato agli antichi Filistei della Bibbia – è diventato corrente solo nel XX secolo.
Prima esistevano arabi che vivevano nell’area che comprende gli attuali Israele, Giordania ed Egitto a Est del Canale di Suez, così come esistevano nella stessa regione ebrei e cristiani. La sistemazione del 1948 – allora accettata da Onu, Stati Uniti, Unione Sovietica ed Europa – lasciava agli ebrei lo Stato d’Israele e ripartiva gli arabi fra Egitto e Giordania.
Sono state le aggressioni arabe a Israele a far nascere «i Territori»: porzioni di Egitto (Gaza) e Giordania (la Cisgiordania) che Israele ha occupato nel corso delle varie guerre, e che sarebbe ben lieta di restituire agli egiziani e ai giordani, che però non le vogliono.
Infatti, con una politica miope, per decenni i governi arabi hanno giocato con il fuoco, inventando i palestinesi come eterni profughi, apolidi dovunque. Il loro destino non detto è impadronirsi di Israele buttando a mare gli ebrei, ma per ora si comincia a chiedere uno Stato nazionale che peraltro nascerebbe come composto da due regioni non comunicanti, la Cisgiordania e Gaza.
Dal momento che i «palestinesi» – il cui nazionalismo inventato ma furibondo è stato alimentato dall’Unione Sovietica in funzione anti-americana e dal mondo arabo in funzione anti-israeliana – hanno ripetutamente morso la mano che li nutriva in Giordania e altrove, giordani ed egiziani hanno solennemente dichiarato di rinunciare alla sovranità rispettivamente sulla Cisgiordania e su Gaza.
Anche le nazionalità inventate, dopo qualche anno, esistono. E ai «palestinesi» è stata ripetutamente data l’occasione di esistere: l’Occidente gli ha offerto il loro Stato, purché accettassero le risoluzioni Onu e l’esistenza di Israele. Arafat ha perso ripetutamente l’occasione, temendo che il riconoscimento di Israele ne mettesse in pericolo il potere e le enormi ricchezze che aveva accumulato.
Morto Arafat, l’occasione è stata offerta ad Hamas, con cui Sharon era perfino disposto a trattare. Ma anche Hamas ha fallito, preferendo la tutela dell’Iran al dialogo con l’Occidente. Non rimane nessuno, e l’idea dello Stato palestinese è morta perché forse né Fatah né Hamas ci hanno mai creduto. A parole chiedevano uno Stato nei Territori, ma in realtà volevano la distruzione di Israele, un sogno maligno per cui non ci sono né ci saranno mai le condizioni morali, politiche e militari.
Non è bello, non è gentile, non è politicamente corretto dirlo. Ma il dramma di questi giorni prova che i «palestinesi» – laici o religiosi – non sono in grado non solo di gestire, ma neppure di pensare un loro Stato. Forse la soluzione della crisi sta in un’eresia: Giordania ed Egitto, che hanno eserciti e polizie piuttosto efficienti, si riprendano la Cisgiordania e Gaza.
(A.C. Valdera)