L’ortoressia è la fobia nei confronti dei cibi percepiti come poco salutari
di Francesca Pica
Qualche anno fa il medico Steven Bratman descrisse per primo questo disturbo alimentare: l’ortoressia. Chi ne soffre è convinto che la sua salute dipenda in modo determinante dall’alimentazione e preferirebbe morire di fame piuttosto che mangiare cibi che ritiene contaminati o che possano nuocere alla sua salute. Un comportamento frequentemente riscontrato, in questa mania, è quello di portare sempre il proprio cibo con sé, per evitare di mangiare “quel che capita”.
Dopo la psicosi della “mucca pazza”, dell’aviaria, dei cibi geneticamente modificati e, più recentemente, dell’influenza suina, molte persone hanno cominciato a ricercare ossessivamente cibi sani, nella convinzione che il loro benessere dipendesse esclusivamente da ciò che mangiavano. Queste persone rimangono quindi esageratamente legate alla dieta, interesse attorno al quale gira la loro vita. Con il tempo l’ortoressico comincia a sentirsi migliore degli altri, perché mangia in modo perfetto. In casi più avanzati, man mano che l’ossessione prende corpo, l’ortoressico si allontana sempre di più dagli altri ed il cibo, per lui, perde l’aspetto socializzante.
Dalle patologie legate alla quantità del cibo (anoressia e bulimia) si è passati quindi alla patologia della qualità. È noto a tutti che alimentazione e salute formano un binomio indissolubile, tuttavia l’eccessivo rigore, l’attenzione estrema verso la qualità del cibo, può danneggiare il contesto familiare, lavorativo o di coppia e portare a rifiutare ogni invito o contatto sociale e a perdere il piacere della convivialità.
Ci troviamo dunque di fronte a nuove forme di nevrosi alimentare, accompagnate spesso da attività forsennate come la frequentazione ossessiva di centri di bellezza, palestre o personal trainer. Il tutto per inseguire un idealtipo di corpo sempre più lontano dalla realtà che nulla concede alla minima variazione di peso o all’invecchiamento e finendo per diventare fatalmente dipendenti da tutto questo.
Queste forme di disagio sono più difficili da combattere, poiché si presentano come scelte salutistiche: in fondo la ginnastica fa bene, i cibi sani sono raccomandati, sembra tutto ragionevole. In realtà siamo di fronte a manie che nascondono l’incapacità di fare scelte diverse da quelle imposte e controllate all’eccesso. Sul fronte del cibo infatti, si ingaggia una battaglia tra sé e il mondo, tra natura e cultura; tra controllo e impulso, tra salute e malattia.
L’alimentazione rimanda a una sfera molto intima di se stessi, al rapporto originario e primordiale che il bambino instaura con la sua sopravvivenza. D’altronde nutrirsi significa introdurre letteralmente dentro di sé qualcosa di esterno, creando quindi un ponte tra mondo interiore e modo di adattarsi alla vita e alle relazioni.
In questo territorio trovano spazio le strategie individuali più svariate e il cibo viene utilizzato, fin dall’infanzia, come gratificazione, conforto, sostituto dell’affetto mancato, arma di auto-offesa o strumento di ricatto. Ma il fronte del cibo è anche estrema difesa: in una quotidianità in cui non si riesce a controllare granché, in cui l’autodeterminazione è sempre più sfuggente può accadere che attraverso la dieta si tenti di ristabilire quel potere che si sente di avere perduto.