Da più parti e secondo diversi articoli pubblicati dai principali mezzi di comunicazione di massa vi sarebbe in Italia un vasto numero di medici e personale medico favorevole all’eutanasia e che addirittura la praticherebbe clandestinamente. Ma le cose non stanno esattamente così.
In pratica era stato sottoposto loro un questionario tecnico molto particolareggiato – oltre 100 domande -, cui aveva risposto l’87% delle persone. Nel marzo del 2006, invece, l’Associazione Luca Coscioni ha presentato un documento con la firma di trenta medici italiani che chiedono al Parlamento italiano e all’Ordine dei Medici di seguire la “via olandese” per l’eutanasia.
Ma è proprio vero che i medici italiani sono favorevoli all’eutanasia? ZENIT lo ha chiesto al neonatologo Carlo Valerio Bellieni Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario “Le Scotte” di Siena.
Cosa ne pensa delle dichiarazioni che affermano un generale consenso dei medici italiani all’eutanasia?
Bellieni: L’appoggio dei medici italiani all’eutanasia è uno dei miti che la stampa “forte” fa passare oggi, ma che non corrisponde a realtà. Recenti ricerche mostrano come, invece, i sentimenti dei medici italiani siano di ben altra natura, e i dati lo dimostrano.
L’Italia è il Paese europeo in cui si registra la maggior percentuale in assoluto di medici che rianimerebbero un bambino di 24 settimane di gestazione sapendo di non poter sospendere le cure in un secondo momento (J Pediatrics, 2000) e la minore di quelli che pensano che la vita con un handicap sia peggio della morte (JAMA, 2000) o che dichiarano di aver sospeso le cure a un neonato (Lancet, 2000).
In Italia neanche il 10% dei medici si dichiara a favore dell’eutanasia o ammette di essere stato coinvolto in una decisione di eutanasia attiva (Arch Dis Child, 2004) (è il 2% per il Lancet del 2000). E’ così chiara l’avversione dei medici italiani all’eutanasia che viene da chiedersi da dove nasca questa polemica; e se quanto avviene in altri Stati sia un “progresso positivo” o una deriva pericolosa. Sta per uscire un libro dal significativo titolo: “La morte dell’eutanasia” (SEF Ed.) in cui diciotto medici italiani sostengono che troppo spesso si ha un atteggiamento fobico di fronte all’handicap e alla morte che sono visti solo come una fatale sconfitta, come disastro, e non come un fattore della vita, da combattere con forza, ma mai da censurare.
Non è così?
Bellieni: Questi medici usano il termine “handifobia” per indicare un atteggiamento, da cui loro (psichiatri, pediatri, geriatri) mettono in guardia: la salute non è un “pieno benessere psicofisico” (che in realtà non possiede nessuno), la cui assenza indica fallimento e richiesta di morte. Il testo spiega come troppo spesso l’eutanasia viene richiesta quando non viene trattato “bene” il dolore fisico e mentale e come nel bambino questo sia addirittura presunto, dato che non può esprimersi.
Come talvolta la morte sia richiesta non nell’interesse del paziente, ma dei parenti o per un pregiudizio medico che non è neanche arrivato ad avere una prognosi definitiva. Significativo è che nella primavera del 2006 oltre 300 specialisti ginecologi e pediatri italiani si siano dichiarati a favore di un atteggiamento di cura dei piccoli prematuri, spesso con un futuro di malattie, e contro il negar loro le cure, che non vuol dire accanirsi, ma non cedere finché c’è una ragionevole speranza.
Dove sono dunque questi medici italiani a favore dell’eutanasia?
Bellieni: Ci sono, certo, ma c’è un problema serio alla base, che vediamo nelle corsie tutti i giorni: una mentalità che porta a concepire l’altro come un prodotto (“se è rotto, non serve più”), e la guarigione come una pretesa (curare si deve, ma chi spiega che non tutto è possibile?). Da tutto questo può nascere il desiderio di “arrendersi”: si parte da un accanimento diagnostico prenatale alla ricerca del figlio “perfetto” per arrivare ad un accanimento terapeutico post-natale fatto di paura di possibili ritorsioni, che ha come altra faccia un dis-accanimento, un cedere le armi improprio.
Alla base sta una nuova religione, quella della “qualità della vita”: un insuccesso, una malattia, la sofferenza fanno diventare la vita non solo “dura”, ma “indegna di essere vissuta”. Esistono in Italia tanti esempi di chi cura con passione i pazienti che per altri sono solo “oggetti” o, con termine odioso “vegetali”; esistono esempi di cura innovativa per il dolore, di psichiatri che si prodigano giorno e notte. Ma fa solo notizia l’eutanasia: la scappatoia che sottrae la speranza invece di curare.