di Rino Cammilleri
Nel 1230 nella chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio si registrò un miracolo eucaristico. Era annessa a un monastero di benedettine, il cui cappellano, il prete Uguccione, disse messa di prima mattina. Forse l’età non più verde, forse la scarsa illuminazione, chissà: accadde che il prete si scordò un po’ di vino consacrato nel calice. E se ne accorse solo l’indomani, nel dire di nuovo messa. Solo che quel vino era diventato sangue rappreso.
Anche le monache videro. E pure tutti quelli che, richiamati dalle grida di stupore, entrarono a vedere. Il vescovo cittadino, Ardingo, certificò il prodigio. Ma ora viene il bello. Sempre in quella chiesa il 24 marzo del 1595 si verificò un altro miracolo eucaristico. Era il Venerdì Santo e, durante il rito, una candela appiccò il fuoco all’altare, a quanto vi stava sopra e perfino al tappeto steso davanti.
Negli attimi concitati che seguirono, nessuno si accorse che, a furia di manate per spegnere le fiamme, di urti e gomitate fra gli improvvisati pompieri, una pisside con dentro sei ostie consacrate si era aperta rovesciandosi sul tappeto incendiato.
Quando finalmente le vampe furono spente ci si avvide che sul nerume del tappeto praticamente carbonizzato spiccava il biancore immacolato di sei dischetti: le ostie, perfettamente intatte. E tali sono rimaste, a quanto risulta.
Già una prima ricognizione ufficiale, nel 1628, le trovò assolutamente incorrotte. Ancora nel 1907 si procedette a un’ispezione, con identico risultato. La chiesa (dedicata a s. Ambrogio che fu a Firenze nel 393-394) sta nel quartiere di Santa Croce
Il Giornale 30 dicembre 2005