Ritratto politicamente scorretto della grande regina cattolica inglese. Che la propaganda e la storiografia anticattolica hanno consegnato ai posteri con il nomignolo di “sanguinaria”. Una leggenda nera che va sfatata
di Elisabetta Sala
Cattolico uguale persecutore, oscurantista, intollerante e retrogrado. Raramente l’equazione appare più vera, più chiara, di quando si accenna alla cosiddetta “Bloody Mary”, la regina inglese che, tra il 1555 e il 1558, mandò al rogo quasi trecento dei suoi sudditi protestanti.
Nel far questo, si dice (e si legge), ella aveva preteso di tirare indietro l’orologio del tempo per riportare in vita una Chiesa medievale che i suoi sudditi non volevano. Per fortuna morì prematuramente: il suo regno è ricordato come un’ombra nera, un incidente di percorso nel cammino dell’Inghilterra verso un fulgido futuro, un contrattempo dopo il quale il Paese fu finalmente libero di entrare in quel periodo aureo di benessere, splendore, tolleranza che fu l’età elisabettiana. Questa la versione ufficiale.
Troppi dimenticano, però, che essa è stata scritta da chi in Inghilterra ha avuto l’ultima parola, vale a dire dai protestanti. Scavando un po’ più a fondo risulta invece evidente come le cose siano andate in modo ben diverso. A cominciare dal nomignolo, “Bloody” (sanguinaria), che fu affibbiato a Mary dalla propaganda anticattolica ma che, finché ella fu in vita, neppure i suoi nemici più acerrimi si sognarono di darle. Ma cominciamo dall’inizio.
La nipote della “regina Isabella”
Mary Tudor nacque nel 1516, unica figlia di Enrico VIII (1491-1547) e di Caterina d’Aragona (1485-1536). In quegli anni suo padre era ancora un fervente cattolico e sua madre, figlia di Isabella di Castiglia (1451-1504), la educò come si addiceva a un’erede al trono. Ma ben presto tutto cambiò. Nel 1527 Enrico cominciò a pretendere dal Papa il famigerato “divorzio” che avrebbe trasformato Mary in una figlia illegittima (bastarda, si diceva allora) e Caterina in un’amante messa da parte.
Nel 1531 la principessa fu separata per sempre da sua madre, cominciò a subire ogni sorta di angherie da parte della famosa Anna Bolena (1501/7-1536), amante del re, e vide con sgomento il suo Paese sprofondare sempre più nello scisma. Quel che è peggio, nel 1533 la Bolena partorì una figlia (la futura Elisabetta I) che le subentrò come erede al trono e della quale ella, diciassettenne, fu obbligata a farsi damigella d’onore. Incoraggiato dai pochissimi protestanti inglesi, i quali occupavano però posizioni chiave, suo padre ruppe poi definitivamente con Roma e si autonominò capo della “Chiesa” anglicana; poco dopo, fatta decapitare la Bolena, finalmente ebbe dalla terza moglie il figlio maschio tanto desiderato, Edoardo.
Nella successione il principino sarebbe passato avanti alle sorellastre, ora dichiarate entrambe illegittime. Intanto il popolo, rimasto cattolico, si sollevò in protesta in nome del vecchio sistema, ma fu prima ingannato e poi massacrato dal suo re. Cominciò a scorrere il sangue dei martiri.
Alla morte di Enrico VIII, nel 1547, l’Inghilterra non era più ufficialmente cattolica ma non era ancora protestante, giacché a re Enrico i protestanti non piacevano. Furono i reggenti al trono sotto il piccolo Edoardo a optare per un calvinismo estremo, sempre contro volere del popolo. La gente tentò ancora di opporsi al nuovo assetto religioso, ma la ribellione fu di nuovo soffocata nel sangue, ora anche grazie a truppe mercenarie tedesche e svizzere che fecero qualche migliaio di morti.
Oltre a optare decisamente per il protestantesimo, il regime edoardiano terminò l’opera di ladrocinio e saccheggio dei beni ecclesiastici che era stata iniziata da Enrico VIII, mentre le cattedre universitarie venivano assegnate a teologi stranieri, per lo più calvinisti. La gente era sempre più disorientata, impoverita, abbandonata a se stessa. In tutto questo, Mary rimase tenacemente cattolica a rischio della vita.
Alla morte del giovane Edoardo, nel 1553, il reggente al trono organizzò un colpo di a mano che solo avrebbe potuto salvare il protestantesimo inglese: tentò di escludere Mary dalla successione e di far incoronare al suo posto una giovane discendente protestante di Enrico VIII, Lady Jane Grey (1537-1554).
Una cosa sola restava da fare a Mary, degna nipote di Isabella la cattolica: montare a cavallo e marciare su Londra. Morire in battaglia piuttosto che finire decapitata. Non sembrava avere scampo, circondata com’era soltanto dai suoi servitori; tanto che persino il suo sostenitore più potente, l’imperatore Carlo V, suo cugino, rifiutò di intervenire.
Il trionfo di Mary
Inaspettatamente, però, tutto il popolo inglese insorse e le si strinse attorno. Senza inferire un solo colpo, Mary entrò trionfalmente a Londra e fu incoronata regina nel tripudio generale. L’Inghilterra tornò cattolica ancor prima che il Parlamento avesse il tempo di sancire il nuovo (antico) assetto, giacché dappertutto riaffiorarono, come per incanto, i vecchi lezionari, la Messa in latino e le devozioni popolari. Mary fu amata dal suo popolo.
Contrariamente a quanto afferma la vulgata ufficiale, ormai obsoleta, il ritorno del cattolicesimo in Inghilterra non fu una forzatura ma andò incontro ai desideri della stragrande maggioranza dei sudditi. Quella che era stata l’elite riformata, che aveva un filo diretto con una specie di internazionale protestante europea, tutto quanto era in suo potere per scalzare dal trono la regina cattolica.
Intanto, tra i nobili e i vescovi, quelli che erano stati i cattolici apostati che, diversamente da Mary, si erano piegati come fuscelli sotto Enrico ed Edoardo, vollero ora dimostrarle il loro ritrovato ardore, la loro ormai incrollabile ortodossia; fu anche per questo che partirono i roghi. E qui il discorso si fa complesso. Innanzitutto l’unica autorità in materia, l’unico “documento” che li attesta con precisione, non è l’opera di uno storico ma bensì di John Foxe, un fervoroso apologeta protestante che ai tempi della persecuzione mariana non era nemmeno in Inghilterra. Fu Foxe a coniare l’epiteto “Bloody”, sanguinaria, maledetta, non solo per Mary ma anche per tutti i suoi collaboratori.
Nel suo celebre Book of Martyrs egli enumera ben 273 vittime, tutti poveri agnelli innocenti. Diversi storici del nostro tempo hanno però dimostrato come egli avesse gonfiato le cifre; anche gli apologeti cattolici a lui contemporanei lo accusarono di aver falsificato i dati. I roghi, quanti che fossero, rimangono comunque un fatto storico e non si può certo difenderli. Però si possono, anzi, si devono collocare nel loro giusto contesto.
Tanto per cominciare, le condanne alla pena capitale erano in quei luoghi e in quei tempi talmente frequenti e diffuse che i roghi maryani non andarono a incidere che minimamente sulle esecuzioni annuali, che erano circa ottocento l’anno e si applicavano anche a reati minori quali il piccolo furto; né i condannati a vari misfatti smisero di essere arsi dopo la morte di Mary. Furono certo ingiusti, ma non crearono scalpore.
Quelli che per Foxe furono i martiri più santi, oltretutto, erano in realtà anche i peggiori nemici politici della regina, quelli che avevano continuato a tramare contro di lei e a insultarla in quanto illegittima, i quali sarebbero stati comunque condannati a morte per alto tradimento.
È brutto dirlo, ma i roghi ebbero luogo anche perché la gente non li disapprovava; al contrario, li incoraggiava e persino, a volte, li strumentalizzava per regolare vecchi conti in sospeso e per vendicare alcuni dei torti subiti sotto Edoardo. Ma c’è un lato ancora peggiore della vendetta privata.
Da una parte, come si è accennato, numerose condanne furono una dimostrazione di zelo da parte di chi si era macchiato di apostasia e ora voleva dimostrare la propria ortodossia alla regina e al suo consorte, il principe spagnolo Filippo, figlio di Carlo V; in questo modo, i condannati erano mandati al rogo da coloro che fino a pochissimi anni prima li avevano portati fuori strada, predicando che il Papa era l’anticristo, e ora avevano ritrattato dichiarando di essersi leggermente sbagliati.
Dall’altra, non furono pochi coloro che, appartenenti ai ceti medio bassi, furono mandati a morire proprio dai loro dotti correligionari, i quali, dal loro comodo esilio, li spingevano a resistere fino alla morte in nome della loro fede. Molti dei condannati erano fanatici che insistettero deliberatamente nel bestemmiare il Santissimo Sacramento anche dopo essere stati graziati. La vulgata ufficiale dimentica inoltre che la maggior parte dei processi si concluse in realtà con l’assoluzione, non con la condanna.
La prematura morte
Nell’ultimo anno del regno di Mary, il 1558, sia i persecutori che i perseguitati divennero meno intransigenti. Nel frattempo il programma di rieducazione del popolo, affidato al grande cardinale Reginald Pole (1500-1558), procedeva a gonfie vele e secondo i dettami dei decreti tridentini, che furono così applicati in Inghilterra ancor prima della chiusura del Concilio. Fu tutto un rifiorire di entusiasmo e di vocazioni religiose, che languivano dai tempi di Enrico VIII.
L’elite protestante era disperata e invocava il regicidio come unico rimedio. Senonché a questo punto, commenta lo storico Christopher Haigh, «Mary commise il suo unico errore grave, anzi, fatale: morì». E il trono andò alla sorellastra protestante. Il mito di “Bloody Mary” fu creato ad hoc dalla propaganda anticattolica, che ne aveva disperato bisogno per poter coniare l’altra faccia della medaglia: “Good Queen Bess”, la buona regina Elisabetta, la tolleranza in persona, tanto amata dai suoi sudditi. Ma questa è un’altra storia; a noi, per ora, basti sapere che la medaglia è falsa.
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