di Giovanni Guaita
NOTE
2) Cf. Ju.G. Barsegov, Genocid armjan-prestuplenie po mezdunarodnomu pravu, Moskva 2000, pp.17-22. Questo specialista di diritto internazionale suddivide i quasi cinque decenni in cui si svolsero le azioni che rientrano nella definizione giuridica di questo delitto in due periodi: dal 1876 al 1914 oggetto di stragi furono gli armeni delle zone in cui costituivano la maggioranza della popolazione; il 24 aprile 1915 cominciò la seconda fase del genocidio (1915-1923), in cui le stragi furono estese a tutti gli armeni abitanti nell’impero ottomano e anche fuori da esso. Inoltre, anche nei cinque secoli che precedettero le stragi sistematiche, l’impero ottomano svolse nei confronti della popolazione armena (e di altre comunità etniche o religiose minoritarie) una politica “pregenocidiaria”, di abusi, limitazioni, violazioni dei diritti di ogni genere. Lo stesso vale per la Turchia moderna e l’Azeibargian, ancora oggi fautori di una politica “postgenocidiaria”. Della politica “pregenocidiaria” delle autorità ottomane parla anche il maggiore specialista del genocidio, V. Dadrian, in The History of the Armenian Genocide, cit, sopratutto nella quarta parte di tale lavoro: «The Inauguration of a Proto-Genocidal Policy» (pp. 111-176). Lo storico A.Ajvazjan ritiene che la decisione di annientare completamente il popolo armeno sia stata presa dal governo ottomano già nel XVIII secolo (cf. AM Aivazin, The Armenian Rebellion of the 1720s and the Thread of Genocidial Reprisal, Yerevan 1997, p. 461. Contraria la posizione dello studioso italiano Aldo Ferrari che sostiene che nell’impero ottomano le condizioni di vita del millet armeno erano nel complesso soddisfacenti e peggiorarono solo verso la metà del XIX secolo soprattutto per via della nascita del movimento di liberazione armeno. Ferrari non vede nelle stragi perpetrate da Abdul-Hamid alla fine del secolo l’inizio della realizzazione di un piano avente per fine il totale annientamento degli armeni e limita il genocidio in senso stretto al 1915 (cf. A. Ferrari, La Turchia e il genocidio dei popolo armeno. Un problema storiografico?, in Id., L’Ararat e la gru. Studi sulla storia e la cultura degli armeni, Milano 2003, pp. 227-2371.
3) Recentemente Raymond Kévorkian, direttore della biblioteca Nubarian del-l’UGAB (Union Generale Arménienne de Bienfaisance) di Parigi, ha mostrato che, a partire dall’agosto 1916, Dfemal-pasha, che comandava la IV armata sul fronte Siria-Libano-Palesiina, cercò di salvare dalla morte 130.000 armeni deportati in regioni desertiche di questa zona. Questi avrebbero dovuto essere trasferiti a Beirut e in altre località della costa siriana ad opera dell’ufficiale circasso Hassan Amdja Bey, che a tal fine ricevette pieni poteri da Djemal. Hassan Bey si diede da fare con gran coraggio e intraprendenza per alleviare le sofferenze dei deportati e dar loro in primo luogo un’assistenza medica. Tuttavia, scontratesi con la diffidenza e l’incomprensione dei suoi stessi subalterni, che vedevano in ogni forma di soccorso agli armeni un tradimento della patria, non riuscì a organizzare il trasferimento e infine, denunciato a Talaat, fu sollevato dall’incarico. Nel 1919 Hassan Amdja Bey pubblicò a Istanbul quattro articoli che raccontavano la storia della sua impresa; ma la reazione violenta dell’opinione pubblica, che non voleva sentir parlare della deportazione degli armeni, lo costrinse a sospendere la pubblicazione. Quanto a Djemal, nel 1916 egli cercò di salvare gli armeni per puro calcolo politico. Essendo in quel momento in contrasto con Talaat, Enver e il Comitato Unione e Progresso, egli mirava a regnare su un «sultanato del Medio Oriente» comprendente Siria, Palestina, Armenia, Mesopotamia, Arabia, Cilicia e Kurdistan. A tale scopo, attraverso l’armeno dashnag di Mosca Hagop Zavriew e il celebre diplomatico armeno egiziano Boghos Nubar, egli aveva intrecciato rapporti con ambienti diplomatici russi, francesi e inglesi. In cambio del sultanato in Medioriente, Djemal si impegnava davanti alle potenze dell’Intesa a combattere i «Giovani Turchi»¯ e salvare la popolazione armena. Il trasferimento degli armeni, famosi per la laboriosità e l’intraprendenza nei commerci (e che erano già stati islamizzati e turchizzati), aveva inoltre lo scopo di favorire lo sviluppo economico della zona di cui contava di diventare sultano. La fine dell’impero zarista, le vicende alterne della guerra, il mutare della questione armena nella politica delle grandi potenze, e le mire espansionistiche di queste determinarono il dissolvimento di tale progetto (cf. R. Kévorkian, Lextermination des déportés arméniens dans les camps de cancentration de Syrie-Mesapotamie (1915-1916), in «Revue d’histoire arménienne contemporaine», Tome II, Paris 1998).
4) Su questo si veda p.e. l’opinione dello storico turco indipendente Taner Akçam (T. Akçam, The Decision of a Genocide in the Light of the Ottoman-Turkish Documents, in Id., Dialogue across an International Divide: Essays Towards a Turkish-Amenian Dialogue, Toronto 2001, pp. 43-73).
5) Di alcuni casi di disobbedienza di funzionari turchi agli ordini del governo testimonia anche A. Mandel’štam, funzionario dell’ambasciata russa a Costantinopoli dal 1898 al 1914 (cf. A. Mandel’štam, La Société des Nations et les Puissances devant le probléme arménien, Paris 1925).
6) Cf. A. Andonian, The Memoirs of Naim Bey, London 1920.
7) Su Naim Sefa cf. anche F. Amabile – M. Tosatti, I baroni di Aleppo, Roma 1998, pp. 59-65; B.L. Zekiyan, Il caso di Naim Bey, Conferenza Galleria Mirzakhanian 1998; B.L. Zekiyan, Riflessioni sulla trasposizione semantica del concetto di “Giusto” nel contesto del “Mftz Yeghern” armeno, in AAVV, Si può sempre dire un si o un no: i Giusti contro i Genocidi degli Armeni e degli Ebrei, Atti del Convegno, Padova, 30 novembre-2 dicembre 2000, Padova 2001, pp. 240-246.
8) Cf. a questo riguardo, oltre al già citato libro di P. Kuciukian (Voci nel deserto), A. Arslan, Volti del “Giusto” nella cultura armena, in AAVV., Si può sempre dire un sì o un no, cit., pp. 29-40; R.H. K‚Vorkian, Per una tipologia dei “Giusti’ nell’impero ottomano di fronte al genocidio degli armeni, in ibid.,pp. 67-78; B.L. Zekiyan, Riflessioni sulla trasposizione semantica del concetto di “Giusto’ nel contesto del “Metz Yeghern” armeno, cit., pp. 211-246.
9) Cf. V.N. Dadrian, German Responsibility in the Armenian Genocide: A Review of the Hstorical Evidence of German Complicity, Blue Grane Books, 1996, e in russo L.M. Vorob’eva, Tragedija armjamkogo naroda: stranicy istorii, nella pubblicazione a cura dell’Istituto Russo di Studi Strategici Armenija: problemy nezavisimogo razvitija, Moskva 1998, pp. 167-218; cf, anche U. Trumpener, Germany and the Ottoman Empire, 1914-1918, Princeton 1978. Sulle responsabilità dell’impero austroungarico cf. W. Bihl, Beziehungen Osterreich-Ungarns zum Osmanischen Reich, Wien 1982; A. Ohandjanian, Die Armenische Frage und die Ralle àsterreich-Ungarns und Deutschelands, Yerewan 2001.
10) Un esempio è costituito dal ridottissimo popolo Hemsinli, il cui dialetto armeno è stato studiato da G. Dumézil (cf. «Revue des Études Arméniennes», II, 1965 e XX, 1986/87).
11) Secondo le stime di alcuni storici, degli almeno cinque milioni di cristiani ottomani, nel decennio 1912-1922 ne furono soppressi tre milioni e mezzo.
12) Cf. per esempio A. Riccardi, Un olocausto cristiano nella prima guerra mondiale? I cristiani d’Oriente tra i Giovani Turchi e la Santa Sede, in Id., Mediterraneo. Cristianesimo e islam tra coabitazione e conflitto, Milano 1997, pp. IDI-145, e M. Impagliazzo, Una finestra sul massacro. Documenti inediti sulla strage degli armeni (1915-1916), Milano 2000.
13) I popoli non musulmani sottomessi agli ottomani erano divisi in millet, comunità etnico-religiose, con a capo il patriarca (Patrik), cui lo Stato delegava ampi poteri: riscuoteva le tasse, amministrava la giustizia, rispondeva di tutte le istituzioni nazionali (tra cui anche le scuole), ed era il vero tramite tra l’autorità statale musulmana e la comunità in questione. Così dalla metà del XV secolo il patriarca greco era a capo di tutte le comunità etniche ortodosse, il patriarca armeno a capo di tutti i cristiani precalcedonesi. Gli armeni cattolici e protestanti a partire dal XIX secolo saranno organizzati in millet autonomi.
14) La comunità siriaca, ad esempio, dopo la caduta dei «Giovani Turchi» risulterà ridotta circa a un terzo della sua consistenza prima della guerra; la Chiesa assira ritiene di aver perso il 50% dei propri fedeli con il genocidio.
15) Cf. in merito la testimonianza dello stesso catholicos di tutti gli armeni Karekin I, precedentemente catholicos di Cilicia, nato e vissuto in Medioriente tra gli arabi, nel nostro Che cos’è la felicità? Dialoghi di Giovanni Guaito con il catholicos di Tutti gli Armeni, Milano 2001, pp. J5-37,46-48.
16) Cf. A. Riccardi, Un olocausto cristiano nella prima guerra mondiale?, cit., p. 106, e M. Impagliazzo, Una finestra sul massacro, cit, pp. 36-J8.
17) II telegramma e la risposta (datata dell’indomani, 28 aprile) del Dipartimento di Staio all’ambasciatore russo sono conservati nell’archivio del Diparti-
18) Sulle vicende degli armeni cattolici della città di Mardin, la “capitale cattolica” della Mesopotamia, cf. il testo (del 1916) di padre T. Rhéthoré, domenicano francese, testimone oculare delle stragi, in M. Impagliazzo, Una finestra sul massacro, cit.
19) Numerosi documenti dell’epoca si trovano negli archivi italiani e vaticani. Su questo cf. A. Riccardi, Un olocausto cristiano nella prima guerra mondiale?, cit., pp. 101-145, e M. Impagliazzo, Una finestra sul massacro, cit. Riportiamo una lista di discorsi ufficiali degli ultimi Papi sulle sofferenze degli armeni, che fanno riferimento esplicito o implicito al genocidio: Benedetto XV, Discorso per il Sacro Concistoro (6 dicembre 1915): AAS VII (1915), 510; Lettera ai Governanti dei popoli belligeranti (1 agosto 1917): AAS IX (1917), 419; Pio XI, Discorso al Concistoro per la beatificazione dei venerabili Giovanni Bosco e Cosma da Carboniano (21 aprile 1929): Discorsi il, 64; Lett. enc. Quinquagesimo ante (23 dicembre 19291: JIAS XXI (1929), 712; Pio XII, Discorso a fedeli armeni (13 marzo 1946): Discorsi e messaggi VIII, 5-6; Giovanni Paolo II, Omelia durante la Divina Liturgia in rito ameno (21 novembre 1987), 3: Insegnamenti XS3 (1987), 1177; Discorso per l’apertura della mostra Roma-Armenia (25 marzo 1999), 2: «L’Osservatore Romano», 26 marzo 1999, p. 4; Discorso in occasione della visita di Sua Santità Karekin II (9 novembre 2000); «L’Osservatore Romano», 11 novembre 2000, p, 5. A questa lista va aggiunta la Lettera apostolica in occasione del 1700° Anniversario del Battesimo del Popolo Armeno (del 17 febbraio 2001) e i 7 discorsi pubblici e omelie pronunciati da Giovanni Paolo II in occasione del suo viaggio apostolico in Armenia (dal 25 al 27 settembre 2001), dove quasi dappertutto il papa fa riferimento al genocidio e alle sofferenze degli armeni nel XX secolo.
20) Cf. A. Riccardi, Benedetto XV e la crisi della convivenza multireligiosa dell’impero ottomano, in G. Rumi (ed.), Benedetto XV e la pace 1918, Brescia 1990, pp. 83-128; cf, anche F. Sidari, La questione armena, cit., pp. 87-89.
21) Oltre al già menzionato Lepsìus, che denuncia il suo stesso governo, degno di menzione è l’impegno politico dei protestanti d’America. Cf. in merito le pagine del missionario americano (nativo dell’impero ottomano) Henry Riggs, testimone diretto delle violenze contro gli armeni di Harput: H.H. Riggs, Days of tregedy in Armenia: personal expenences in Harpoot [Knarpert], 1915-1917, Ann Arbor [Mi] 1997. Cf, anche J. Grabill, Protestant Diplomacy and the Near East Missionary Influence on American Policy 1810-1927, University of Minnesota, Minneapolis Minnesota 1971; J.L. Barton – A. Sarafian (edd.), Turkish Atrocities: Statements of American Missionaries on the Destruction of Christian Communities in Ottoman Turkey, 1915-1917 (Armenian Genocide Documentation Series), Gomidas Inst, 1998.
22) Cf. H. Kaiser, Beatrice Robner e l’opera protestante di soccorso ad Aleppo nel 1916, in AA.VV, Si può sempre dire un si o un no, cit., pp. 169-210. Cf. anche M. Jacobsen, Diaries of a Danish Missionary. Harpoot, 1907-1919 (Armenian Genocide Documentation Series, 5), Gomidas Inst, 2001.
23) Il libro, intitolato L’Armenia e il Medio Oriente, in breve tempo fu pubblicato in norvegese, inglese, francese, tedesco e armeno; poi seguirono altre traduzioni. Sull’avventurosissima vita di Nansen segnaliamo la sua biografia, uscita anche in italiano: J. Sorensen, Fridtjof Nansen, Verona 1941.
24) Nansen ha descritto questo viaggio in Armenia nel libro Gjennern Armenia (Attraverso l’Armenia), pubblicato a Oslo nel 1927; due anni più tardi Nansen pubblicò un altro libro, anch’esso risultato del viaggio del 1925: Gjennern, Kaukasus til Volga (Attraverso il Caucaso verso il Volga).
25) Rimandiamo per questo all’intera opera del più grande studioso russo del genocidio degli armeni dal punto di vista giuridico, Jurij Barsegov (cf. Genocid armjan – prestuplenie pò mezdunaradnomu pravu, Moskva 2000, e il già citato Genocid armjan: otvetstvennost Turcii i objazatel’stva mirovogo soobieštva. Dokumenty ì kommentarij, Moskva 2002, di cui finora sono editi il I e il II vol).
26) La Convenzione definisce come genocidio «uccidere, causare seri danni fisici, infliggere deliberatamente condizioni di vita predisposte al fine di arrecare la distruzione fisica, imporre misure di prevenzione delle nascite, trasferire forzatamente i bambini (…) con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, una comunità nazionale, etnica, razziale o religiosa in quanto tale» (riportato da B.L. Zekiyan in Reflections on Genodde. The Armenian Case: a radical negativity and polivalent dynamics, in «Annali di Ca’ Foscari», XXXVII, 3,1998, p. 223).
27) Cf. Ju. Barsegov, Geirodd armjan – prestuplenie pò meždunarodnomu pravu, cit., pp. 7-11.
28) Cm. M.M. Gunter, «Pursuing the Just Cause of Their People»: A Study of Contemporary Armenian Terrorism (Contributions in Political Science), Green-;wood Publishing Group, 1986.
29) I materiali delle sedute sono stati pubblicati interamente a Parigi da Flammarion nello stesso 1984. Cf. Le Crime de silence: le génocide des Arméniens / Tribunal permanent des peuples [Session de Paris, 13-16 avril 1984]; préf. de Pietre Vidal-Naquet [publ, par Gérard Chaliand], Paris 1984.
30) La risoluzione del 18 giugno 1987 del Parlamento Europeo (Doc. A2/33/87 P.E. 1147649] è purtroppo gravemente contraddittoria. Pur riconoscendo il genocidio, essa assolve lo Stato turco dall’assunzione delle responsabilità – contro gli stessi principi di base del diritto internazionale -, in quanto «riconosce però che la Turchia attuale non potrebbe essere ritenuta responsabile del dramma vissuto dagli armeni dell’impero ottomano» (par. 1,2).
31) Cf. A. Krikorian, Dictionnaire de la cause arménienne, Paris 2002, e in russo Ju. Barsegov, Genocid armjan, cit., t. 2.
32) Su questo cf. V.N. Dadrian, The Documentation of the World War I Armenian Massacres in the Proceedìngs of the Turkish Military Tribunal, in «International Journal of Middle East Studies», 23 (1991), pp. 549-576, e T. Akçam, The Decision of a Genocide in the Light of the Ottoman-Turkish Documents, in Id., Dialogue across an International Divide, cit., pp. 43-73.
33) Sulla tipologia del negazionismo turco, cf. lo studio di Yves Ternon, La verità rifiutata. Studio comparativo della negazione della Shoah e della negazione del genocidio armeno, in AA.W., Si può sempre dire un sì o un no, cit., pp. 141-153; Id., Enquĕte sur la négation d’un génocide, Marsille 1989; ld., Du nègationisme: Mémoire et Tabou, Paris 1999; cf. inoltre K.K. Baghdjian, Le problème arménien: du négativisme turc a l’activisme arménien, où est la solution, Montreal 1985. Di estremo interesse l’opinione dell’autorevole storico turco (residente all’estero) Taner Akcam; cf. il suo studio The Genocide of the Armenians and the Silence of the Tarks nel suo libro Dialogue across an International Divide, cit., pp. 79-96.
34) Sottolineato nell’originale.
35) Citiamo entrambi i documenti secondo V. Dadrjan, Genicid armjan: so-deržanie prestuplenija, in «Vestnik Armjanskogo Instituta Prava i Politologii v Moskve», n. 2,2004, p. 42.
36) La crudeltà di tale legge diventa ancora più evidente se si considera che sia il governo di Kemal Ataturk che l’attuale classe dirigente turca hanno fatto loro la spiegazione dei fatti degli anni 1915-1916 data allora dai «Giovani Turchi»: gli armeni non erano stati sterminati, ma solo «trasferiti provvisoriamente in altre regioni». Dando inizio alle deportazioni, i «Giovani Turchi» avevano assicurato che i beni degli armeni sarebbero stati custoditi dallo Stato per poi essere restituiti ai proprietari alla fine della Guerra. Per ingannare l’opinione pubblica mondiale e gli stessi armeni, il governo nel 1915 adottò tre leggi sulla proprietà lasciata dagli armeni, secondo le quali i funzionari statali dovevano inventariare e valutare i beni degli armeni e versarne l’equivalente all’erario dello Stato. In realtà le deportazioni erano sempre accompagnate dalla rapina dei beni dei deportati. La legge del 1927 della giovane repubblica kemalista che impedisce il ritorno degli armeni è naturalmente in piena contraddizione con le sue stesse spiegazioni degli avvenimenti.
37) Cf. a questo proposito K.K. Baghdjian, La confiscation, par le gouvernement turc, des biens arméniens dits “abandonnés”, Montreal 1987.
38) B.L. Zekiyan, Reflections on Genocide. The Armenian Case, cit., p, 229. Sulle conseguenze psichiche del negazionismo per gli armeni della diaspora, cf. i lavori della psicanalista francese di origini armene Hélène Piralian-Simonyan (in particolare Genocide et Transmission. Sauver la Mort. Sortir du meurtre, Paris
39) La traduzione italiana (di Marta Bettolini e Semsa Gezgin) è stata pubblicata da Einaudi nel 2004.
40) Cf. A. Ferrari, La Turchia e il riconoscimento del genocidio armeno: un punto di vista europeo, prolusione alla Conferenza internazionale La storia oltre la storia: armeni e turchi, un millennio di relazioni, Venezia, 28-30 ottobre 2004; l’intervento sarà pubblicato con i materiali della Conferenza. L’autore ringrazia il collega e amico Ferrari di avergli messo a disposizione il testo prima della sua pubblicazione.
41) Sulla veridicità dell’espressione cf. K. Bardakdjian, Hitler and the Armenian Genocide, Cambridge (MA) 1985; V. Dadrian, Histoire du génocide arménien, Paris 1996, pp. 630-637. Cf. anche, in italiano, M. Impagliazzo (Una finestra sul massacro, cit., pp. 11-12) che sottolinea che «Hitler era perfettamente al corrente di quel che riguardava il massacro degli armeni poiché uno dei suoi più stretti collaboratori all’inizio del movimento nazionalsocialista fu Max Erwin von Scheubner-Richter, che era stato console di Germania a Erzurum in Turchia, una delle province dove furono uccisi un gran numero di armeni e di cristiani di altre confessioni. Scheubner-Richter ha anche redatto alcuni terribili rapporti su questi avvenimenti che sono stati conservati» (n. 1, p. il).
42) Cf. Y. Ternon, L’État criminel: les genocides au XX siecle, Paris 1995 (trad. it., Milano, 19971; Id, L’innocence des victimes: regard sur les génocides du XX siècle, Paris 2001; AA.VV., Le livre noir de l’humanité, Encyclopédie mondiale des génocides (trad. de l’anglais par J. Valls-Russell), Paris 2001.
43) Yves Temon (L’État criminel, cit.) ha stabilito l’elenco dei massacri con intento di genocidio del XX secolo; esso si apre con alcuni stermini avvenuti in diversi Paesi d’Africa dal 1904 al 1907: tali stragi però, oltre a essere in buona parte il risultato di ataviche lotte tribali, sono di un ordine di cifre nettamente inferiore al Mete Yeghern, che per primo supera abbondantemente il milione di vittime.
44) «II genocidio degli armeni, in tutta la storia di questo crimine, detiene il record assoluto di durata», scrive il giurista Ju. Barsegov (Genocid armjan. Pre-stuplenie pò meždunarodnomu pravu, cit., p. 32).
45) B.L. Zekiyan. Reflections on Genocide. The Armenìan Case, cit., p. 233
46) Il monastero stesso in cui visse Gregorio di Narek fu distrutto dai curdi ancora prima, nel 1896.
47) Cf. A. Ayvazian, The Historical Monuments of Nakhichevan, Wayne State University Press, 1990.
48) Su Komitas: R, Soulahian Kuyumjian, Archeology of Madtiets: Konatas, Portrait of an Armenian Icon, Gomidas lnst, 2002.
49) Armin T. Wagner e gli Armeni in Anatolia, cit., p. 66.