Ag Zenit (Zenit.prg) 09 Novembre 2015
Federico Cenci
Roma – Vita, famiglia, libertà dei genitori nell’educazione dei figli. Ricevendo i partecipanti al Convegno promosso dal Partito Popolare Europeo, Benedetto XVI definì questi tre principi “insiti nella natura umana” e pertanto “non negoziabili”. Invitò i cattolici impegnati nel dibattito pubblico a non farne oggetto di trattativa, giacché un simile atteggiamento costituirebbe, prima ancora che un tradimento alla propria fede, “un’offesa alla verità della persona umana”.
Era il 30 marzo 2006. Non sono passati nemmeno dieci anni, eppure a molti questo lasso di tempo appare lungo un’eternità. Sono in tanti, tra gli osservatori della Chiesa e forse anche tra i fedeli, a ritenere questa formula già obsoleta, appartenente a un’ermeneutica ormai superata dall’incedere frenetico della storia e dei costumi.
Non la pensa così mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste e strenuo defensor fidei. Nel 2014 ha scritto un libro – A compromesso alcuno. Fede e politica dei principi non negoziabili (ed. Cantagalli) – in cui dimostra l’imperitura importanza dei principi non negoziabili, nella società e nel mondo politico. Nell’intervista che segue, il presule spiega che la Chiesa non ha affatto abdicato nell’invocare il rispetto di un ordine morale che ci precede e ci dà significato.
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Eccellenza, l’espressione “principi non negoziabili” sembra non esser più attuale nella Chiesa. Cosa l’ha spinta a riproporlo?
La dottrina dei principi non negoziabili è stata formulata durante il pontificato di Benedetto XVI, ma esprime una visione che viene da prima e che è destinata a durare dopo, oggi e domani. La legge morale naturale e la dottrina degli intrinsece mala, ossia delle azioni che non si devono mai fare, il significato sociale dei dieci comandamenti non passano mai di moda. E nella nozione di principi non negoziabili c’è tutto questo. Le espressioni possono essere adoperate, poi magari trascurate, poi riprese o cambiate; ciò che conta è la sostanza.
Per esempio, papa Francesco non adopera questa espressione, ma ne adopera il significato sostanziale quando, con il suo linguaggio, diverso da quello dei Pontefici precedenti, afferma però le stesse verità sulla vita, la famiglia, la libertà di educazione, la libertà religiosa, la giustizia e così via. So bene che durante il pontificato di Benedetto XVI l’espressione e il contenuto dell’espressione “principi non negoziabili” è stata anche criticata e combattuta. Non ho condiviso, allora, quella critiche perché per me questa nozione appartiene alla tradizione della Chiesa.
Specie nei media, è oggi diffusa una tendenza a contrapporre due Chiese: una attenta ai temi sociali a un’altra che è invece più vigile sulla dottrina e sulla morale. Secondo Lei questa dicotomia ha qualche fondamento?
Questa distinzione non ha fondamento. Sbagliano ad insistervi i media, sbagliano a favorirla gli uomini di Chiesa. La questione dei principi non negoziabili è molto utile per far capire l’inconsistenza di questa contrapposizione. Se prendiamo i tre principali di questi principi, ossia vita, famiglia e libertà di educazione, saremmo portati ad iscriverli in quella parte di Chiesa che lei ha definito “più vigile sulla dottrina e sulla morale”.
Però ci accorgiamo anche subito che quei tre principi gettano una luce molto forte anche su temi squisitamente “sociali”, per continuare ad adoperare le sue parole: il fisco, i salari, le tariffe, le politiche giovanili, il lavoro, la casa hanno un forte collegamento con la protezione della vita e della famiglia. Proprio i principi non negoziabili, quindi, mettono insieme i temi più strettamente etici e quelli più strettamente economici e sociali. Basta intenderli, come cerco di spiegare nel mio libro, come dei principi e non solo come dei valori morali.
Ha ancora senso, quindi, parlare di “Chiesa militante”?
Le espressioni sintetiche sono sempre traditrici. Bisogna chiarirne il significato. La vita, ed anche la vita del cristiano, è anche oggi, e lo sarà sempre, un impegno per il bene. Sarebbe colpevolmente ingenuo pensare che oggi non ci siano nel mondo antropologie in conflitto, tendenze e strutture di peccato, contrapposizione e odio verso Dio. Nei confronti del male, delle ingiustizie, delle violazioni della dignità della persona, dell’odium fidei, come non impegnarsi? Se “Chiesa militante” vuol dire questo, credo che non sarà possibile abbandonare il concetto. Se per “Chiesa militante” si intende una Chiesa contrapposta visceralmente al mondo, nemica degli uomini e non solo del male che essi spesso compiono allora no. Tutto quello che la Chiesa fa, anche quando lotta, lo fa per amore.
Ribadisce dunque un concetto espresso nel Suo libro, ossia che “è impossibile annunciare il bene senza anche contrastare il male”…
Dicevano i filosofi medievali: omnis determinatio est negatio. Ogni determinazione di qualcosa comporta la negazione di qualcos’altro. È una applicazione del principio di non contraddizione. Se dico che una cosa è bianca vuol dire che nego che sia nera. Così se dico che una cosa è buona vuol dire che il suo contrario è cattivo. Come faccio a dire che la vita è sacra e intangibile e nello stesso tempo ad approvare l’aborto? Come posso dire che la famiglia naturale è solo tra un uomo e una donna e poi accettare di buon grado le unioni omosessuali?
La morale richiede una presa di posizione, un giudizio sulla realtà e su cosa fare, uno schierarsi. Certo, il positivo ha il primato sul negativo. Così il bene sul male, e quindi bisogna soprattutto proporre il bene, puntare sul positivo piuttosto che contrapporsi al negativo. Però ciò non impedirà anche di combattere il male, altrimenti il puntare sul positivo diventa un alibi per fuggire ai conflitti della vita.
Non crede che radicarsi su dei principi non negoziabili possa costituire un deterrente al dialogo e dunque a un arricchimento reciproco tra posizioni diverse?
Anche qui si tratta di intenderci sulle parole. Tenere per fermi i principi non negoziabili non vuol dire non dialogare, vuol dire non negoziare, non farne oggetto di trattativa. Essi richiedono di dialogare con tutti, per misurarci, nel dialogo, con la loro verità, per approfondirla, per collegarla con le situazioni della vita. Nessuno ha il monopolio dei principi non negoziabili. Però il dialogo, per poter essere vero dialogo, non può riguardare tutto, perché in questo caso non potrebbe giungere a nessuna verità stabile, ossia non più sottoposta a confronto.
Il senso del dialogo è di arrivare ad una verità condivisa, ma non vera perché condivisa bensì condivisa perché vera. La verità precede il dialogo e lo rende vero dialogo, non lo segue. Una verità frutto del dialogo sarebbe una verità relativa al consenso umano, ossia non più verità. In aggiunta direi anche che il vero dialogo presuppone non punti di partenza addomesticati, ma chiari e solidi. Se gli interlocutori addolciscono preventivamente le loro posizioni per poter dialogare meglio si ingannano reciprocamente. Questo non è dialogo.
Dall’adesione ai principi non negoziabili scaturisce l’obiezione di coscienza. Questa pratica è piuttosto diffusa tra i medici cattolici; secondo Lei lo è anche tra i politici cattolici?
Non posso quantificare queste cose, perché si tratta di problemi di coscienza a cui non abbiamo accesso. Posso però dire questo. Oggi molti teorizzano che la politica è compromesso, laicità rispetto ai valori e luogo di scelte relative. Io questo non lo credo. Penso invece che anche in politica ci siano in gioco dei valori universali. I principi non negoziabili sono proprio questo.
Allora dico: se il richiamo all’obiezione di coscienza vale per i medici di fronte all’aborto, per il personale sanitario o farmaceutico per i medicinali abortivi, per i funzionari pubblici per le registrazioni delle unioni omosessuali, per le maestre per l’ideologia del gender e così via, perché non dovrebbe valere per i politici davanti ad una legge contraria alla dignità dell’uomo, ossia ai principi non negoziabili? Perché non va dimenticato che i principi non negoziabili sono non negoziabili perché connessi strutturalmente con il rispetto della dignità della persona.
Lei collega i principi non negoziabili con i temi della tutela del creato. Trova corrispondenza tra ciò che Lei ha scritto e alcuni spunti proposti da papa Francesco nella Laudato Si’?
Certamente sì, soprattutto nel concetto di “ecologia integrale” che è l’approfondimento della nozione di “ecologia umana” proposta da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus e da Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Tutto si tiene: il degrado sul fronte dei principi non negoziabili produce danni anche per l’ambiente. LaCaritas in veritate dava dei grandi insegnamenti sul fatto che il mancato rispetto della vita nei Paesi avanzati si oppone al vero sviluppo, sia perché alimenta atteggiamenti individualistici e consumistici, sia perché produce denatalità, che è sempre un elemento contrario allo sviluppo, sia perché indebolisce la solidarietà nei confronti dei poveri del mondo. Su questa stessa linea si pone la Laudato si’ di papa Francesco.
Nella Sua esperienza di arcivescovo di Trieste, nel 2013, reo d’aver difeso la famiglia naturale è stato oggetto di roventi accuse di omofobia. In un clima sociale come questo, che ruolo può avere la fedeltà ai principi non negoziabili?
Non ho alcun dubbio che la fedeltà ai principi non negoziabili richiederà in futuro un coraggio particolare, la disponibilità a pagare di persona, ad accettare discriminazioni. Il mondo non perseguita i credenti che si ritirano nello loro chiese a pregare, perseguita quelli che si inseriscono nei suoi meccanismi e li mettono in pericolo.
Puntare oggi con coraggio sulla difesa della vita umana e sulla famiglia naturale, per esempio, contiene un potenziale di disturbo nei confronti dei poteri dominanti che non può passare senza pagare pedaggio.Qualche volta esplode il caso di un Vescovo, come è successo a me nell’episodio che lei ricorda. Ma a pagare di più sono i laici cristiani nel mondo del lavoro, nella scuola, nei media. Le intimidazioni sono molto frequenti, ed anche i ricatti o le vendette. L’obiezione di coscienza in futuro diventerà un grande banco di prova per la nostra fede.