di Enrico Raggi
Il toccante libro di Giovanna Parravicini, Liberi, recentemente edito da Rizzoli, inconsueta galleria di ritratti di nove protagonisti della Russia novecentesca, storie di grandi uomini, di luminosi testimoni della Fede, di martiri catacombali, fa riemergere da lontane nebbie la leggendaria figura della pianista Marija Judina.
Notizie biografiche ridotte al minimo. Scarse le registrazioni sopravvissute. Alcuni conoscitori ne tramandano giudizi entusiasti. Una certezza: fu la più grande pianista russa di tutti i tempi. Virtuosismo, scatto, elettricità, bellezza del suono, un’eccezionalità umana più grandi del suo mito.
Prodigio di perfezione e di poesia. Classe 1899, a dodici anni è già artista completa. Legge avidamente Platone, Agostino, Tommaso d’Aquino, si appassiona ai poeti simbolisti, studia arti figurative, architettura, teatro, filologia, storia. Al suo cospetto i colleghi Richter, Gilels, Sofronitskij tremano come ragazzini. «Le sue dita sono artigli d’aquila», esclama un ammirato Shostakovich. Anche Prokofiev ne è sbalordito.
«Suonare per me è un avvenimento interiore», testimonia la giovane Judina, donna inquieta, inappagata, sempre in ricerca. «Non m’interessano la fama o la tranquillità. Al centro della mia vita c’è la ricerca della verità. Devo inoltrarmi nella mia vocazione, alla ricerca di un’illuminazione che mi sorprenderà», riassume. Questa sua tormentosa indagine approderà finalmente alla Fede. A vent’anni si fa battezzare nella Chiesa ortodossa: «Conosco solo una strada che porta a Dio, l’arte».
Autorevoli membri di partito rimpiangono questa sua sciagurata decisione: «Noi la porteremmo in trionfo, se solo Lei non credesse in Dio!». «Non rinnegherò la mia fede. Sarete voi, invece, a venire tutti dalla nostra. Voglio mostrare alla gente che si può vivere senza odiare, pur essendo liberi e indipendenti», replica. Non nasconde amicizie pericolose (Pasternak, padre Pavel Florenskij, la poetessa Marina Cvetaeva, il monaco Feodor Andreev), ma fortunosamente evita sempre la reclusione.
Neri capelli lisci, occhi che mandano bagliori, lunghi abiti scuri su scarpe scalcagnate. Ai suoi concerti il pubblico non vuole andarsene, nemmeno dopo l’ennesimo bis. Lei entra in scena e recita poesie di autori proibiti, scatenando uragani di applausi. Subito le sue tournée sono cancellate. La sua notorietà è ormai mondiale, numerosi inviti le giungono dall’estero, ma ogni volta è costretta a rifiutare. «Ostenta la sua religione», è l’accusa. «Una sua lezione su Bach è catechismo, sembra di leggere un pezzo di Vangelo», confermano i suoi allievi.
La licenziano dal Conservatorio di Leningrado. Si trasferisce allora a Mosca, dove fatica perfino a pagarsi l’affitto e riesce a malapena a noleggiare un pianoforte. Aiuta tutti, paga visite mediche agli amici indigenti, difende i perseguitati dal regime. Quando tiene concerti, affigge avvisi di questo tipo: «Suonerò nella tale città. Posso portare pacchi di un chilo massimo l’uno». Poi recapita i vari pacchi agli sconosciuti destinatari, fino all’ultimo. Non teme nulla, nella certezza indistruttibile di un rapporto con un Tu vivo, presente, che la sostiene: «Ho due stelle che mi guidano: la musica e Dio».
Nel 1943 Stalin ascolta alla radio il Concerto K 488 di Mozart eseguito dal vivo dalla Judina. Ne resta così colpito da chiederne immediatamente il disco. Ma il disco non esiste perché si tratta di una diretta, effettuata negli studi della radio di Mosca. Non è il caso di perdere tempo in spiegazioni: la Judina è convocata d’urgenza, l’orchestra è pronta, due direttori declinano l’invito, solo un terzo accetta, in una notte la registrazione è fatta, il disco confezionato in pochi esemplari e recapitato all’illustre ammiratore.
Stalin è generoso, fa avere alla Judina ventimila rubli, una cifra strepitosa per l’epoca. Con un gesto folle, li rifiuta: «La ringrazio. Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, La perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado».
Ancora una volta, non le viene torto un capello. Sale spontaneamente alla bocca la parola “miracolo”. Alla morte di Stalin, sul grammofono del dittatore, c’è quel disco della Judina. «Due stelle mi guidano, come una volta», continuerà a ripetere Marija, «ma ora mi sono accorta che l’ordine è diverso: Dio e la musica». «L’esperienza della musica è uno squarcio che si apre su un altro mondo, su una realtà più grande, sulla realtà: la Grazia di Dio».
Sono le ultime parole della Judina. Le legge il suo parroco, padre Vsevold Spiller, durante l’omelia funebre, il 24 novembre 1970.
per ascoltare MARIJA JUDINA che suona il concerto di Mozart
per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488