Mentre i rapporti tra Vaticano e Pechino sembrano dare segni di miglioramento, nella regione dove maggiore è il numero di cattolici, vescovi e sacerdoti vengono costretti sotto la minaccia delle armi a iscriversi all’Associazione patriottica.
di Xing Guofang
L’Hebei è la regione in Cina con la massima densità di cattolici (oltre 1,5 milioni), dove i cattolici clandestini (non riconosciuti dal governo) sono la forte maggioranza. La campagna è sostenuta dall’Ufficio affari religiosi e dalla polizia. Alcuni rappresentanti del governo hanno detto ai vescovi non ufficiali che “d’ora in poi tutto il clero, per distribuire i sacramenti, deve avere una speciale tessera concessa dal governo”.
Il motivo di tutto ciò è – secondo tali rappresentanti – di unire la Chiesa clandestina e quella ufficiale che, in ubbidienza alle indicazioni della Santa Sede, tendono sempre di più a collaborare e unirsi. Molti vescovi della Chiesa non ufficiale hanno dato indicazione di partecipare all’Eucarestia con le comunità ufficiali. Fino a pochi anni fa una simile indicazione sarebbe stata impensabile.
Alle pressioni poliziesche nell’Hebei, i vescovi hanno risposto che loro possono accettare la tessera dal governo, ma è impossibile chiedere loro di unirsi a forza alla Chiesa ufficiale perché questo implica l’iscrizione all’Associazione patriottica. L’AP è un’organizzazione a servizio del partito per controllare i fedeli. Uno dei suoi scopi, fissato nel suo statuto, è quello di far crescere e fiorire una chiesa nazionale, staccata dal legame con la Santa Sede.
Il rifiuto dei vescovi a parteciparvi è dunque motivato dalla fede e dalla legge canonica. Nel braccio di ferro che ne è nato, i rappresentanti del governo minacciano la prigione per tutti. I vescovi hanno chiesto ai rappresentanti del governo di lasciarli liberi di trovare loro stessi i modi e i tempi per costruire l’unità. I rappresentanti hanno risposto che essi vogliono l’unità adesso e non in futuro e hanno minacciato con le armi chi disobbedisce. Un vescovo si è sentito dire: Noi siamo comunisti, abbiamo fucili e siamo armati!”, proprio come, commenta, avrebbero fatto dei mafiosi.
Secondo molti fedeli dell’Hebei lo zelo di polizia e rappresentanti governativi si spiega solo con una ragione: se riusciranno a sbaragliare la Chiesa non ufficiale facendola rifluire nell’AP, riceveranno un premio dal governo centrale. Ma vi è un’altra ragione nascosta: l’unità non viene realizzata dalla pazienza e dalla libertà delle comunità, ma imposta dall’esterno, lasciando intendere che per realizzarsi essa necessita sempre della forza di un Ufficio per gli affari religiosi e di un’Associazione patriottica. “Se noi ci uniamo da soli – dice un vescovo ad AsiaNews – loro perdono il lavoro e il salario perché non c’è più nulla da controllare”.
Mentre la Cina attende le Olimpiadi e progredisce nel XXI secolo, nell’Hebei la persecuzione ricorda ancora lo stile del Partito comunista degli anni ’50 sotto Mao Zedong; questi atteggiamenti stalinisti “fanno fare brutta figura al governo”, dicono i fedeli.
Se i vescovi saranno sbattuti in carcere, essi concludono, non ci resta che fare appello al mondo, come è stato fatto per quelli all’origine della campagna di AsiaNews, e accusare il governo dell’Hebei.