newsletter n. 139 giugno 2014
Alleanza Cattolica di Milano
di Marco Invernizzi
Care amiche, cari amici
Se fate soltanto un poco di conti elettorali vi rendete conto come il successo elettorale del Partito Democratico alle elezioni europee e amministrative, indubbio, sia comunque inferiore in termini assoluti ai 14 milioni di voti che il Pd prese nelle elezioni politiche del 2008, quando pur perse le elezioni ed era guidato da Walter Veltroni.
Immaginando che grazie all’effetto Renzi il Pd abbia guadagnato voti dal centro e da destra e tenendo conto che a sinistra esisteva un’alternativa con la lista Tsipras (che ha preso poco più di un milione di voti), rimane che il primo partito italiano, quello costituito dal 42 per cento che non è andato a votare, è composto da moltissimi potenziali elettori moderati (o conservatori, se vogliamo usare il termine più appropriato).
I moderati quindi si preoccupino, ma non si spaventino. Essi esistono ancora, sono circa la metà del Paese ma molti di loro non se la sentono di votare per chi dovrebbe rappresentarli in questo momento.
Il loro grande problema, dunque, è l’assenza di una classe politica di riferimento. Non dico di una classe politica capace, ma proprio di una classe politica che voglia rappresentarli.
Quello che è avvenuto in occasione delle votazioni per il divorzio breve o corto, meglio sprint, è indicativo e ne ho già scritto. I partiti di quello che è stato il centro-destra non vogliono giocare questa partita. E neppure quella della fecondazione eterologa o quella del ddl Scalfarotto sull’omofobia. Questo è un fatto, drammatico ma reale, che impedisce al centro-destra di assumere un’identità che lo distingua dal Pd di Renzi.
Come allora potranno pensare di incalzarlo, di provare a sconfiggerlo, se non insistendo su quei punti dove dovrebbe esistere veramente una differenza?
Qualcuno mi potrebbe dire che non esiste una maggioranza dell’elettorato sensibile ai princìpi non negoziabili. Probabilmente è vero, ma esiste una minoranza che decide il proprio voto in base ai temi etici e non sa più a chi darlo. E comunque chi facesse la battaglia sui princìpi morali non credo perderebbe i voti dei moderati poco sensibili ai temi inerenti a vita e famiglia perché altrimenti li avrebbe già persi, vista la più appetibile concorrenza del Pd di Renzi.
Il vero problema è la classe dirigente moderata. Quando Silvio Berlusconi si aggirava tra la folla del Family day eravamo nel 2007, non nel Medio Evo. E il capo del centro-destra era nella stessa situazione familiare di oggi, anche se il suo divorzio non era ancora esecutivo.
Che cos’è cambiato? I consiglieri di cui si contorna, probabilmente. E certamente non aveva una compagna che incita pubblicamente Forza Italia a riconoscere le unioni omosessuali, come scrive il Corriere della Sera del 13 giugno. E gli altri piccoli partiti del centro-destra, che avrebbero tutto l’interesse politico di distinguersi dal partito di Berlusconi, perché non lo fanno?
Perché nessuno assume con forza la battaglia sulla scuola libera, chiedendo allo Stato di fare un passo indietro e lasciare alla società il compito di avviare gradualmente una riforma scolastica che restituisse alla famiglia il diritto di scegliere come educare i figli e permettesse allo Stato di risparmiare e abbattere di molto il suo deficit? Perché il buono-scuola non viene più nemmeno nominato pur avendo portato milioni di consensi al centro-destra? Lo si farà fare al governo Renzi?
Cari amici, se questo è il problema, la sua soluzione non verrà da politici che non ci arrivano. Verrà da un lungo e duro lavoro sul corpo sociale, quello iniziato dalle Sentinelle in Piedi, dalla Manif, da Si alla famiglia e da tante altre iniziative di base. Autentiche, popolari, sane.
La “lezione italiana” che ha ricordato tanti anni fa Giovanni Cantoni quando il Paese scampava miracolosamente dal compromesso storico e poi riusciva a non cedere di fronte al terrorismo comunista, quella “lezione” per tanti versi misteriosa continua e ci insegna a non lasciarci prendere dalla disperazione.