Hamas ostacolo alla pace in Medio Oriente?

Hamas

Abstract: Hamas ostacolo alla pace in Medio Oriente? Un minaccioso convitato di pietra grava sul tavolo intorno al quale si discute la road map per la pace in Medio Oriente. E’ un movimento di massa che per statuto si propone “d’innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina” e non contempla altra soluzione al di fuori della guerra santa.

Articolo pubblicato su Il Foglio, 11 giugno 2003

Nazionalismo laico e fondamentalismo religioso

nel DNA di Hamas

Un minaccioso convitato di pietra grava sul tavolo intorno al quale si discute la road map per la pace in Medio Oriente. E’ un movimento di massa che per statuto si propone “d’innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina” e non contempla altra soluzione al di fuori della guerra santa.

di Antonio Caroti

La presenza di un minaccioso convitato di pietra grava sul tavolo intorno al quale si discute la road map per la pace in Medio Oriente. E’ un movimento di massa che per statuto si propone “d’innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina” e non contempla altra soluzione al di fuori della guerra santa. Si tratta di Hamas, gruppo iniziatore degli attentati suicidi contro Israele e “maggiore beneficiario dell’Intifada al-Aqsa”

Con questa organizzazione, guidata dallo sceicco paraplegico Ahmad Ismail Yasin, bisognerà in qualche modo fare i conti. Ne è convinto il direttore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni) Massimo Introvigne, sociologo esperto di sette e fondamentalismi, che ha dedicato all’argomento un libro di notevole interesse, intitolato appunto “Hamas” (Edizioni Elledici). “Con la scelta di Abu Mazen come interlocutore – osserva lo studioso – l’America e Israele cercano di tagliare fuori i fondamentalisti. Vedono il premier palestinese come una sorta di poliziotto laico, capace di riorganizzare le forze di sicurezza dell’Anp e di farla finita con il radicalismo islamico. Temo però (e spero di sbagliarmi) che non sia una ipotesi praticabile, perché Hamas e gli altri movimenti delgenere, ancora più estremisti, hanno nei territori occupati una presenza molto forte, difficile da sradicare. E ora punteranno su un’intensificazione delle azioni terroristiche”.

Il pessimismo di Introvigne trova conferma negli ultimi fatti sanguinosi. Che si può fare allora per fermare la spirale delle stragi? “Mi sembra più realistica la strategia suggerita da alcuni esperti israeliani di antiterrorismo, consistente nel fomentare frizioni all’interno dello schieramento fondamentalista, in modo da provocare una scissione tra lacomponente dedita alla violenza cieca e quella disposta a entrare nel gioco istituzionale. Lo si è fatto per esempio in Giordania, dove una parte rilevante delle forze islamiste ha ripudiato le posizioni estreme e partecipa pacificamente alla vita politica”.Intanto i movimenti terroristici di matrice religiosa paiono aver raggiunto un’intesa con le brigate dei martiri di al-Aqsa, legate ad al-Fatah, per la prosecuzione dell’Intifada.

Introvigne non si stupisce: il suo libro evidenzia infatti che nel mondo palestinese nazionalismo laico e fondamentalismo religioso hanno origini comuni. E non sempre lo sceicco Yasin si è caratterizzato come leader oltranzista rispetto ai “moderati” dell’Olp: “Negli anni Cinquanta, all’epoca della loro formazione politica, molti futuri dirigenti di al-Fatah aderivano ai Fratelli musulmani, cioè l’organizzazione capostipite di Hamas. Tra loro spiccava Khalil al-Wazir, più noto come Abu Jihad, che sarebbe stato eliminato dagli israeliani nel 1988. Fu proprio lui a presentare nel 1957 un memorandum in cui proponeva di dare priorità alla lotta armata.

Alla sua linea radicale si contrappose il neotradizionalista Yasin, fautore di un’islamizzazione progressiva della società attraverso lo sviluppo di attività religiose, culturali, assistenziali ed economiche. Ne seguì una spaccatura, che indusse Al-Wazir e i suoi seguaci ad abbandonare i Fratelli musulmani e a fondare al-Fatah, nel1959, insieme ad Arafat. Con il tempo però le posizioni si sono invertite. Abu Jihad aveva rotto con Yasin perché lo sceicco non riteneva maturi i tempi per l’opzione militare. Trent’anni dopo i fondamentalisti scelgono lo scontro frontale con Israele, creando Hamas e poi il suo braccio armato, lebrigate Izz al-Din al-Qassam, mentre i nazionalisti laici, con gli accordi di Oslo, si mostrano disposti al compromesso con Israele”.

Oggi le carte si sono nuovamente rimescolate, ma Hamas continua a ostentare la massima intransigenza. Il suo istruttivo statuto, opportunamente tradotto in appendice al libro di Introvigne, definisce l’intera Palestina, dal Giordano al mare, “terra islamica affidata alle generazioni dell’Islam fino al giorno del giudizio” e bolla ogni trattativa come “un mezzo per imporre il potere dei miscredenti sul territorio dei musulmani”. Il concetto stesso di pace con Israele è estraneo a una simile mentalità.

“Su questo non c’è dubbio, ma Yasin – precisa Introvigne – ha parlato della possibilità di una tregua ventennale con lo Stato ebraico. Se si riuscisse a spaccare Hamas, che già oggi non è un’entità monolitica, ma comprende correnti di orientamento assai diverso, forse su un versante di tale frattura potrebbero coagularsi forze disposte a negoziare su una base del genere. D’altronde se gli israeliani lasciano in libertà Yasin, mentre potrebbero arrestarlo senza problemi, è probabilmente perché sono convinti che svolga una certa funzione moderatrice”.Tuttavia una semplice tregua risolverebbe poco, visto che le ostilità sarebbero comunque destinate a riprendere.

“Non necessariamente – risponde il sociologo – in quanto una soluzione provvisoria di lunga durata tenderebbe a stabilizzarsi. La storia dell’Islam è piena di tregue che poi sono diventate permanenti. Io credo che Hamas si stia ponendo il problema di come utilizzare il vasto seguito di cui dispone, secondo la rivista Jerusalem Report valutabile intorno al 40-50 per cento dei consensi, per diventare forza di governo in un futuro Stato palestinese. Ciò non è possibile finché mantiene una prevalente connotazione terroristica, inaccettabile non solo per gli Usa e Israele, ma anche per i paesi arabi vicini. Intorno al mondo delle moschee c’è una borghesia palestinese di forti sentimenti religiosi, da cui Hamas trae i suoi dirigenti, che potrebbe scegliere di separarsi dai settori più fanatici, destinati in tal caso a confluire nel Jihad islamico e in altri  gruppi irriducibili”.

E’ anche vero però, e Introvigne lo sottolinea, che gli stessi kamikaze, al di là degli stereotipi sulla disperazione come origine del terrorismo, sono spesso persone istruite, provenienti da famiglie benestanti: “Nulla di nuovo sotto il sole. Anche le Brigate rosse non reclutavano i loro adepti tra i disoccupati delle regioni povere. In realtà i diseredati palestinesi hanno come prima preoccupazione quella di uscire dalla miseria, mentre tra i figli dell’élite si trovano più facilmente elementi propensi a immolarsi in nome di un’ideologia di origine sciita, mutuata dall’Iran khomeinista e dagli hezbollah libanesi, che non considera le azioni dei kamikaze forme di suicidio, in quanto tale vietato dal Corano, ma atti di guerra e martirio”.Si tratta inoltre di un’ideologia nella quale l’antisemitismo occupa un posto di primo piano. Lo statuto di Hamas presenta il sionismo come espressione di un complotto mondiale e cita esplicitamente i “Protocolli dei savi di Sion”. Ma su questo i fondamentalisti islamici sono in buona compagnia, perché, precisa Introvigne, “storicamente il vettore della letteratura antisemita nel mondo arabo è stato il nazionalismo laico.

Tuttora il governo siriano è una grande stamperia di materiale paranazista e lo stesso Abu Mazen ha sostenuto in passato tesi cosiddette revisioniste sulla Shoah. Movimenti come Hamas hanno operato una sorta di sintesi tra l’ispirazione di alcuni passi antigiudaici contenuti negli hadith, le massime di Maometto distinte dal Corano, e l’antisemitismo su base razziale di matrice europea”.Forse un certo fondo antigiudaico spiega come mai la gerarchia cattolica in Terrasanta abbia sposato in pieno la causa palestinese (il caso più clamoroso è monsignor Capucci), sottovalutando il pericolo costituito dal fondamentalismo islamico.

Non è stata una scelta miope? “In effetti diversi dati empirici – osserva Introvigne – indicano che il consenso dei cattolici palestinesi verso le posizioni più nettamente antisraeliane sta diminuendo, anche perché l’ascesa di Hamas suscita forti timori tra i cristiani. A mio avviso oggi solo una minoranza si riconosce nell’impostazione di Cappucci, che giudico insostenibile. Ma credo che anche le autorità israeliane, trattando spesso i cattolici come un corpo estraneo, abbiano contribuito ad alimentare la spirale dell’indifferenza reciproca”