di Massimo Introvigne
Ascoltando il Magistero di Papa Francesco abbiamo sentito più volte queste parole – da ultimo nell’omelia a Santa Marta il 30 aprile -, nuove nell’insegnamento dei Pontefici; «mondanità spirituale». Si tratta, secondo il Pontefice, del rischio più grave che corre la Chiesa: come ha scritto ai vescovi argentini il 25 marzo, se la Chiesa si chiude nell’«autoreferenzialità» e nel «narcisismo» allora l’esito, catastrofico, è la mondanità spirituale.
E commentava: «Nessuno di noi è totalmente sicuro da questo male. Un umanesimo sottile, avversario di Dio Vivente, e, segretamente, non meno nemico dell’uomo, può insinuarsi in noi attraverso mille vie tortuose. La curvitas originale non è mai in noi definitivamente raddrizzata. Il “peccato contro lo Spirito” è sempre possibile».
Tuttavia in questo brano il futuro cardinale francese non presenta la categoria della mondanità spirituale come sua. Riferisce i commenti a «quella che dom Vonier chiamava ‘mondanità spirituale’». E gran parte della pagina, divenuta famosa, di de Lubac, consiste di citazioni debitamente virgolettate del benedettino tedesco, naturalizzato inglese, dom Anscar Vonier O.S.B. (1875-1938).
Sconosciuto fuori delle isole britanniche, dom Vonier è tuttora famoso in Inghilterra. Il cognome sembra francese, ma si tratta in realtà di un tedesco, che aveva seguito un confratello della sua regione, la Svevia, diventando benedettino nella comunità francese de La-Pierre-qui-Vire da cui poi era passato a Buckfast, un’abbazia del Devonshire distrutta dagli anglicani e che Vonier ricostruì, diventando famoso, nello splendore del neo-gotico ottocentesco.
La storia di Vonier ha del romanzesco, e c’entra con l’Argentina del nuovo Papa. Giovane benedettino, gli fu chiesto di accompagnare il suo superiore – che intendeva occuparsi della ricostruzione di Buckfast – in un viaggio presso le comunità benedettine argentine. Nel 1906 i due furono coinvolti nella tragedia del «Sirio», una nave di emigranti italiani salpata da Genova che naufragò in Spagna – il caso divenne purtroppo famoso perché il comandante italiano, anticipando vicende più recenti, si salvò abbandonando la nave – causando la morte di almeno 150 persone.
Il superiore di Vonier sparì in mare, ma il giovane benedettino fu tra i rari superstiti, e giurò di riprendere il progetto della ricostruzione di Buckfast. Lo fece, divenne abate e trasformò – non senza una sagacia nel gestire i rapporti con i media – l’abbazia in quella che è tuttora una delle maggiori mete turistiche cattoliche inglesi, favorita anche dal trovarsi a margine di quella brughiera di Dartmoor in cui si svolge il famoso romanzo con Sherlock Holmes «Il mastino dei Baskerville».
Figura mediatica più nota di vescovi e cardinali, Vonier era però anche quello che molti consideravano il maggiore teologo inglese del suo tempo e uno dei più amati autori di manuali di vita spirituale. Il suo stesso successo e la sua popolarità tra i giornalisti lo predisponevano a riflettere sulla mondanità spirituale. Seguiamo la sua spiegazione del concetto nel libro «Lo Spirito e la Sposa» (The Spirit and the Bride), del 1935, che è più ampia delle citazioni riportate da de Lubac nel 1953.
Vonier – i cui libri sono ancora oggi ristampati in inglese, e si leggono con grande piacere e profitto – è molto attento all’influenza degli angeli, buoni e cattivi, sulla nostra anima. Il contesto è un capitolo sui doni dello Spirito Santo e su come il peccato contro lo Spirito Santo consista nell’«estinguere lo Spirito», nel sottrarsi consapevolmente alla sua influenza. Questo è stato il peccato di Lucifero.
In quanto angeli, spiega Vonier, Lucifero e i suoi seguaci «non potevano peccare a causa delle passioni, il loro unico rischio era quello che si compiacessero di se stessi, dei loro stessi doni, perfino dei loro poteri soprannaturali, senza più affidarsi alla volontà che era al di sopra della loro, al movimento dello Spirito». I poteri soprannaturali di tutti gli angeli, compresi quelli di Lucifero, erano una cosa buona. Quello che non era buono era amarli per se stessi, usarli per se stessi, «rifiutarsi di andare dove lo Spirito conduce».
Questo rischio lo corre anche la Chiesa. Essa nella storia consegue tanti «risultati umani», si conquista anche tanta «gloria temporale». Costruisce – dom Vonier ne aveva fatta diretta esperienza – splendide chiese, aiuta i poveri, soccorre gli ammalati. Qualche volte il mondo perseguita: ma altre volte applaude queste «eccellenze» della Chiesa.
E qui sorge il pericolo della «mondanità»: che non è riferito, spiega don Vonier, a «quanto normalmente s’intende con questa espressione». Spesso intendiamo per mondanità della Chiesa «l’amore della ricchezza e del lusso di certi suoi dignitari»: questo è male, certo, «ma non è il male principale». La Chiesa ha sempre trovato forze per superare abbastanza rapidamente le crisi di mondanità materiale. Ha avuto molte più difficoltà con la mondanità spirituale.
Non senza l’intervento del Demonio, la mondanità spirituale parte da un rifiuto ostentato – talora, peraltro, anche sincero – della mondanità materiale. L’uomo di Chiesa che è vittima della mondanità spirituale non si compiace di lussi e di ricchezze. Può anche vivere in estrema povertà, e convincersi di stare dando l’esempio di una morale particolarmente elevata. In realtà, sta preparando qualcosa che dom Vonier definisce «disastroso» per la Chiesa. Può darsi che la moralità del mondano spirituale sia davvero elevata.
Ma i suoi «standard morali sono fondati non sulla gloria di Dio ma sul profitto dell’uomo: uno sguardo completamente antropocentrico sarebbe esattamente quello che intendiamo per mondanità. Anche se gli uomini fossero pieni di ogni perfezione spirituale, ma queste perfezioni non fossero riferite a Dio (supponendo che questa ipotesi sia possibile), si tratterebbe di una mondanità incapace di redenzione». Si tratta, ancora, di mondanità «spirituale» e non solo morale, perché alla fine la stessa spiritualità si corrompe, trasformata dalla «mondanità della mente» in una spiritualità dell’uomo e non più di Dio.
Dom Vonier è molto severo. «Se il Cristianesimo – scrive – dovesse mai abbassarsi al livello di una perfetta società etica il cui solo scopo fosse la promozione della prosperità umana, o perfino la promozione della moralità umana, la Chiesa sarebbe così completamente apostata come lo è Lucifero stesso: avrebbe negato lo Spirito, avrebbe rifiutato di seguirlo dove vuole condurla, avrebbe preferito piacere agli uomini piuttosto che a Cristo e avrebbe fatto dell’applauso umano la sua suprema ricompensa».
La mondanità spirituale è dunque insieme il più grande peccato e la più grande «catastrofe» per la Chiesa. Lo illustra dom Vonier, che è alle origini del concetto e che varrebbe la pena di conoscere meglio, lo ripete de Lubac citando ampi brani di dom Vonier. E oggi lo insegna il Papa. Cediamo alla mondanità spirituale tutte le volte che facciamo il bene, compiamo scelte che ci sembrano morali – e talora lo sono davvero, almeno in parte – , rifiutiamo la ricchezza, il lusso e la mondanità materiale ma lo facciamo per umanitarismo, per moralismo, per una religione dell’uomo che sembra avere accenti nobili, ma che non è la religione di Dio e di Gesù Cristo.
La Chiesa così, ha detto Papa Francesco, diventa «una ONG [organizzazione non governativa] pietosa». Dietro di cui, come insegna dom Vonier, si nasconde il diavolo. Lo ha spiegato il Papa nella sua prima omelia, il 14 marzo, partendo da una citazione del romanziere francese Léon Bloy (1846-1917) per denunciare subito la mondanità spirituale: «“Chi non prega il Signore, prega il diavolo” Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio».