Mons. Marchetto e la Scuola di Bologna

A_MarchettoComunità ambrosiana, 22 novembre 2013

di Marco Invernizzi

«Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II. So che è un dono di Dio, ma so anche che Ella lo ha fatto fruttificare». Queste parole diranno probabilmente poco a molti lettori, ma sono parole di papa Francesco, indirizzate il 7 ottobre all’arcivescovo Agostino Marchetto, autore di diversi importanti studi di storiografia sul Concilio Vaticano II (1962-1965).

Ma perché sono importanti queste parole? Perché alcuni giornalisti molto attenti alle vicende della Chiesa come Sandro Magister o portali come Vatican insider se ne sono occupati. L’importanza di queste parole sta nell’interpretazione del Concilio presentata da mons. Marchetto nei suoi libri, un’interpretazione in totale sintonia con quanto disse papa Benedetto XVI il 22 dicembre 2005 incontrando la Curia romana, alla quale ricordò che il Concilio doveva essere interpretato come una riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa e non come una rottura con la storia della Chiesa.

Mons. Marchetto sostenne questa tesi prima del discorso del 2005 e ovviamente la confermò anche dopo, nel suo secondo libro, criticando la tesi sostenuta dalla cosiddetta Scuola di Bologna, secondo la quale il Concilio è stato un evento rivoluzionario che va molto oltre i documenti conciliari, i quali ne avrebbero invece ridotto lo spirito rinnovatore.

La Scuola di Bologna prende il nome dalla città dove ha sede l’Istituto per le scienze religiose fondato da Giuseppe Dossetti (1913-1996) e diretto per lungo tempo da Giuseppe Alberigo (1926-2007), il curatore della principale opera storica in commercio sul Vaticano II, in 5 volumi, dove viene sostenuta l’ermeneutica della discontinuità del Concilio con la storia precedente della Chiesa.

Proprio con questa Scuola e con l’interpretazione del Concilio come “rottura”, mons. Marchetto entrò in polemica nei suoi libri, mostrandone la posizione ideologica e la distanza dall’insegnamento dei Pontefici, da Paolo VI a Benedetto XVI, passando per il beato Giovanni Paolo IIOra le parole di papa Francesco attribuiscono ulteriore importanza all’opera di mons. Marchetto, che ha avuto il coraggio e la forza di criticare quell’interpretazione del Vaticano II che ha dominato per decenni nei seminari, nell’editoria cattolica e laica, nelle scuole e nelle università, diventando una sorta di luogo comune da cui ci si è cominciati ad allontanare dopo il famoso discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 e anche grazie al lavoro profondo di mons. Marchetto.

Questa interpretazione del Vaticano II come “rottura” ha avuto tanta diffusione da contagiare anche l’interpretazione ideologicamente contrapposta proveniente dal cosiddetto mondo tradizionalista, che considera anch’essa il Concilio un evento rivoluzionario, semplicemente ribaltandone la lettura, cioè considerandolo come un evento rovinoso invece che positivamente profetico.

A entrambe queste interpretazioni mons. Marchetto oppone quella contenuta negli interventi magisteriali di tutti i Pontefici successivi al 1965, che non si sono mai stancati di invitare i fedeli a leggere i documenti invece di “accogliere” le interpretazioni riduttive, in quanto succubi di una lettura parziale del Concilio che culmina inevitabilmente in una interpretazione ideologica.

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