La Croce quotidiano 18 luglio 2017
Una pseudo-ricerca svedese individua le quattro azioni fondamentali per aiutare il pianeta: dalla mobilità alla dieta, partendo però dall’eliminazione delle «emissioni del bambino, a sua volta poi possibile futuro genitore» (in pratica denatalismo neo-malthusiano). Aveva proprio ragione un esperto non cristiano come Patrick Moore: l’“ambientalismo politico” è ormai pura ideologia… Del resto ci sarà pure un motivo se uno dei principali fondatori dell’organizzazione ecologista più conosciuta nel mondo (Greenpeace) l’ha mollata diventando un “ambientalista ragionevole”
Giuseppe Brienza-Angelo De Santis
Le quattro azioni fondamentali per aiutare il pianeta a uscire dalla “morsa” del riscaldamento globale, secondo una pseudo-ricerca svedese rilanciata dai maggiori media internazionale (in Italia in primis da “la Repubblica”), sarebbero «avere meno figli, viaggiare meno (in aereo) e rinunciare all’auto e alla carne, adottando uno stile vegetariano».
Lasciando qui correre sul presupposto delle “quattro azioni” promosse nell’articolo dei due ricercatori della Lund University (cioè Seth Wynes e Kimberly Nicholas) e pubblicate su “Environmental Research Letters”, vale a dire quel “global warning” e connesso effetto serra sulla cui natura ed effetti gli esperti sono divisi, ci concentriamo sulla prima delle azioni, perché più radicale nella sua portata anti-umana e, diremmo, anche anti-ambientale.
Ci riferiamo a quel denatalismo neo-malthusiano che imporrebbe la c.d. scelta «di non avere figli o di averne meno [che] produrrebbe il 58,6% di tonnellate in meno di CO2. La cifra è stata calcolata in base alle possibili emissioni del bambino, a sua volta poi possibile futuro genitore, dividendo poi il totale per la durata di vita prevista della madre. Ad ogni genitore è stato attribuito il 50% delle emissioni del figlio, il 25% delle emissioni dei nipoti e via diminuendo man mano che si diluisce il grado di parentela» (Giacomo Talignani, Volete salvare la Terra dall’effetto serra? Fate meno figli, in “La Repubblica.it”, 13 luglio 2017).
Anche se i due ricercatori ammettono che «la sovrappopolazione rimane un argomento controverso nell’impatto sul cambiamento climatico», applicando il “principio di precauzione” al contrario, ci vengono a dire che, comunque, a non fare figli sterilizzando le donne dei Paesi in via di sviluppo, facendosi sterilizzare o abortendo liberamente comunque non farebbe male. E nel “non detto” discende anche una stima sociale e di virtù ambientale per coppie gay e lesbiche, sterili per natura.
Potremmo subito replicare con due osservazioni terra terra ma che, comunque, vale la pena formulare.
La prima, che si pone sullo stesso piano riduzionistico dei due ricercatore e, dal punto di vista strettamente tecnico, potrebbe contestare al loro denatalismo che, nel XXI secolo, abbiamo ormai molti altri strumenti per tenere sotto controllo il c.d. riscaldamento globale e l’idea di diminuire il numero di persone sulla terra, che potrà sicuramente arricchire qualche multinazionale farmaceutica, oltre alla sua profonda immoralità e inumanità, darebbe effetti solo in centinaia di anni. Se invece il global warning rappresenta quell’emergenza che gli eco-catastrofisti predicano, come la mettiamo?
Seconda obiezione molto semplice: è chiaro che ci scrive articoli come quello citato dell’“Environmental Research Letters” non sa cosa sia la maternità, la paternità e la famiglia. Uno dei due co-autori del saggio, infatti, la ricercatrice Kimberly Nicholas, lo confessa candidamente: «Io non ho figli ma quella di averli o meno è una scelta a cui sto riflettendo e che discuto con il mio compagno. Nella nostra decisione di formare o meno una famiglia, il cambiamento climatico è certamente un fattore che prenderemo in considerazione, anche se non sarà l’unico» (cit. in G. Talignani, ”Volete salvare la Terra dall’effetto serra?… art. cit.).
Solo chi non ha mai generato o accolto la vita può scrivere in termini d’inquinamento per il respiro di un figlio (nel saggio parlano di «emissioni del bambino»!). Ammesso e non concesso che non facendo più figli il pianeta si potrà “salvare”, ma da chi verrà abitato? A chi giova una terra più vivibile ma vuota? Come vediamo non solo dagli ambienti Lgbt bisogna difendere l’antropologia della famiglia…i nemici sono tanti e tutti contro, come se vivessimo in un’epoca di follia collettiva…
Piuttosto della “decrescita” chiediamo agli scientisti-ecologisti di aiutare a riesaminare l’esperienza di agricoltori e consumatori di tutto il mondo con le colture e il cibo migliorati dalla biotecnologia, riconoscere i risultati delle ricerche di autorevoli istituzioni scientifiche e agenzie regolatrici, abbandonare la sua campagna contro gli Ogm. Così hanno chiesto ad esempio nel 2016 in una la lettera pubblica 109 Premi Nobel e 2212 scienziati di tutto il mondo, indirizzandosi a Greenpeace e all’Onu.
Gli scienziati chiedono di salvare vite tramite la liberalizzazione delle colture Ogm, altro che “sovrappopolazione” e “sviluppo sostenibile”! La ricerca scientifica e tecnologica si metta al servizio della produzione di nuove risorse alimentari e della battaglia per combattere la fame, invece che promuovere la cultura della morte e della “decrescita”. Invece di eliminarli, così, potrà contribuire a far aumentare il numero dei “commensali” alla grande tavola della famiglia umana.
È poi una vecchia storia quella dell'”uomo, cancro del pianeta”. Trae origini filosofico-ideologiche dall’economista e demografo (protestante) inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834) è stata rilanciata internazionalmente, per la prima volta in ambito scientista, dal “Club di Roma”, nel 1972 ma, come sappiamo, è stata integralmente assunta da buona parte dell’ambientalismo internazionale. Pensiamo ad esempio all’attivista canadese Paul Watson, attuale presidente di “Sea Shepherd Conservation Society” ma, in passato, tra i soci fondatori di Greenpeace (fortemente criticato dall’altro pioniere dell’ambientalismo Patrick Moore).
Secondo il discorso da lui variamente proposto in libri, articoli e, soprattutto, consessi internazionali, la Terra sarebbe «ammalata di cancro e noi uomini siamo le cellule impazzite di questo tumore». Ma proviamo a smentire il ritornante denatalismo neo-malthusiano con qualche nozione storico-filosofica più approfondita.
Non è più circoscritta a piccoli circoli anti-mondialisti la critica nei confronti del movimento ambientalista di sostenere politiche anti-umane. Anche la Dottrina sociale della Chiesa, indirettamente, condanna l’errore di dimenticare la dignità dell’uomo e di metterlo in secondo piano rispetto agli animali e il resto della natura. Pensiamo sia azzeccata l’accusa rivolta contro certe forme di ambientalismo che, a volte, sono indicate col termine di “econazismo”, perché rivendicano azioni unilaterali ed invasive – se non autoritarie – per “risolvere” i problemi dell’ambiente a scapito dell’uomo e, soprattutto, dei Paesi poveri.
Particolarmente anti-umana, se non “antropofobica”, è l’idea di saggi come quello rilanciato da Repubblica secondo i quali il pianeta Terra non potrebbe ospitare più di un miliardo di esseri umani, ed in virtù della quale sarebbe auspicato un drastico ridimensionamento della popolazione.
L’ambiente è a disposizione dell’uomo che deve conservarlo e trasformarlo rispettandone la natura e rendendolo a misura d’uomo. Quella di dimenticare l’essere umano, privilegiando ad esempio i “diritti degli animali”, è una critica molto diffusa mossa nei confronti dei movimenti ambientalisti dal c.d. ecologismo scettico promosso a partire dagli anni Novanta dallo scienziato danese Bjørn Lomborg che, ad esempio, ha sempre ripetuto a proposito di quella che definisce la “bufale” del riscaldamento globale: «noi chiediamo la soluzione giusta alle persone sbagliate: se vuoi sapere che cosa accade a causa del global warming, interpella un climatologo. Ma se vuoi sapere come affrontare i problemi causati dal global warming, chiedi a un economista. Gli ambientalisti propongono di tagliare le emissioni di CO2 senza pensare che questo distruggerà l’economia mondiale in tempo di crisi. Un economista invece consiglia di investire nella ricerca e nella tecnologia per ottenere lo stesso risultato ma spendendo meno. Mi turba che i paesi ricchi si preoccupino più degli orsi che degli uomini» (cit. in Leone Grotti, Sei contro l’ideologia del global warming? “Sei come Hitler”. Intervista a Bjørn Lomborg, in “Tempi”, 29 giugno 2012).
Secondo uno dei fondatori di Greenpeace, ed oggi alacre critico del movimento, Patrick Moore, «da oltre dieci anni, possediamo le conoscenze necessarie per eliminare la denutrizione nel mondo, specialmente in quelle culture dove si consuma riso, e dove le insufficienze nutrizionali colpiscono decine di milioni di persone. Eppure – afferma nel suo libro del 2010 “Confessions of a Greenpeace dropout” – gruppi come Greenpeace e il World Wildlife Fund hanno imposto uno stop a questo progresso, alimentando le paure del pubblico e sostenendo regole che soffocano la ricerca, lo sviluppo e il consumo di raccolti geneticamente modificati. Per amor della superstizione, hanno condannato milioni di persone alla sofferenza e alla morte» (Patrick Moore, L’ambientalista ragionevole. Confessioni di un fuoriuscito da Greenpeace, Dalai Editore, Milano 2011, p. 44).
Per quanto riguarda la Dottrina cattolica, ci sembra significativo quanto insegnato sul punto da Papa Benedetto XVI nel Messaggio per la celebrazione della XLII Giornata Mondiale della Pace (Città del Vaticano, 8 dicembre 2008). Anche per Papa Ratzinger la battaglia per combattere la povertà implica un’attenta considerazione del complesso fenomeno della globalizzazione.
Scrive infatti: «Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe rivestire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai poveri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un’unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità».
Di conseguenza, prosegue Benedetto XVI, le campagne in atto di riduzione delle nascite, condotte a livello internazionale o promosse in ambienti pseudo-scientifici, non sono rispettose «né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli e spesso, cosa anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani».
A questo va aggiunto che, se nel 1981 circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. Il dato rilevato, spiega Papa Ratzinger, «pone in evidenza che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza di una crescita della popolazione». In altri termini, come insegna la Chiesa e la ragione aperta alla solidarietà, la popolazione si conferma una ricchezza e non un fattore di povertà.
Un’ultima considerazione su studi e linguaggi come quelli impiegati nel saggio dei due ricercatori della Lund University. Sappiamo che in ogni epoca storica gli studiosi ed i ricercatori vengono sottoposte a delle pressioni e influenze spesso cruciali. Nel XX secolo, come ha dimostrato la storia dei totalitarismi, alla scienza ed alla tecnologia è stato richiesto di rendere ragione dei delle ideologie e dei massacri perpetrati o da perpetrare.
Un’ebra come Hélène Metzger, studiosa di storia della chimica e morta ad Auschwitz nel 1944, in un breve ma denso e molto attuale saggio intitolato “La scienza, l’appello alla religione e la volontà umana” (a cura di Mario Castellana, Pensa MultiMedia, 2016, pp.141, euro 15), ha espresso le sue ultime considerazioni sulla scienza e la filosofia prima della deportazione, interrogandosi sull’influenza dello scientismo positivista e del determinismo meccanicista sulla «sterilizzazione della mente» e «la distruzione di ogni ideale religioso e di ogni valore metafisico o morale».
È una lucida e ben argomentata critica allo scientismo e al positivismo, che, riducendo la verità alla pura constatazione fenomenica della realtà, hanno prodotto «una sorta di passività dello spirito». Se l’immagine del mondo è quella di un insieme di esseri viventi, umani o non umani ma tutti dello stesso valore ontologico, è chiaro che non vi è nessun «progetto superiore e fuori dal mondo sensibile» e, terminologie da “neolingua” come quelle delle «emissioni del bambino» sono del tutto comprensibili.
La morale, come ha spiegato la Metzger, perderà così «la sua autorità e la sua forza cogente». Analizzando le cause metafisiche del totalitarismo la Metzger ci rassicura che tale declino non è «definitivo», né fatale, e invita a liberarsi «dalle catene che ci tengono imprigionati». Ecco, questo è il nostro invito, non solo ai genitori ma anche ai futuri ricercatori e scienziati e, magari, ambientalisti di domani. Sì, perché come ci ha spiegato un grande esperto, per giunta non cristiano, come Patrick Moore: l’“ambientalismo politico” è ormai divenuto pura ideologia…