Ricognizioni 19 Novembre 2019
Mario Di Giovanni
Da tempo, nel calendario delle democrazie, gli anniversari della Rivoluzione francese (quest’anno cade il 230°) non sono più segnati come festa grande. Anzi, le ultime generazioni di studiosi, compresi gli storici di sinistra, oggi non risparmiano critiche all’operato di Robespierre e affini.
La cultura ufficiale e l’insegnamento di Stato, tuttavia, persistono nel celebrare l’evento con l’usuale corredo di narrazioni trionfalistiche e di una retorica asfissiante, come se, par di capire, vi fosse la sottintesa consegna di mascherare la Storia con la propaganda ideologica.
D’altro canto la Rivoluzione del 1789 è la radice della modernità, dunque ciò che vale per la prima vale, in fondo, anche per la seconda, cioè per il sistema nel quale oggi viviamo: non sorprende che il pensiero ufficiale perpetui la glorificazione dell’evento.
Va notato che sono sparsi profumi non tanto per coprire il fetore di morte che si leva dai massacri della Rivoluzione francese, “danni collaterali” dei quali la democrazia non si è mai vergognata, quanto il fetore della menzogna, perché la Rivoluzione ha sempre mentito. La cultura ufficiale teme che si comprenda questo, e per questo obbliga ad un culto estatico dell’89.
La Rivoluzione ha mentito sin dall’inizio, quando proclamava la sua causa presunta: la reazione di un popolo che gemeva sotto l’assolutismo. In realtà, per poco che ci si allontani dalla storia ufficiale, la storia reale mostra che il regno di Luigi XVI fu la negazione della tirannia, a cominciare dalla benevolenza che caratterizzava il Re come uomo.
Luigi Capeto riformò il sistema penale mettendo al bando la tortura, e si apprestava a riformare lo stesso sistema dei privilegi feudali. Gli storici sono concordi nell’affermare che, quando Luigi XVI andò alla ghigliottina, non aveva colpa alcuna, se non quella di essere simbolo vivente di un mondo che la Rivoluzione voleva distruggere: la sua morte doveva essere, e fu, un rito di passaggio.
La seconda menzogna istituzionale, dopo quella della “tirannia”, è corollario della prima: il carattere spontaneo e popolare della Rivoluzione. In realtà il popolo francese fu strumento di un progetto ideologico elaborato nella teoria e pianificato nella pratica, da “altri”.
Beninteso: è un fatto che parte del popolo francese si ribellò alla monarchia. Ma è ugualmente un fatto che la Francia pre-rivoluzionaria fu investita per mezzo secolo dall’ininterrotta propaganda, antimonarchica e anticristiana, degli Illuministi, gli “altri”.
IL MONTAGGIO DELLA RIVOLUZIONE
I cittadini delle moderne democrazie conoscono bene l’efficacia di una comunicazione mediatica martellante, conoscono il suo potere di confezionare “pensieri unici” nella coscienza collettiva: si immagini quanto questo potesse valere presso l’opinione pubblica del XVIII secolo.
Annotava Pio XII nel radiomessaggio del Natale 1944: “Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, «massa» sono due concetti diversi. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori (…) facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl’istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera”.
Il popolo ha un’identità radicata nella propria storia e nelle proprie tradizioni, intorno alle quali prende forma la sua identità. Se un popolo è forzato a rinnegare la sua anima, allora diventa massa priva di cultura e quindi di idee, che saranno, da quel momento in poi, sempre fornite da “altri”.
Nel caso di specie, gli Illuministi, i Philosophes, come erano chiamati nella Francia pre-rivoluzionaria, le cui idee corrosero come un acido l’identità cattolica del popolo francese. Dopo un viaggio a Parigi nel 1765 – i Philosophes spargevano le loro idee da più di trent’anni – scriveva l’ambasciatore inglese Orazio Walpole, cancelliere dello Scacchiere (1): “Il buon umore è giù di moda come il gioco dei burattini o quello dell’ometto sempre ritto. Queste brave persone non trovano più il tempo di stare liete, hanno troppo da fare: devono detronizzare Dio e il Re. Singolarmente e collettivamente, uomini e donne si son messi d’impegno a quest’opera di demolizione”
LO SCENARIO
Non erano figli del popolo ed erano tutt’altro che “oppressi” i Philosophes Voltaire, Montesquieu, Diderot, Condorcet, d’Alambert, d’Holbach, Helvetius e altri al seguito. Questi Filosofi dalla vita agiata, aristocratici e ricchi borghesi, rimodularono la coscienza collettiva attraverso libri, opuscoli, riviste, associazioni, sale di lettura, circoli e salotti, seminando ininterrottamente idee eversive che educarono l’opinione pubblica francese al disprezzo delle istituzioni nazionali e all’adorazione di quelle inglesi.
Con zelo ancora maggiore divulgarono un pensiero ateo e materialista, che spingeva all’odio verso il Cattolicesimo. Di un pensiero “popolare” non vi era però traccia: gli Illuministi neppure sfiorarono il concetto di democrazia, autocertificandosi élite e guida del paese.
Un ordine di idee che il caposcuola dell’Illuminismo, Voltaire, esplicitò nel famoso aforisma: “Quand la populace se mêle de raisonner, tout est perdu” “Quando la plebaglia si mette a ragionare, tutto è perduto”. (Corrispondenza, 1 aprile 1776) Nulla che non sia già noto: la storia ufficiale non nasconde tutto questo.
Ciò che invece essa nasconde è la doppia vita sia degli Illuministi della prima ora sia dei rivoluzionari loro discepoli: Sieyes, Mirabeau, Demoulins, Danton, Marat, Robespierre, Saint Just e altri al seguito. Tutti costoro, gli Illuministi prima, i rivoluzionari poi, erano affiliati alla massoneria. Tutti senza eccezioni.
Invano cerchereste, nelle opere di divulgazione storica, una sola riga sull’argomento, che è trattato assai di rado e solo in testi specialistici, inavvicinabili dall’uomo comune e sconosciuti anche ai più colti. Come “Il tramonto dell’Illuminismo” (2) di Sergio Moravia, antropologo e docente ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università di Firenze, conferenziere di fama internazionale, che certifica l’appartenenza alla massoneria sia degli Illuministi sia dei rivoluzionari dell’89.
Moravia è ebreo e, plausibilmente, anche massone, a giudicare dalla sviscerata ammirazione che mostra verso i nostri eroi, dunque persona poco incline a favorire il “complottismo” e, per così dire, informata sui fatti. Il cosiddetto “libero pensiero” del XVIII secolo appare quindi tutt’altro che libero, vincolato com’era ai progetti di una società segreta maestra di manipolazione delle coscienze, individuali e collettive, e maestra di rivoluzioni.
Un secolo dopo la presa della Bastiglia, sulla più autorevole rivista massonica di Francia un maestro di loggia scriveva: “Sì, noi siamo rivoluzionari, perché non soltanto camminiamo con la rivoluzione, ma vi spingiamo i popoli” (3). Le rivoluzioni massoniche non mantengono mai, però, ciò che promettono.
Nel caso di specie, il trinomio rivoluzionario “libertà, uguaglianza, fraternità” si rivelò infine un’ariosa teoria utile soltanto a infiammare gli animi, mentre i fatti andavano in tutt’altra direzione. Una lettura retrospettiva degli eventi mostra che la posta in gioco della Rivoluzione, nelle attese dei suoi organizzatori, non era la cancellazione dei privilegi feudali, ma la cancellazione della civiltà cristiana.
A pochi anni dalla Bastiglia i francesi, ancora sporchi del sangue di Luigi XVI, acclamarono Napoleone imperatore, il nuovo monarca, e la sua corte, la nuova aristocrazia. I rivoluzionari, dopo aver distrutto, tra il resto, le corporazioni e le associazioni di mestiere dell’ancien regime (Legge Le Chapelier emanata dalla Convenzione il 14 giugno 1791) che fino allora avevano garantito tutela alle classi lavoratrici, consegnarono gli operai al nascente capitalismo industriale, il nuovo regime, che ne fece carne da macello.
La Francia, che al seguito della Rivoluzione e a prezzo di stragi, aveva cessato d’essere monarchica per diventare repubblicana, al seguito di Napoleone si risvegliò nientemeno che imperiale, felicemente sottomessa a un individuo che si reputava un semi-dio, detentore di un potere senza limiti e senza freni. Tutto questo, con il plauso e la collaborazione della stessa massoneria che aveva pianificato la Rivoluzione in nome della lotta contro i “privilegi”.
Lo storico massone Ernesto Nys (4): “L’Impero fu per la Massoneria un periodo di vera prosperità. Il Grande Oriente finì per avere alla sua obbedienza 826 logge e 337 capitoli, e i nomi delle persone che li componevano mostrano chiaramente l’importanza che l’istituzione aveva acquistata. Nel 1807, per non citare che quell’anno, Giuseppe re di Napoli e di Sicilia, grand’elettore dell’Impero,era gran maestro; il principe Cambareces e il principe Murat erano gran maestri aggiunti. Tra i grandi dignitari figuravano i marescialli Kellerman, Massena, Lannes, Angereau”.
La struttura del potere non era quindi cambiata, in Francia, dopo la Rivoluzione, ma era cambiata la sua natura: l’ordine costituito non era più cristiano. Questo era ciò che importava alla massoneria. Lo storico Jean Dumont (5): “L’anticristianesimo totalitario è la sola vera essenza della Rivoluzione francese e il suo vero unico progetto, iniziale e finale”.
NOTE SULLA MASSONERIA
La massoneria moderna o Libera Muratoria, è stata fondata il 24 giugno del 1717 con la costituzione della Gran Loggia di Londra. Il termine – dal francese maçon e dall’inglese mason: muratore – per secoli aveva designato le corporazioni dei costruttori (tagliapietre, scalpellini e muratori sotto la guida di un maestro architetto), che, a partire dal secolo XIII, legarono la loro fama allo sviluppo dello stile gotico internazionale che costellò l’Europa di cattedrali dalla Scandinavia alla Spagna.
Le corporazioni muratorie furono custodi delle più alte manifestazioni dell’arte e della cultura cattoliche. I massoni moderni si appropriarono della terminologia e dell’iconografia dell’antica Libera Muratoria (detta “libera”, nel medioevo, perchè in virtù del loro ruolo sociale le corporazioni muratorie erano esenti da imposte), applicandole concettualmente alla costruzione di un uomo nuovo e di un nuovo ordine del mondo.
La massoneria del 1717, per distinguersi dalla massoneria operativa, definì quindi se stessa (e a tutt’oggi si definisce) “simbolica”. I segreti del mestiere dei costruttori si trasformarono così nel proverbiale segreto massonico, insieme dottrinale e politico: i massoni hanno sempre interdetto ai profani, cioè ai non massoni, la conoscenza sia di ciò che veramente pensano, sia di ciò che veramente fanno.
L’inglese James Anderson e il franco-inglese Teofilo Desaguliers, i pastori protestanti (presbiteriano il primo, ugonotto il secondo) fondatori della Gran Loggia di Londra, erano emissari visibili di uomini che amavano l’invisibilità. Uomini che avevano agito dietro le quinte dei conflitti religiosi che opposero gli Asburgo cattolici ai principi protestanti (Guerra dei trent’anni, 1618-1648) puntando, in odio al Cattolicesimo, su luterani e calvinisti.
Uomini che propagarono nel fronte protestante un pensiero non solo anticattolico ma anticristiano.
Note
1) Cfr. Pierre Gaxotte,“ La Rivoluzione Francese”, 5ª Ediz., Rizzoli Editore, Milano 1949,op.cit., pp.72-73
2) Cfr. Sergio Moravia “Il tramonto dell’Illuminismo”, Biblioteca Universale Laterza, Roma-Bari 1986.
3) Cfr. “Massoneria Socialismo Ebraismo-Note storiche contemporanee d’un italiano“, Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese 1979, p.21 Ristampa anastatica del testo originale pubblicato a Chiasso nel 1888. La citazione riprende il passaggio di un discorso del Maestro Venerabile della loggia Le Globe di Vincennes nel giugno 1879 e pubblicato dalla rivista Monde Maçonnique nell’agosto.
4) Cfr. Cfr. Ernesto Nys, “Massoneria e società moderna”, Bastogi, Foggia 1988, p.110. 5) Cfr, Jean Dumont “I falsi miti della Rivoluzione francese”, effedieffe, Milano 1989, p.32.
(continua)
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(2) Dagli illuminati all’illuminismo