12 Ottobre 2019
di Luciano Garibaldi
Anche se Luigi XVI non fu l’unico Re condannato a morte e giustiziato in seguito ad una rivoluzione o ad una guerra civile tra i propri sudditi, la sua tragedia resta pur sempre determinante per tutti i successivi sviluppi della storia contemporanea, fino ai nostri giorni.
La sua morte pose fine alla divisione millenaria tra nobili e plebei. Fu in quella circostanza che nacque la divisione politica tra Destra e Sinistra: una muraglia che ha resistito più di due secoli ma che ora, se Dio vuole, sta presentando più di una crepa. Il processo al Re di Francia ebbe inizio l’11 dicembre 1792, a Parigi, dinnanzi alla Convenzione, ossia il Parlamento unito, costituitosi appena tre mesi prima e formato da settecento rappresentanti del popolo. Presidente Bertrand Barère.
Dopo aver regnato per diciotto anni, ora Re Luigi XVI era semplicemente «le citoyen Louis Capet», il cittadino Luigi Capeto, «responsabile – così l’atto d’accusa – di avere distrutto la libertà del popolo francese».
Tra i capi d’imputazione: avere ordinato alle truppe di marciare su Parigi dopo il 14 luglio 1789 (presa della Bastiglia); essere responsabile dell’«orgia del 3 ottobre 1789», con l’incendio dei tricolori; essere fuggito a Varennes il 20 giugno 1791; avere ordinato la strage del 10 agosto ’91; avere protetto i preti refrattari; avere autorizzato il massacro di Campo di Marte.
Luigi XVI si presentò alla Convenzione con una redingote nocciola e un gilet bianco. Aveva una barba lunga di parecchi giorni perché in cella gli era stato impedito di usare il rasoio. Gli occhi miopi faticavano a vedere senza occhiali, dei quali pure era stato privato.
Dopo avere risposto a tutte le accuse con calma e sicurezza, il Re tenne a dichiarare: «Non ho mai temuto che la mia condotta fosse esaminata pubblicamente», e chiese di avere un avvocato difensore. La richiesta fu accolta e alla seconda udienza, fissata per il 26 dicembre, si presentò l’avvocato Raymond de Sèze, che parlò per tre ore, a più riprese interrotto dalle contestazioni e dalle urla provenienti dai «montagnard» e in particolare da Danton e Robespierre.
«L’imputato», esclamò ad un certo punto De Sèze, «non gode dei diritti di un semplice cittadino francese. Cerco tra voi dei giudici, ma non vedo che accusatori. Non solo gli avete tolto le prerogative del Re, che consistono nella inviolabilità della persona reale, ma non gli consentite neppure i più elementari diritti del cittadino».
Al termine della faticosa arringa, l’avvocato così concluse: «Io mi fermo di fronte alla storia. Essa giudicherà la vostra sentenza e il suo sarà il giudizio dei secoli!». Riportato in cella, Luigi XVI scrisse il suo testamento raccomandando al figlio di non odiare e non lasciarsi condizionare dalla sorte del padre.
Il 4 gennaio del ’93 ebbe luogo la terza udienza, nel corso della quale si verificarono forti contrasti tra i deputati. I Girondini, pur di non macchiarsi dell’onta di regicidio, avevano proposto un appello al popolo: un referendum per decidere la sorte del sovrano.
Ma Robespierre si era opposto con grinta e con rabbia: «La clemenza che si accoppia alla tirannia è barbarie!». E aveva aggiunto: «Lasciar decidere al popolo significa sostituire il dispotismo con l’anarchia!». Anticipazione perfetta del bolscevismo, ideologia inconciliabile con il concetto stesso di democrazia.
Fu Barère a troncare la discussione con la celebre frase: «Il potere sovrano spetta alla Convenzione e non può essere assegnato al popolo». Dopodiché si giunse al voto.
Anche se pochi libri di testo lo ricordano, la Sinistra nacque di fatto a Parigi la sera del 20 gennaio 1793, quando il presidente della Convenzione, al termine del processo contro il re Luigi XVI, invitò i favorevoli alla condanna a morte a schierarsi «à la gauche», a sinistra, del salone, e chi invece intendeva salvare la vita di Luigi Capeto, «à droite», a destra.
Ci fu un momento di confusione. Molti esitavano, non sapevano dove collocarsi. Non avevano capito quale era la destra e quale la sinistra del grande salone. Quando la confusione si fu un po’ calmata, Barère dovette procedere all’appello uninominale, perché i due gruppi del Parlamento, quello a sinistra e quello a destra, potevano sembrare numericamente equivalenti.
Il risultato fu: 380 favorevoli all’esecuzione capitale, 310 contrari. La mattina seguente, 21 gennaio 1793, alle 10,22, la testa del Re veniva troncata dalla ghigliottina. Moriva il Re, nasceva la Sinistra. Con una contraddizione che stava alla base stessa del sogno di quella Sinistra.
Quando infatti i giacobini gridavano «libérté, égalité, fraternité», non consideravano una realtà di fondo: è impossibile conciliare la libertà con l’uguaglianza. E’ un concetto che confligge con la natura umana. Se c’è libertà (di arricchirsi, di fare fortuna, di avere fortuna), non può esserci uguaglianza. C’è chi diventerà ricco, e c’è chi rimarrà povero. Semmai, solo la fratellanza, lo spirito di fratellanza, può attenuare l’ambizione e l’egoismo connaturati nell’uomo. Ma allora si lascia la politica e si entra nell’etica.