Tempi 13 Luglio 2021
Intervista al professor Giulio Sapelli. «Il mondo è fatto di materia, non di nuvole. La vita si svolge qui e ora, non nel cloud»
di Antonio Grizzuti
Sempre più introvabili e (dunque) sempre più care. Le materie prime sono alla base della nostra vita quotidiana, e così la loro carenza a livello globale impensierisce l’industria e mette a rischio la ripresa nel post (almeno si spera) pandemia.
Prezzi alle stelle per ghisa, acciaio, ferro, rame, pvc e legno, ma non solo. Anche grano, soia e mais, su cui si basa la filiera degli allevamenti, fanno registrare incrementi da record. Rincari che toccano punte, è il caso dell’acciaio, del 150 per cento in più rispetto ai livelli pre-pandemia.
E poi, naturalmente, silicio e litio, elementi senza i quali possiamo scordarci computer, tablet e smartphone. Uno dopo l’altro interi settori, dall’edilizia all’informatica, dalla siderurgia all’agricoltura, sudano freddo per colpa della scarsità di risorse. Colpa anche del lungo “stop and go” imposto dal Covid. Complici i rallentamenti imposti alla filiera dalle chiusure, e il consumo frenetico specie nei primi mesi della pandemia, i magazzini dei fornitori si sono svuotati. E alla ripresa delle attività l’impennata di domanda ha messo in seria difficoltà le imprese.
Risultato? «L’economia mondiale è improvvisamente a corto di tutto», come ha sintetizzato efficacemente l’autorevole Bloomberg. L’esempio classico è quello della (introvabile) Playstation 5, vera e propria primula rossa dei negozi per colpa degli ormai quasi introvabili semiconduttori. Ma il coronavirus ha semplicemente accelerato un fenomeno già in corso. Lo sfruttamento intensivo ha costretto a cercare i materiali sempre più lontano, con maggiori costi per la raccolta, l’estrazione e, a seguire, i trasporti. Sullo sfondo, rapporti geopolitici sempre più complessi tra Cina, Stati Uniti ed Europa, e tra Paesi emergenti e già sviluppati sul piano industriale.
Uno scenario che mette in discussione, in maniera diversa e forse anche più intensa rispetto alla Grande recessione, l’esistenza stessa del capitalismo per come lo abbiamo conosciuto finora. Per capire meglio le implicazioni di questa crisi abbiamo chiesto aiuto all’economista e accademico Giulio Sapelli.
Professor Sapelli, ci spiega meglio il terremoto in atto nel settore delle materie prime?
Semplicemente, la macchina della produzione si è messa in moto rapidamente e nello stesso momento. C’è stata una grande richiesta, un take off molto forte e simultaneo, sia nei Paesi avanzati che in quelli intermedi. Ciò ha generato una strozzatura dal punto di vista della domanda, perché l’offerta è rimasta quella. E poi ci sono tre novità fondamentali.
Partiamo dalla prima.
È un fattore, naturalmente, di tipo pandemico. Le catene della logistica si sono messe in moto in contemporanea e si sono allungate, rispetto a com’erano organizzate in precedenza. Guardiamo alla nave incagliata nel Canale di Suez: probabilmente aveva un problema di capacità produttiva e non aveva rispettato tutte le regole. Si chiama eccesso di valorizzazione del capitale. Karl Marx aveva predetto tutto più di un secolo fa, peccato che nessuno lo legga più.
E la seconda?
È questa sorta di transizione ecologica, non prodotta dal mercato, né dalla volontà dei singoli Stati, ma dai trattati internazionali che puntano a ridurre la CO2.
Non va bene?
Se aumenta la richiesta di gas, aumenta quella di petrolio che serve per la macchina produttiva, e quindi aumentano i prezzi di oil e gas. Stessa cosa per l’elettrico: come si producono le pale eoliche? Se aumenta spasmodicamente la richiesta di idrogeno, servono le terre rare, che sono sempre di meno e sempre più difficili da trovare. E a catena salgono i prezzi.
Qual è, invece, l’ultimo aspetto?
Arriviamo da anni nei quali abbiamo fatto pochissimi investimenti nel mining, cioè nel settore minerario. Anche questo ha fatto balzare in alto i prezzi delle materie prime. E non parliamo di monopolio della Cina: le terre rare ci sono anche in Australia, in California. Però bisogna fare investimenti. Altro che mondo dell’online! Il mondo è fatto di materia, non di nuvole. La vita si svolge qui e ora, non nel cloud.
Come ha scritto di recente, non è una crisi che nasce con il Covid.
No, è una situazione che deriva da molti anni di mancati investimenti nell’industria e, per contro, dall’aver puntato tutto sulla rendita finanziaria. In un minuto guadagni quanto nel giro di anni. Chi te lo fa fare di investire? Ci vogliono fatica e denari, e il profitto arriva più tardi. Prendiamo quei costrutti finanziari che rispondono al nome di derivati: sono una vera e propria scommessa, e mi permettono di guadagnare. Ripeto, è tutto scritto nell’ultimo volume de Il Capitale di Marx, non sto inventando nulla. Poi purtroppo l’ignoranza si è abbattuta. La rivoluzione liberista non è stata solo di natura economica, ma anche filosofica.
Quali sono gli impatti concreti di questa rivoluzione nella vita di tutti giorni?
Quello che è successo in Texas, dove durante i recenti blackout la gente ha rischiato di morire negli ospedali, o quello che sta accadendo in questi giorni a Milano (il riferimento è alle frequenti interruzioni di corrente che hanno interessato a giugno il capoluogo lombardo, ndr).
Tutto normale?
Ma guardi che al capitalismo non interessa il benessere delle persone, ma solo il profitto. È un meccanismo impersonale, basta che si guadagni. Chi se ne frega se il bambino muore? Arrivati a un certo livello non si parla più nemmeno di industrializzazione, ma di un sistema di rapporti sociali.
Fino al paradosso di una società basata sul consumo che arriva a non avere più nulla da consumare.
Una società basata sul consumo dei poveri. Ma a quanto pare la gente è contenta di essere sfruttata, gli basta andare in monopattino.
E i governi non fanno nulla?
Non mi faccia ridere. I governi sono i comitati di affari della borghesia. Riflettono semplicemente i rapporti di forza dell’establishment. I governi non pensano più al popolo lavoratore, ormai ubriacato dalla televisione e dalla signorina Greta Thunberg, ma a fare i trattati internazionali. Sono lì apposta per mettersi d’accordo. E dal canto suo, l’Ue favorisce gli interessi di determinati gruppi di interessi rispetto ad altri.
Serve un mondo meno globalizzato?
Ci vuole una globalizzazione meno ideologica. Guardi che l’interdipendenza economica era superiore prima della Prima guerra mondiale. Stiamo tornando verso quel tipo di connessione. La globalizzazione è incomparabile rispetto all’interdipendenza. Per chi conosce la storia, la globalizzazione non ha senso.