Hanno ucciso, probabilmente per vile vendetta, tre cristiani in Indonesia ma in Occidente si fanno campagne contro la pena di morte solo quando ci sono di mezzo gli Stati Uniti. Quello che accade in Cina (10 mila esecuzioni l’anno) alle noste “anime belle” non interessa e ancor meno la mattanza dei paesi islamici, sopratutto perchè lì a farne le spese sono i cristiani.
di Antonio Socci
Noi però abbiamo il dovere di gridare contro l’orrore finché si ha voce. Spero che ci sia tanta gente, lunedì alle 17,30, a Roma, davanti all’ambasciata indonesiana (via Campania 55) dove Pier Ferdinando Casini ha proposto di manifestare silenziosamente accendendo una candela in memoria dei tre cristiani, tre poveri contadini massacrati dal regime indonesiano a causa della loro fede, perché il loro sangue era stato preteso dai fondamentalisti islamici.
Probabilmente è stata l’ennesima vendetta – come suor Leonella – contro il Papa reo di aver detto al mondo che non s’impone la religione con la violenza. E’ importante che abbia annunciato la sua presenza lunedì anche il sindaco di Roma Walter Veltroni – che contro la pena di morte usa giustamente il Colosseo, testimone antico della barbarie del potere – perché sia evidente che non è una manifestazione di una parte politica o solo di cattolici, ma di tutti, una questione di giustizia e di umanità. Che riguarda il destino dei nostri figli.E spero infine che sia anche un’occasione di riflessione autocritica per tanti.
Il nostro è un Paese che scopre la pena di morte solo se si parla degli Stati Uniti. In quel caso ecco le campagne fotografiche di Oliviero Toscani, ecco gli appelli, i servizi al Tg e gli articoli sui giornali. Difficilmente si parla della Cina che ogni anno si aggiudica il primato assoluto e là si tratta di condanne a morte elargite per reati assolutamente assurdi, oltretutto senza alcun serio processo e magari con espianto e vendita degli organi delle vittime. Ma la Cina non si tocca: bisogna farci affari, guai a criticarla. Prodi è appena andato là col cappello in mano a leccare la pantofola, con una comitiva di industriali e politici, figurarsi se ha osato parlare di diritti umani e pena di morte.
Perfino la Bonino (non più di lotta, ma di governo) ha evitato di sollevare lo scandalo. Eppure qualche volta della Cina si parla. Il vero “buco nero” dell’informazione sono i regimi islamici e specialmente la condizione dei cristiani. Il caso dei tre contadini cattolici dell’Indonesia (oltre a Tibo, Marianus Riwu e Domingus Silva) ha potuto “bucare” l’indifferenza solo grazie alle informazioni dell’agenzia del Pime Asianews e dalle denunce di Luca Volonté.
Ma non c’è stata una vera mobilitazione di nessuno nonostante che il processo fosse stato vergognoso e i tre fossero detenuti da anni. Nemmeno “Nessuno tocchi Caino” si è data da fare per loro (che io sappia). Evidentemente le energie radicali vanno soprattutto per Caino e per Abele non si ha tempo. Infatti nel sito dell’organizzazione di Pannella e D’Elia attualmente c’è in evidenza la campagna “Nessuno tocchi Saddam”.
Tuttavia la più grande autocritica dobbiamo farla noi cattolici. Se si eccettuano i tentativi della Comunità di S. Egidio (a cui stavolta devo riconoscere il merito), ancora una volta abbiamo lasciato il Papa solo a chiedere indulgenza alle autorità indonesiane. Sembra che il mondo cattolico neanche si sia accorto del macello in corso da decenni.
E’ del tutto sconosciuto fra l’altro proprio il “caso Indonesia” che oggi sale ai disonori delle cronache per l’assassinio dei tre cristiani. Mai sentita una veglia di preghiera nelle chiese italiene, un ricordo in una messa, un convegno (tipo quelli di Assisi), una raccolta di firme per quei poveri cristiani. Nulla di nulla.
L’Indonesia – con 212 milioni di abitanti – è il paese musulmano più popoloso del mondo. E’ islamico il 75 per cento della popolazione, con un 13,1 per cento di cristiani, quasi 28 milioni di persone. In teoria appartiene a quello che illusoriamente noi chiamiamo “islam moderato”. Se non fosse per qualche “piccolo” particolare.
Come il genocidio dei cristiani di Timor Est. La regione di Timor Est, prevalentemente cristiana, è stata per tre secoli una colonia portoghese.
Nel 1975 diventa indipendente, ma viene subito invasa dall’esercito indonesiano e annessa a quello stato sebbene l’Onu si opponesse. I 25 anni di occupazione militare – secondo monsignor Carlos Belo, premio Nobel per la pace – hanno fatto 200.000 vittime e 250.000 profughi su una popolazione totale di circa 900 mila persone. Quindi un vero genocidio. Perpetrato fino al 30 agosto 1999 quando – grazie alla pressione americana e internazionale – il regime indonesiano fu costretto a fare un referendum e ovviamente vi fu un plebiscito a favore dell’indipendenza. Visto l’esito delle urne i “bravi musulmani” si vendicarono con un ennesimo massacro di cristiani.
Quindi, sempre nel 1999, cominciò il macello di cristiani da parte dei fondamentalisti islamici in un’altra parte dell’Indonesia: l’arcipelago delle Molucche. Il 19 gennaio del 1999 ad Ambon iniziano le violenze che in tre annihanno provocato almeno 13.500 vittime e hanno costretto circa 500.000 persone a fuggire dalle loro case. Inoltre più di 6.000 cristiani delle Molucche sono stati costretti a convertirsi all’Islam con circoncisioni forzate fatte con il rasoio, senza anestetici, e asportazioni del clitoride per le donne. Altri sono stati uccisi per il loro rifiuto di convertirsi. Vi furono episodi particolarmente feroci.
Ad Ambon sei bambini cristiani furono uccisi, in un campo di catechismo: furono inseguiti, sventrati, evirati e decapitati dagli islamisti che fendevano le bibbie con la spada.
In altri casi gli attacchi degli islamisti ebbero l’aiuto di truppe militari regolari, come nell’isola di Haruku il 23 gennaio 2000, quando furono uccisi 18 cristiani.
L’islamizzazione forzata portò, per esempio, all’espulsione delle Suore Poverelle di San Giuseppe e la conseguente distruzione di scuole, ospedali, lebbrosari, centri medici. Nel Natale del 2000 una serie di attentati colpirono la cattedrale di Giakarta e chiese in altre dieci città, provocando 17 morti e circa 100 feriti. Morì anche un giovane musulmano che tentò di gettare una bomba fuori da una chiesa, rimanendone dilaniato. Perché vi sono tanti musulmani in Indonesia schierati in difesa dei cristiani. Mentre a volte sono i cristiani di Occidente che si dimostrano quasi ostili ai fratelli perseguitati. In ogni caso le violenze sono continuate.
Il 9 novembre 2001 l’agenzia Fides dava notizia di nuovi attacchi di guerriglieri islamici nel mese di ottobre nell’isola di Sulawesi a villaggi cristiani e ad autobus carichi di cristiani, con scene di vera e propria caccia all’uomo, alcuni morti, e molti costretti alla fuga.
Aggressioni anche a Makassar, a Giava e nelle Molucche con alcuni morti. Un gruppo di cristiani indonesiani diffuse un messaggio: “Preghiamo per i cristiani di Indonesia. Preghiamo per la loro fede durante gli attacchi e per quanti subiscono la tentazione di nascondere la loro identità di fedeli a Cristo. Preghiamo per il mondo perché prenda provvedimenti contro la persecuzione, dovunque essa si verifichi”.
Spero che lunedì pomeriggio vi siano tanti cattolici romani e che già da oggi, nelle messi domenicali, vi siano preti che nelle omelie ricordano i tre poveri contadini cristiani e tutti gli altri martiri e perseguitati. A cominciare dal Papa condannato a morte.