Il mito del “buon selvaggio” è duro a morire, ricordando che una riflessione sul potere s’impone ad ogni latitudine. «Temi come cultura, identità, potere e ideologia sono ancora di grandissima attualità, specie in una società come la nostra che oggi si di batte tra locale e globale»
di Fabio Gambero
Il viaggio in Italia gli consente anche di presentare Poteri di vita, poteri di morte (Raffaello Cortina, pagg. 180, euro 19,50), un libro di molti anni fa ma tradotto da noi soltanto oggi. Si tratta di un denso saggio che polemizza contro il mito duro a morire del “buon selvaggio”, ricordando che una riflessione sul potere s’impone ad ogni latitudine.
«Certo, questo libro è nato da una discussione tipica degli anni Settanta», ammette lo studioso francese, «ma temi come cultura, identità, potere e ideologia sono ancora di grandissima attualità, specie in una società come la nostra che oggi si di batte tra locale e globale. Secondo me, è sempre necessario interrogarsi sul potere e sulle sue forme di repressione più o meno simboliche, che da noi oltretutto sono spesso subdole e mascherate. nelle società democratiche, il potere, sfruttando l’immagine e la comunicazione, più che alla repressione diretta mira a condizionare le nostre vite»
Lei afferma che tutte le società, in un modo o nell’altro, sono sempre repressive
«Le logiche del potere trascendono le forme istituzionali, sono le stesse dappertutto. Quando ho scritto il libro molti pensavano –e qualcuno lo pensa ancora oggi – che nelle cosiddette società primitive i rapporti di potere non esistessero. In realtà, il potere si manifesta anche lì, e talvolta con forme repressive molto marcate. Insomma i paradisi primitivi sono miti che non esistono. Ma in quegli anni la valorizzazione delle differenze era molto forte, tanto e vero che ne paghiamo le conseguenze ancora oggi».
Cosa vuol dire?
«L’esasperazione del diritto alla differenza ha prodotto un culturalismo i cui effetti perversi sono oggi percepibili da tutti. In nome del rispetto degli altri a qualsiasi costo, c’è chi giustifica l’ingiustificabile. Nelle altre culture – ad esempio quella islamica – tolleriamo valori e pratiche che non ammetteremmo mai nella nostra. Questo atteggiamento nasconde una forma di razzismo capovolto, perché nel nome della differenza, accettiamo nell’altro ciò che non tolleriamo in noi, considerandolo di fatto a un livello inferiore al nostro. Questa vittoria del politically correct finisce pure per intimidire il pensiero democratico. In realtà si può essere benissimo tolleranti e contemporaneamente molto fermi sui principi. la tolleranza non deve mai tollerare l’intollerabile, come ad esempio la disuguaglianza dei sessi o la repressione della libertà religiosa».
Nel suo libro si parla molto di ideologia.
«Personalmente non credo alla fine delle ideologie. Proprio quando si crede che queste non esistano più, esse sono in realtà ancora più efficaci. Su questo terreno, Althusser aveva ragione quando sosteneva che coloro che sono le prime vittime di un’ideologia sono spesso coloro che la difendono. Infatti, una delle caratteristiche proprie dell’Illusione ideologica è di persuadere coloro che ne sono le vittime. Oggi purtroppo l’attualità ci mostra molti drammatici esempi di tale funzionamento ideologico»
Quali sarebbero le ideologie che dominano la società contemporanea?
«L’ideologia del consumismo, come pure l’ideologia della fine della storia. Quest’ultima è un mito che rappresenta bene la posizione della nazione che domina lo scacchiere mondiale. Gli Usa, infatti, difendono un sistema che combina democrazia rappresentativa, liberalismo economico e leggi del mercato, presentandolo come un orizzonte definitivo e insuperabile. Nulla potrà più rimetterlo in discussione. Da questa mancanza di prospettive deriva anche quell’ideologia del presente che mi sembra il dato più caratteristico dei nostri tempi. Noi tutti viviamo sotto la dittatura del presente immediato: dimentichiamo il passato e non ci proiettiamo nel futuro».