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Nella nostra epoca di falso pacifismo, dal momento che l’Occidente decadente preferisce vivere in pace con assassini e tiranni piuttosto che con Dio, il lamento dei perseguitati turba la quiete degli uomini d’affari e l’attività dei diplomatici.
Per questo la persecuzione religiosa viene soffocata nel silenzio. Forse nessuno dei nostri contemporanei ha sofferto tanto per questo scandalo come il Cardinale Mindszenty. E’ stato condotto per una Via Crucis che finora pochi altri hanno dovuto percorrere.
Egli l’ha percorsa con fedeltà esemplare, senza odio verso i suoi persecutori, ma anche senza cedimenti laddove il compromesso o la fuga avrebbero potuto rendergli più facile la vita. Ha seguito fedelmente il Signore. Poiché là dove era Cristo, doveva essere anche il Suo servo.
La sua durissima prigionia ebbe termine soltanto nel 1956, quando il popolo ungherese prese le armi per combattere contro l invasore sovietico: liberando, primo tra tutti gli ungheresi in catene, l’arcivescovo di Eszertgom e Principe Primate. La sua autobiografia mette in evidenza come il Cardinale Mindszenty abbia sofferto non solo per l’odio dei nemici di Dio, ma anche per la durezza di cuore di falsi fratelli e per gli errori di amici ben intenzionati.