Cultura&Identità. Rivista di studi conservatori Anno VIII –
n. 14, 18 dicembre 2016
Uno “spiritoso”, ma altrettanto ricco di saggezza, scritto di sapore chestertoniano, sull’arte del bere del noto docente di patristica americano
di Michael P. Foley*
Nel periodo in cui raccoglievo materiali per il mio libro Drinking with the Saints, la mia ricerca puntava soprattutto a individuare bevande da raccomandare in occasione di determinate feste dell’anno liturgico. Non mi sarei aspettato di rintracciare anche una lezione su come bere. Tale lezione può essere distillata in cinque punti chiave. Per bere come un santo — cioè, per gustare bevande alcoliche in modo consono al piano di Dio — bisogna bere…
1. …con moderazione
La moderazione non solo è l’unica condotta moralmente responsabile, ma anche quella che dà più diletto. Se gli antichi epicurei moderavano i propri appetiti, non lo facevano in quanto dediti alla virtù, ma perché inclini alla massimizzazione del piacere fisico. Erano, infatti, ben consapevoli che ogni eccesso avrebbe loro sottratto parte del godimento carnale che perseguivano. I cristiani possono lecitamente fare tesoro di questa intuizione, perché Dio vuole che il creato sia per noi fonte di diletto.
La moderazione nel bere è importante anche perché giova alla salute; questa è la ragione per cui, storicamente, la Chiesa ha sempre tollerato e finanche promosso il consumo di bevande alcoliche: si pensi per esempio agli ordini religiosi medievali e alla loro produzione di birra, vino, whisky e altri distillati. Nel Medioevo e non solo, l’alcol veniva impiegato per purificare l’acqua contaminata; bevande alcoliche ne facevano da rimpiazzo e, in taluni casi, erano considerate terapeutiche contro vari malanni. Persino ai nostri giorni, quando i monaci certosini nella Grande Chartreuse — che si trova sulle alture delle ventose alpi francesi — prendono un raffreddore, usano come rimedio un cucchiaio del loro delizioso liquore alle erbe, la Chartreuse.
Infine, la moderazione è il metodo chiave per favorire l’amicizia. Bere giusto quanto basta per rilassare la lingua — ma non tanto da perderne il controllo — incentiva la buona conversazione e lo spirito di squadra. Come si espresse Ogden Nash (1902-1971) nel suo epigramma Reflections on Icebreaking (Riflessioni su come rompere il ghiaccio), «i dolci vanno bene, ma il liquore fa più alla svelta» (1) .
2. …con gratitudine
La moderazione è anche espressione di gratitudine a Dio per la bontà dell’uva e del grano. Chesterton diceva: «Dovremmo ringraziare Dio per la birra e il Borgogna non bevendone a dismisura» (2). La gratitudine è una virtù assai trascurata ai nostri giorni; poiché tendiamo a concentrarci molto sui nostri diritti e privilegi e molto meno su quello che dobbiamo agli altri. Del resto, alcuni filosofi moderni — Immanuel Kant (1724-1804), per esempio — valutano la gratitudine negativamente in quanto, suggerendo che noi si sia in debito con qualcun altro, minerebbe la nostra autonomia.
Per il cattolico, tuttavia, è una gioia rendere grazie a Dio che ci ha creati, santificati e redenti, così come è una gioia riconoscere la sua benignità in tutti i beni che ci circondano, inclusi quelli nei nostri bicchieri (3). Si noti la gratitudine che fermenta in questa affermazione di sant’Arnolfo di Metz (582-641), santo patrono dei produttori di birra: “Grazie al sudore dell’uomo e all’amore di Dio, la birra fece il suo ingresso nel mondo”.
3. …con memoria
La pietà cattolica trova il suo centro nell’Eucaristia, parola che significa “rendere grazie”. Da qui deriva quell’atteggiamento di gratitudine che permea tutti gli aspetti della vita cattolica. L’Eucaristia è anche un memoriale nel quale il comando “Fate questo in memoria di Me” trova compimento. La gratitudine richiede memoria, e più precisamente, memoria dei beni che abbiamo ricevuto senza averli meritati.
Una delle differenze fondamentali fra una consumazione di alcolici salutare e una dannosa riguarda le motivazioni del bevitore, e cioè se questi beve per ricordare o per dimenticare. Si consideri la differenza fra l’atto di bere a uno sposalizio veramente nobile e buono e la bevuta che spesso ha luogo in un bar. Diverse generazioni convengono a una festa nuziale per celebrare le trionfanti e onorevoli nozze di un uomo e una donna fedeli l’uno all’altra; si riuniscono per celebrare l’amore di questa nuova coppia che, a Dio piacendo, con il passare degli anni potrà solo crescere, generando nuove creature e ancora più amore. Così facendo, tutti rammentano l’amore ai tempi del proprio matrimonio, di quello dei propri genitori e così via all’indietro. Essi ricordano, quindi, una lunga catena di amore, e a questa alzano i calici.
Si ponga questa immagine in contrasto con quella di un uomo di mezz’età seduto nell’angolo di un bar a bere da solo. È lì a lamentare la propria solitudine, un lavoro senza sbocchi e la giovinezza perduta. L’uomo ordina da bere, un giro dopo l’altro, non per ricordare cose buone ma per obliare quelle cattive. È un modo di fare molto lontano dalla bella arte cattolica del bere con gusto.
4. …con gioia
Un ulteriore modo per individuare le differenze tra il bere salutare e quello dannoso è quello di riflettere sulle nozioni di divertimento e di gioia (4). La prima implica una forma d’intrattenimento perlopiù superficiale, anche se non necessariamente cattiva, e di cui si può fruire anche stando soli. Forse un ragazzo si divertirebbe di più giocando ai videogame con i suoi amici, ma non è escluso che possa divertirsi anche giocando da solo.
La gioia, al contrario, ha bisogno della compagnia. Gli uomini, solitamente, non fanno festa da soli in una stanza; lo fanno, piuttosto, a un festival oppure a un magnifico banchetto. A mio giudizio, la gioia festosa presuppone una comunità forte e ragioni davvero divine e memorabili per festeggiare: pensate quanto sarebbe assurdo augurare “Felice giorno del segretario amministrativo!” (5). Merry Christmas! — cioè “Gioioso Natale!” — ha ancora un significato teologico, e non solo perché viene menzionata la Messa di Cristo (6). Quando a qualcuno auguriamo di essere gioioso nel giorno della nascita di Nostro Signore, speriamo che tale giorno abbia in serbo per lui qualcosa di più che il semplice divertimento.
Certamente, tutto ciò comporta dei rischi: in inglese c’è un termine obsoleto, “merry-drunk”, “felice ebbro”, che si commenta da sola. Come suggerisce, tuttavia, Josef Pieper (1904-1997) in Sintonia con il mondo: una teoria della festa, tutte le festività contengono un «naturale pericolo e la possibilità di degenerazione» (7), perché tutte le festività si portano dietro un elemento di esorbitanza. Ma proprio come l’esorbitanza non implica necessariamente la degenerazione, così anche la gioia bagnata non implica necessariamente l’annegamento.
5. …con ritualità
Il libro di Pieper richiama alla mente un altro aspetto della gioia: il rito. Egli arriva a dire che «la festa cultuale è la forma più festiva della festa» (8). Come mai? Perché la vera gioia festosa non può esistere in assenza di Dio e di una tradizione di festeggiamenti che implichino un rendimento di lode e un sacrificio cultuali. Senza un rituale religioso, conclude Pieper, una festa non diventa una “festività profana” ma qualcosa di peggio: una occasione forzata e artificiale, che non può non trasformarsi in una «nuova e più faticosa forma di lavoro» (9).
Noi, pii bevitori, possiamo appropriarci della saggezza di Pieper con due semplici pratiche. Innanzitutto, la nostra celebrazione deve essere ancorata all’anno liturgico, quella grandiosa narrativa ricorrente dei misteri di Cristo e dei suoi santi.
La liturgia cattolica — scrive Pieper — «[…] non è altro che “l’immenso e illimitato dire sì e amen” […] all’intera esistenza» (10), e ogni ricorrenza di un santo è sia la celebrazione del fatto che quel santo abbia detto sì a Dio, sia un invito per noi a fare lo stesso.
In secondo luogo, ci dovrebbe essere una componente rituale, per quanto umile, in ogni celebrazione. Quello di più facile realizzazione è il rituale del brindisi, un gesto antico quasi quanto il bere e dalle profonde radici religiose. In origine, la “libazione” consisteva, oltre al pronunciare invocazioni alla divinità, nell’offrire agli dei il primo sorso della propria bevanda. Secondo alcune fonti, l’abitudine di avvicinare i bicchieri è un’invenzione cristiana, poiché il loro tintinnio evoca il suono capace di allontanare i demoni delle campane della chiesa. Noi cattolici dovremmo essere “brindatori” di natura, poiché abbiamo tale rituale nel nostro DNA: riconosciamo che il rispetto delle forme non subentra alla spontaneità o alla gioia, piuttosto le completa, le indirizza e le arricchisce. L’universale desiderio di brindare alla salute di qualcuno trova nuovo significato nell’alta aspirazione cristiana a molto più che una mera assenza di malanni fisici. Basta un brindisi per fare di un amorfo stare insieme un avvenimento che potrebbe persino diventare sacro.
Nella stessa opera Josef Pieper cita in positivo un aforisma di Friedrich Nietzsche (1844-1900): «L’abilità non sta tanto nell’organizzare una festa, ma piuttosto nel trovare coloro che si rallegrino in essa» (11). Vivendo i tempi del nichilismo post-moderno, la domanda non è più se i cristiani possano bere in allegria, quanto invece se siano gli unici rimasti capaci di farlo.
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* Professore Associato di Patristica presso l’Honor College della Baylor University (università privata di ispirazione battista di Waco, Texas). È l’autore del fortunato Drinking with the Saints. The Sinner’s Guide to a Holy Happy Hour (Regnery History, Washington, D.C.) del 2015, un libro scritto in stile chestertoniano che, per ogni giorno del calendario, suggerisce un vino, una birra, un cocktail, un liquore “coerente” con la festa liturgica o al santo del giorno… L’articolo è la traduzione redazionale di How to Drink Like a Saint, apparso in Crisis magazine. A Voice for the Faithful Catholic Laity, del 12 maggio 2015; alla pagina http://www.crisismagazine.com/2015/how-to-drink-likea-sain
1) «Candy / Is Dandy / But liquor / Is quicker» (Ogden Nash, Reflections on Ice-breaking, in Idem, The Selected Verse of Ogden Nash, Random House, New York 1945, p. 44).
2) Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia, trad. it., Lindau, Torino 2010, p. 90.
3) «L’acqua dà alla terra la fertilità: è il dono fondamentale, che rende possibile la vita. Il vino invece esprime la squisitezza della creazione, ci dona la festa nella quale oltrepassiamo i limiti del quotidiano: il vino “allieta il cuore”. Così il vino e con esso la vite sono diventati immagine anche del dono dell’amore, nel quale possiamo fare qualche esperienza del sapore del Divino» (Benedetto XVI, Omelia in occasione dell’apertura dell’XI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, del 2 ottobre 2005).
4) “Fun” e “merriment”, nel testo originale. A differenza di quella cui allude il vocabolo “joy”, la gioia del vocabolo “merriment” è inscindibile da un’allegria esuberante, dal buonumore festoso (ndt).
5) L’Administrative Professionals’ Day è una ricorrenza civile in vigore in vari Paesi del mondo. Negli Stati Uniti, dal 1955 al 1981 — anno in cui è stata sostituita da un’Administrative Professionals’ Week — era fissata per il mercoledì dell’ultima settimana che cade interamente nel mese di aprile.
6) Il vocabolo “Christmas” — che in inglese designa il Natale — deriva da Christ’s Mass, letteralmente “Messa di Cristo”.
7) Josef Pieper, Sintonia con il mondo: una teoria della festa, trad. it., Cantagalli, Siena 2010, p. 36.
8) Ibid., p. 51.
9) Ibid., p. 54.
10) Ibid., pp. 43-44. La citazione interna è tratta dal capitolo Prima che il sole ascenda di di Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, trad. it., in Opere, vol. V, t. 1, Adelphi, Mi- lano 1968, pp. 200-201.
11) Idem, Aufzeichnungen aus den Jahren 1875-1879, cit. in J. Pieper, op. cit., p. 29.