«Matrimoni nulli per mancanza di fede»
di Massimo Introvigne
L’8 settembre 2015 Papa Francesco ha reso pubblica la lettera apostolica in forma di Motu proprio «Mitis Iudex Dominus Iesus» sulla riforma del processo canonico per le cause di nullità del matrimonio, accompagnata da una lettera parallela che adatta la stessa disciplina alle Chiese orientali.
La «Mitis Iudex» si apre con una forte rivendicazione della potestà della Sede Apostolica di decidere in questa materia. Il Signore Gesù, scrive il Papa, ha affidato al Romano Pontefice «la suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra». Francesco ricorda che la Chiesa vuole mantenere ferma «la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio», e «tutelare l’unità nella fede e nella disciplina riguardo al matrimonio, cardine e origine della famiglia cristiana». Tuttavia, afferma il Pontefice, una riforma era necessaria per «l’enorme numero di fedeli» che lamentano la lentezza e la macchinosità dei processi canonici.
Anche il Sinodo straordinario aveva chiesto in questa materia «processi più rapidi ed accessibili». Il Papa risponde con «disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio».
Il processo non diventa amministrativo come qualcuno al Sinodo aveva chiesto: rimane giudiziario, ma è snellito con alcune riforme. Per la dichiarazione di nullità del matrimonio, e dunque la possibilità dei coniugi di accedere a nuove nozze, non sarà più necessaria la cosiddetta sentenza «doppia conforme», ma sarà sufficiente, in assenza di appello, una decisione di primo grado. Si insiste che il vescovo è il vero giudice di queste cause, e si auspica che nelle grandi come nelle piccole diocesi i vescovi trovino tempi e modi di intervenire personalmente, potendo comunque delegare la sua funzione a un giudice unico.
È introdotta una forma di processo breve per i casi in cui la nullità del matrimonio appare «sostenuta da argomenti particolarmente evidenti». Si riforma anche il sistema degli appelli, ripristinando quello al vescovo metropolita come capo della provincia ecclesiastica e mantenendo l’appello alla Rota Romana.
La gratuità della procedura, su cui insistono alcuni primi commenti, era in realtà già stata introdotta da tempo. Più importante è la norma che elenca tra le cause di nullità «la mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso». Si tratta di una questione molto dibattuta, su cui il dibattito era stato aperto da Benedetto XVI nel 2005, nel dialogo a Les Combes con i sacerdoti valdostani. Papa Ratzinger aveva evocato quanti si sono sposati in Chiesa senza essere «veramente credenti», «per tradizione» o per la bella cerimonia.
Questi matrimoni sono nulli? «Io personalmente lo pensavo», confidava allora Benedetto XVI, ma i canonisti lo avevano convinto a prendere tempo per approfondire il problema. Nelle udienze annuali alla Rota Romana del 2011 e del 2013 Papa Ratzinger aveva insistito perché si studiasse la possibilità di studiare la relazione fra mancanza di fede dei coniugi e nullità del matrimonio, senza «alcun facile automatismo».
Dieci anni dopo il discorso di Les Combes, Papa Francesco ha deciso di aprire alla nullità del matrimonio per mancanza di fede, in effetti senza automatismi perché la carenza di fede può determinare la nullità ma non la causa automaticamente.
La svolta era partita da Benedetto XVI. Rivolgendosi alla Rota Romana nel 2011, l’attuale Pontefice emerito aveva lasciato intendere che molti matrimoni finiscono male perché cominciano male. Finiscono annullati perché non avrebbero mai dovuto essere celebrati in chiesa.
Non c’è nessun «diritto al matrimonio in chiesa», affermava allora Benedetto XVI, e i parroci non dovrebbero dare per «scontata» l’ammissione al matrimonio religioso di chiunque lo chieda, anche se palesemente non crede in Dio, non frequenta i sacramenti e non condivide la visione che la Chiesa Cattolica ha del matrimonio. Si dirà che Papa Francesco, nonostante ribadisca con forza la dottrina del matrimonio indissolubile, di fatto rende più facili gli annullamenti.
I tribunali ecclesiastici hanno però lo scopo di constatare, non di inventare la nullità. Ci si può chiedere se non siano in aumento non gli annullamenti, ma i matrimoni nulli contratti da chi va a sposarsi in chiesa «per la cerimonia», senza credere nel matrimonio cattolico. I vescovi che si rallegrano perché nelle loro diocesi la maggioranza si sposa ancora in chiesa dovrebbero chiedersi se un buon numero di questi matrimoni non nascano, in effetti, già nulli.
E la riforma di Francesco va in una direzione che Benedetto XVI aveva adombrato. È bene che in chiesa si sposi chi ci crede: non chi apprezza solo la musica, i fiori e il bel contesto.