«Ecco, ora lo sapete: io esisto. E ora provate a dirlo a me, che sono omofobo». Lettera a tempi.it: «Non ho bisogno né di leggi o di trattamenti privilegiati, ma solo di essere amato in verità»
Giorgio Ponte
Ho scritto e riscritto mille volte questo pezzo, ossessionato dal fatto di avere troppo da dire, e forse non abbastanza spazio per farlo, ma alla fine ho deciso di partire dal cuore di ciò che ritengo importante. Per il resto ci sarà tempo. Mi chiamo Giorgio Ponte, ho trent’anni, sono uno scrittore, ho tendenze omosessuali, e sono stanco di sentire le associazioni gay parlare in mio nome su ciò che ritengono io dovrei pensare.
Oggi scrivo per dire che io non mi ritrovo in nessuno dei pensieri da loro sostenuti.
Il ventitré ottobre 2014 tempi.it pubblicò una mia lettera-testimonianza firmata solo col mio nome, come omosessuale fra le Sentinelle in Piedi, sceso in piazza contro il disegno di legge sulle unioni civili Cirinnà e il ddl Scalfarotto sull’omofobia, che avrebbe introdotto nel nostro ordinamento il reato di opinione (con il rischio per chiunque di finire in galera solo per avere scritto un articolo come quello che state leggendo ora).
In molti dissero che la testimonianza era falsa e il suo autore un invenzione. Qualcuno commentò che non era strano che tutti “questi presunti omosessuali cattolici” fossero sempre anonimi, poiché era ovvio che essi non potessero esistere.
Ecco, ora lo sapete: io esisto.
E ora provate a dirlo a me, che sono omofobo.
Scrivetelo ovunque, gridatelo nelle piazze: io esisto e non mi sento discriminato da chi sostiene la natura fondamentale dell’uomo. Io e i miei fratelli che vivono come me e che hanno il buon senso di riconoscere la realtà delle cose, prima fra tutte che nessun essere umano può essere ridotto a un aspetto di sé, men che meno a ciò che lo attrae o lo fa eccitare. Poiché avere una pulsione non definisce un’identità.
La differenza tra eterosessuali e omosessuali è una menzogna creata per dare risposta al dolore di generazioni intere che non riescono più a riconoscersi come uomini o come donne. Ma non è lì che troveranno la pace. Almeno non è lì che l’ho trovata io.
Esiste un solo mondo e una sola natura cui appartenere: quella umana. E l’unica differenza reale in questa natura è quella tra maschile e femminile. L’unica differenza la cui unione può generare la vita.
Questa non è omofobia.
Dire che due omosessuali non possono avere figli non è omofobia.
Dire che l’omosessualità ha delle cause psicologiche non è omofobia.
Dire che assecondare ogni nostro desiderio non sempre porta alla nostra felicità non è omofobia.
Dire di essere cristiani non è omofobia.
È vero: le persone omosessuali hanno vissuto decenni, qualche secolo a fasi alterne, di torture, persecuzioni e soprusi mostruosi e disumani, e ancora oggi in molti paesi esse rischiano la vita. Questo andava e va combattuto, ed è certamente il merito più grande (se non l’unico) che riconosco alle associazioni gay, soprattutto dei primi anni settanta.
Tuttavia, questo orribile passato non può diventare l’alibi per negare la realtà dell’uomo e impedire a chi la afferma di parlare. Sennò, come spesso accade, le vittime diventeranno carnefici, per assecondare il loro desiderio di vendetta.
Se negli anni cinquanta non avrei potuto dire di provare attrazione per persone del mio stesso sesso, non è ammissibile che oggi io debba avere paura di dire che per me la famiglia può essere formata solo da un uomo e da una donna.
Da quando ho scelto di condividere la mia storia con altre persone ho capito che il novanta per cento delle attività persecutorie nei confronti degli omosessuali sono più nella testa dei gay, che non nei presunti “omofobi”.
Forse, se gli attivisti gay la smettessero di frequentarsi solo tra loro e di andare in giro con il fucile spianato alla ricerca di potenziali nemici, potrebbero rendersene conto. Forse è sulla loro eterofobia che varrebbe la pena di riflettere.
Certo: violenti e stupidi esistono, così come gente che è stata picchiata o discriminata realmente per la sua sessualità. Ma non è con una legge per tappare la bocca a tutti che ci si tutela dalla violenza e dalla stupidità di alcuni.
Gli stupidi e i violenti si affrontano senza recriminazioni, con la superiorità di chi non ha bisogno di dimostrare niente, che testimonia nella vita di ogni giorno la sua dignità, senza finzioni, ma al tempo stesso senza la pretesa di essere trattato con le stesse cure di un animale in via d’estinzione.
Per questo sono qui oggi e chiedo scusa per avere atteso così a lungo, a chi forse aspettava da tempo una testimonianza del genere.
Sono qui per dire a tutti coloro che vivono la mia condizione che io non mi ritengo né migliore né peggiore di nessuno per le mie pulsioni sessuali e non ho bisogno di organi speciali che mi tutelino, né di leggi a parte o di trattamenti privilegiati, ma solo di essere amato in verità, come ogni altra persona sulla terra. Poiché solo conoscendo la verità su ciò che siamo, potremo sperare di vivere serenamente ciò che ci è dato.
Parlo per quei fratelli che piangono il limite della loro condizione e non vorrebbero rinunciare al desiderio di paternità: non sarà un figlio creato in laboratorio a saziare questo desiderio, ma la consapevolezza che essere padri significa prima di tutto amare da padri. Si diventa padri quando si è capaci di dimenticarsi di sé, di dare la vita per coloro che abbiamo accanto, di trarre gioia dalla gioia altrui.
Se questo lo vivete già, allora siate felici, non piangete per ciò che non potete avere, ma ringraziate di ciò che siete: voi siete già i padri che dovete essere. Oggi, adesso, per coloro che amate.
Parlo per i miei fratelli che si sono sentiti emarginati, additati, ridicolizzati, che hanno creduto che le loro pulsioni fossero un castigo, che non hanno trovato una parola d’accoglienza che fosse accompagnata dalla verità, magari nemmeno all’interno di quella Chiesa che è stata per me madre, e per loro forse matrigna, perché coloro con i quali hanno parlato in suo nome non erano in grado di dirla, quella verità. Forse perché nemmeno loro la conoscevano.
Respirate, rilassatevi, siate felici: la Chiesa non vi odia, Dio non vi odia e nemmeno il mondo. Quantomeno non questa società in cui viviamo. Affermare, infatti, che l’omosessualità non è necessariamente una condizione immutabile e che solo un uomo e una donna possono concepire un figlio non è sintomo di odio, né una minaccia per chi questo amore non riesce a viverlo.
È solo un’evidenza.
Siate felici, perché si può accogliere la propria omosessualità anche senza bisogno di trasformarsi in un cliché da sit-com come fa il mondo gay con i suoi adepti. Ci sono uomini che hanno vissuto per anni nel mondo gay e oggi sono sposati a donne straordinarie con cui hanno costruito una famiglia; così come conosco fratelli che come me, desiderando la castità, cercano di amare senza bisogno di possedere il corpo di altri, né di violare il proprio.
Noi siamo molto di più delle nostre pulsioni e delle ferite della nostra anima e sebbene non sempre abbiamo potere sui nostri istinti, sicuramente lo abbiamo su ciò che scegliamo di fare con essi.
Perché un uomo non si definisce in base alla sua capacità di fare sesso con una donna, né dal numero dei suoi partner sessuali, ma da quanto è capace di prendere in mano la sua esistenza smettendo di piangersi addosso.
Non giudico chi fa scelte diverse dalla mia, non desidera la castità o non è interessato a mettersi in discussione sul proprio orientamento sessuale. Lo capisco, so quanta fatica richieda. Ho amici che da sempre cercano e vivono relazioni con persone dello stesso sesso, animati da desideri buoni, e li rispetto.
Così come conosco le dinamiche peggiori del mondo gay, il sesso occasionale, le chat e coloro i quali hanno scelto di fare di quello la loro vita, mettendo a tacere il grido della loro anima. Io stesso ho vissuto tutte queste cose in un passato nemmeno troppo distante. Conosco queste debolezze e potrei ricadervi in ogni momento. In sostanza non giudico chi ha perso la speranza o a questa speranza non è interessato.
Ma chi quella speranza vuole toglierla agli altri, sappia che prima o poi dovrà risponderne davanti alla propria coscienza. Soprattutto se per farlo strumentalizza dei figli che non gli appartengono, privandoli della famiglia cui hanno diritto.
Siamo in molti a pensarla così, molti più di quanti voi crediate. Molti vivono nell’anonimato, spaventati per il clima che si sta respirando in questo mondo “civile e democratico”, dove il prezzo per il comune quieto vivere è diventato il silenzio. Stiamo assistendo all’elogio della follia, senza nessuno che abbia il coraggio di gridare “il re è nudo!”
Bene, se serve qualcuno che gridi perché altri trovino il coraggio di farlo, allora sarò io a gridare.
Altri hanno già iniziato e di certo non sono membri di azione cattolica: Dolce e Gabbana, Aldo Busi, Nino Spirlì.
Altri, lo so, lo faranno ancora.
Non è necessario infatti avere un orientamento eterosessuale, essere cattolici o appartenere a un dato schieramento politico per sostenere l’evidenza della realtà. Basta essere persone di buon senso e riconoscere che una cosa non può cambiare la sua natura solo perché le si cambia nome. Ne sì possono attribuire nomi uguali a cose diverse.
I bambini hanno diritto a una famiglia in cui crescere.
E una famiglia è quella fatta da uomo e donna.
Se dal nostro silenzio dipenderà il passaggio di leggi e ordinamenti che causeranno la sofferenza di migliaia di persone, quel silenzio ci perseguiterà come un marchio d’infamia per il resto della nostra vita.
Non possiamo più voltarci dall’altra parte.
Il ddl Cirinnà è già passato alla Comissione Giustizia al Senato e si propone l’obiettivo di equiparare unioni civili e matrimonio permettendo l’adozione da parte di coppie omogenitoriali, il che, unito all’abolizione della legge 40 e alla conseguente legalizzazione dell’utero in affitto, trasformerà le donne in fornitrici di materiale biologico e incubatrici a pagamento, privando migliaia di bambini di almeno uno dei loro genitori naturali.
Il 23 maggio come Sentinelle in Piedi scenderemo di nuovo in centinaia di piazze per manifestare pacificamente contro chi vuole smembrare la famiglia e privare le nuove generazioni di radici e identità. È tempo di agire, di essere uomini e donne veri, capaci di vivere e morire per questi figli creati già orfani in laboratorio, che un giorno ci chiederanno dove eravamo, mentre si infliggevano loro ferite esistenziali in nome del presunto diritto di qualcuno ad affermare una bugia su se stesso. Perché due persone dello stesso sesso non potranno mai concepire un figlio, e non c’è donatore esterno, né utero in affitto che possano nascondere questa verità.
Oggi siamo chiamati a prendere posizione, a dire che anche avendo tendenze omosessuali si può riconoscere la verità. Oggi siamo chiamati a riprenderci la voce che i movimenti gay ci hanno rubato. Oggi siamo chiamati a dire il nostro sì alla vita, diventando veri padri e madri delle generazioni future.
Mi chiamo Giorgio Ponte, ho tendenze omosessuali, sono amato da Dio e amo l’essere umano.
Mi sono alzato in piedi, ho dato voce al mio silenzio.
Io esisto.
E tu? Cosa stai aspettando?