“cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”
[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32]
di Rino Cammilleri
Voi penserete al profeta-condottiero-legislatore biblico, quello delle Tavole della Legge. Invece, no. Certo, anche il Mosè profeta è santo per i cristiani. Ma quello che vogliamo ricordare oggi è solo un omonimo. Anzi, uno dei due.
Il Mosè di cui non ci occupiamo in questo giorno era un etiope del IV secolo: fu ladro, capobanda e tagliagole prima della conversione; pentitosi, si diede a durissimo eremitaggio nel deserto egiziano di Scete, dove consumò il resto della sua vita.
Eh, ben altri sono i “pentiti” della santità cattolica: venivano perdonati solo se davano segni tangibili di pentimento. Durissime penitenze e amare lacrime, altro che stipendio di Stato e interviste.
Il Mosè di oggi era un prete romano dei tempi dell’imperatore Decio. Correva la metà del secolo III e una violentissima persecuzione che eliminò i maggiorenti della Chiesa, papa compreso (che era s. Fabiano). Per diverso tempo non fu possibile eleggere un nuovo papa, e la Chiesa venne retta da un collegio di presbiteri. Il più eminente era Novaziano, le cui lettere, però, venivano controfirmate dal nostro Mosè per conferma e autorevole avallo (segno dell’autorità morale di cui godeva nella comunità cristiana).
Mosè finì in carcere con il prete Massimo e i diaconi Rufino e Nicostrato. Morì in cella nel 251. Noviziano, sfuggito alla cattura, si opponeva alla riammissione ai sacramenti di quei cristiani che avevano mostrato debolezza e paura. Invece Mosè sosteneva la posizione della misericordia. Passata la tempesta, la Chiesa diede ragione a Mosè. Novaziano, da parte sua, terminò la sua carriera come scismatico.
il Giornale – 4 novembre 2000