ROMA _ Si moltiplicano i dubbi dei medici italiani sul fronte del testamento biologico. A queste perplessità dà voce l’Associazione “Scienza & Vita”, con una serie di interviste pubblicata nella newsletter n° 6 del 18 settembre 2007.
Per approfondire un tema di così scottante attualità, ZENIT ha intervistato Marina Casini, ricercatrice presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, che, insieme a Maria Luisa di Pietr, Presidente dell’Associazione “Scienza & Vita” e a Carlo Casini, membro della Pontificia Accademia per la Vita e Presidente del Movimento per la Vita Italiano, ha scritto e pubblicato il libro “Testamento biologico, quale autodeterminazione?” (Società Editrice Fiorentina 2007).
Perché questo libro?
Marina Casini: Gli obiettivi sono vari, la motivazione più profonda è quella collegata a chiarire la sfida della questione antropologica, che è poi una maniera nuova, adeguata e appassionante di porre la questione della difesa della vita.
Sfida che è partita 30 anni fa con la legge per l’aborto, diffuso non solo chirurgicamente ma anche in forme mediche e farmacologiche, e poi la procreazione artificiale e la proposta di forme contraffatte di eutanasia. Questa sfida ci porta sulle frontiere estreme dell’esistenza, e sono quelle della vita che termina e che soffre.
Con questo libro intendiamo riflettere e rispondere ai temi della vita che soffre e che termina declinando il più possibile la dignità umana in tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Riflettere anche per intervenire in un dibattito che è in corso e che avrà spinte sempre più intense a partire dalla riapertura dei lavori parlamentari.
Inoltre intendiamo fornire uno strumento di battaglia a quanti vorranno partecipare e intervenire, fornendo le risposte alle domande più comuni quali: Cos’è il testamento biologico? Quali interessi dovrebbe tutelare? Cosa si intende per accanimento terapeutico? Cos’è la libertà di cura? Perché non serve il testamento biologico? Cosa sono e come si accede alle cure palliative? ecc.
Al di là delle questioni medico-giuridiche mi sembra di capire che il dibattito verta su quale concezione di umanità possa prevalere nella società. Se prevarrà quella utilitarista si praticheranno sempre più forme contraffatte di eutanasia, se prevarrà invece quella della persona, la cura della persona prevarrà sulla morte.
Marina Casini: Proprio così. Dietro a quelli che sembrano problemi tecnici e giuridici rimane a monte la questione di quale è la concezione dell’individuo, e cioè il rapporto individuo-società. Quando in questo campo si fa leva su una autodeterminazione sovrana, padrona assoluta, si dà una visione assolutamente riduttiva dell’uomo, perché si riduce l’essere umano alla nuda volontà, ma la persona è molto di più della sua semplice volontà.
E’ evidente che le volontà individuali risentono inevitabilmente di ciò che le sta intorno. Una società che vede diffusa una mentalità in cui i malati, i poveri, gli anziani, i disabili, i morenti, sono un peso e costano è chiaro che cercherà di esercitare una pressione sociale che rischia di non rendere libere le persone ma di costringerle psicologicamente a volersene andare. Se si favorisce il senso di abbandono, di solitudine, di disperazione, è chiaro che l’individuo è spinto ad abbandonarsi a perdersi.
L’ultimo baluardo contro questa deriva è quello della dignità umana, cioè del valore della pienezza del senso della vita. La dignità umana non sta solo dentro di noi, ma sta anche nello sguardo che l’altro posa su di noi. A questo proposito abbiamo scritto nel libro una frase che abbiamo trovato in un diario nell’Hospice ospedaliero di Forlimpopoli: “Si può dimenticare il degrado del proprio corpo se lo sguardo degli altri è pieno di tenerezza”.
Si tratta di una frase che nasce da un vissuto esperienziale che ci ricorda che noi dobbiamo garantire il diritto alla salute e non il diritto alla morte.